Tales of Principessa I

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. theFIERCE
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    Apparve. Come una visione. Capelli e labbra scarlatte, nel candore lattiginoso della nebbia gelida, nella pianura brulla dalla terreno gelato, su cui anche la sua robusta cavalcatura faticava ad incedere. Avvolta nel pesante mantello bruno, si scorgevano solo le gambe nude che lampeggiavano con il loro candore abbacinante della pelle d’alabastro. Ed il volto cesellato, dai lineamenti fini, le labbra perfette, gli occhi sognanti due ametiste incandescenti incastonate nel viso di una statua greca.
    Proseguiva nella piana desertica, lentamente.
    Cavalcava all’amazzone, entrambe le gambe da un lato, seduta su una pelle pesante, in cui si avvolgeva quando il freddo diventava insostenibile. Non aveva sella, né briglie, ma lo stallone dal manto grigio screziato era ben felice di portare il suo fardello leggero, e si mostrava premuroso, se non docile, nei confronti della sua magnifica compagna di viaggio.
    Non portava nulla con sè, se non un paio di morbidi stivali, alti alla coscia, che portava appesi, legati per le cinghie di cuoio sul dorso del cavallo, giusto davanti a lei. E un pugnale dalla lama ricurva, lunga un palmo abbondante, riposto in un fodero appeso allo stivale destro, facilmente accessibile anche mentre non li indossava.
    Fuggiva da una settimana, e non aveva visto nessuna traccia di civiltà.
    Non aveva incontrato più nessuno, da quando era fuggita dagli schiavisti.
    Intravide una radura, con un po’ d’erba e una fonte d’acqua. Vi condusse il cavallo. Poi si lasciò scivolare a terra agilmente. Mandò lo stallone a brucare libero, mentre lei si avvicinò all’acqua. Aprì il mantello, lasciandolo scivolare a terra. Era nuda sotto, ma i glifi che lo sciamano aveva tracciato sulla pelle perfetta, ormai un mese prima, lampeggiavano nella luce livida, mentre si immergeva nella piccola pozza che la fonte formava. Si lasciò scivolare nell’acqua, gelida, senza avvertire il freddo. Le sue membra, come modellate da uno scultore di talento, luccicavano meravigliosamente al bagliore malato di un sole lontano, velato, nonostante l’ora fosse prossima allo zenit. Costituzione deliziosa, spalle esili, gambe flessuose, vita sottile, fianchi torniti ma snelli, natiche sontuose, modellate finemente, alte e sode, capaci di scatenare passioni incontenibili in amanti passati e pretendenti attuali.
    Principessa chiuse gli occhi, ripercorrendo quell’ultimo mese folle e spaventoso. Era fuggita dalla corte per un impulso, e avrebbe trovato la morte se non fosse stata salvata dal Cacciatore-Lupo.
    Ma poi si era separata da quell’uomo, enigmatico e selvaggio, sapendo di avere un proprio percorso che l’avrebbe portata, finalmente, alla pace. Aveva così iniziato il viaggio per combattere il suo demone. Il suo mostro. Cercava il confronto e sentiva di doversi spingere nelle foreste più a nord, i luoghi della sua nascita, per incontrare con ciò che aveva nel cuore. Ma su quel difficile cammino erano avvenute troppe cose, e ora si trovava centinaia di leghe a sud, nella brughiera, senza sapere dove fosse.
    Fuggendo. Come sempre. Ma a differenza delle altre volte, non fuggiva più da se stessa, ma dai sadici schiavisti che l’avevano fatta prigioniera, venduta e…
    Aprì gli occhi, non voleva affrontare quel dolore assurdo, ripercorrere tutte le cose orribili che le erano capitate.
    Uscì dall’acqua, facendo qualche passo nella piana. Nessun occhio umano poteva scorgerla, ma se qualcuno fosse stato fortunato abbastanza sarebbe stato certo rapito da quella vista. Alta e slanciata, l’ossatura squisitamente modellata, quest’apparizione dai capelli scarlatti, pareva più una ninfa che una donna in carne ossa. Lineamenti delicati, occhi profondi e meravigliosi, labbra perfette. Collo sottile ed elegante, spalle esili, vita stretta e fianchi torniti, un poco più morbidi. Il ventre, glabro come il resto della pelle compatta, liscia come velluto, appariva come il cancello del paradiso. Natiche olimpiche, sode e alte, e gambe tornite e flessuose, che terminavano in deliziosi piedini eleganti completavano la sua figura, dal carisma magnetico, quasi incantato. Il freddo pungente non poteva colpirla, finché gli incantesimi funzionavano a dovere, ma sapeva che non sarebbero durati. Presto sarebbero svaniti, e con esso la resistenza sovrumana al freddo, ma anche il languore e la debolezza che invadevano le sue membra dopo pochi passi, condannandola a dipendere dalla sua cavalcatura. Non aveva percorso che un centinaio di passi che, improvvisamente, le gambe si fecero molli. Crollò sulle ginocchia con un languido gemito. Il cavallo si avvicinò, in suo soccorso. Ora di proseguire. Con fatica riuscì ad issarsi in groppa allo stallone.
    Ormai le energie scarseggiavano e Principessa, cullata dal dondolio della cavalcatura, si assopì. Sognò. Ricordò.


    Correva nel bosco, a perdifiato. Inseguita. Passi agili, veloci, più di quelli dei suoi inseguitori, che però erano alti e forti, e le cui falcate coprivano quasi il doppio della distanza che percorreva lei con ognuna delle sue. Ad un tratto uno di loro le tagliò la strada, per sbarrarle il passo, mentre gli altri due, ancora alle sue costole, cercavano di chiuderle ogni via di fuga. Il suo pugnale baluginò un secondo, mentre Principessa fintava a destra per poi schizzare a sinistra. Il balordo portò le mani al viso, mentre un fiotto di sangue sgorgava dalla profonda ferita sulla guancia.
    Principessa esultò per un istante. Aveva guadagnato qualche metro, e forse si era sbarazzata di uno dei tre.
    Forse… Forse poteva sfuggire loro.
    Gli altri due erano ancora al suo inseguimento, anche se un poco più distanti.
    Correva. Sempre a perdifiato. Malgrado l’adrenalina che pompava nelle sue vene, la paura e la rabbia, si sentiva viva. Viva.
    Un animale selvatico in lotta per la sopravvivenza. VIVA.
    Poi un dolore acuto, al polpaccio sinistro. Inciampò mentre correva a tutta. Caddè, rotolò.
    Gli uomini le furono addosso. Tutti e tre.
    Le mani corsero al polpaccio, trovando una lama sottile immersa nella sua carne soda. La estrassero febbrili, gettandola via, per rimettersi in piedi e fuggire prima che fosse troppo tardi. Ma non aveva più tempo. Cercò di rialzarsi, ma un colpo violento la raggiunse al mento, ributtandola sulla schiena. Subito uno dei tre predoni le fu addosso, con tutto il suo peso, bloccandole le braccia sopra la testa, al suolo, inchiodata. Perse il pugnale, strappatole dalle mani. Scalciò, raggiungendo un bandito al ventre, ma un altro manrovescio le annebbiò la vista. Un colpo violento la colpì al ventre, facendola sussultare. Fu tutto. Un secondo bandito le si misi a cavalcioni mentre il primo, che le aveva bloccato le braccia, ne approfittò per cingerle i polsi con un laccio di cuoio. La tirarono su, lasciandola in ginocchio. Uno dei tre, da come si muoveva probabilmente il capo, raccolse dal suolo la lama che le aveva scagliato sul polpaccio, interrompendo la sua fuga. Usò quell’attrezzo, molto simile a quello che un giorno sarebbe stato chiamato “bisturi”, per lacerarle gli abiti. Gesti rapidi, ma sicuri, non affrettati, per non rischiare di ferirla e turbare la sua pelle perfetta, pregiata per i loro scopi. Dopo aver terminato fece un cennò al suo compare. Con uno strattone fu tirata in piedi. La gamba ferita pulsava, faticando a sostenerla, nell’incuranza dei tre. La osservarono per un attimo, in silenzio, quai a valutare la loro preda.
    Il capo le si accostò, lascivo, mentre quello che sosteneva la cinghia che le bloccava i polsi ne passava l’altra estremità attorno al suo collo da cigno, con una sorta di nodo scorsoio. Ora era totalmente in suo potere, ad ogni lieve strattone la cinghia le si sarebbe stretta attorno al collo.
    Avvertì la lingua del capo bandito leccarle il seno sodo, indugiando, ma solo per un istante ,sul suo capezzolo. Poi sul lato del collo, tra i capelli. Rabbrividì.
    Avvertì le sue mani ovunque, così tentò di dimenarsi, ma inutilmente.
    <<chi sarà questa?>>
    Lo sfregiato, quello che lei aveva colpito poco prima, le si avvicinò. Con un violento spintone la gettò a terra, nella polvere.
    <<chi se ne frega!>> Il bruto la inchiodò con una mano sul collo, premendo forte, mozzandole il fiato. L’altra mano corse al ventre, palpando senza alcuna cura, né grazia, la sua femminilità. Le sollevò il bacino, mantenendola bloccata, con le gambe raccolte sotto le cosce, mentre con il pollice esplorava le sue zone intime, fino ad allora esplorate, con sommo godimento per ciascuno di loro, solo da un pugno di persone, uomini e donne favoriti dalla possibilità di frequentare una simile creatura.
    <<adesso basta!>> Il capo urlò, ma non ottenne risposta dallo sfregiato.
    Principessa avvertì le dita brutali spostarsi dalla vagina al perineo, indugiando sull’ano, poi fu penetrata. Gemette forte, sussultando tutto. Senza un minimo di lubrificazione era semplicemente un inferno. Lottò per scacciare l’intruso. Inutilmente. Sentì una tensione spasmodica pervaderla, il suo essere tutto proteso a proteggere il suo corpo e scacciare quell’umiliante penetrazione.
    <<basta! Non ti permetterò di rovinare la nostra preda… Possiamo farci parecchio, con questa>> Il capo stava per prenderlo a calci, quando il bruto finalmente ritrasse le dita da lei e la lasciò.
    Principessa sussultò mentre l’odiosa intrusione terminava. Esalò un lungo e profondo gemito, mentre le sue membra, rilassandosi di colpo, le fecero perdere conoscenza.
    <<e’ senz’altro una nobildonna>> Lo sfregiato prese tra le sue una delle mani eleganti di Principessa, mostrandola ai compagni mentre tastava la grana squisita della pelle, liscia, talmente candida da risultare quasi opalescente. <<mani troppo delicate per lavorare...>> Sogghignò in modo orribile, considerando la ferita ancora aperta. Le palpò con forza una natica. <<...E culo troppo stretto per essere una troia>>.

    Si era ripresa quasi subito, avvertendo di essere stata issata a cavallo. Le cinghie le cingevano ancora il collo e polsi, ma ora dietro la schiena. Il capo dei banditi la teneva assicurata a sè con una sciarpa, mentre lei era rannicchiata proprio tra il collo della cavalcatura e la sella.
    Evidentemente voleva sentire il contatto del suo corpo, caldo, morbido e profumato e, contemporaneamente, assicurarsi che non potesse fuggire. Involontariamente Principessa si strinse contro il suo catturatore, per evitare il vento gelido. E risprofondò presto nel buio.

    Il clangore metallico delle enormi catene di ferro la ridestarono. Erano massicce, ormai arrugginite e pesantissime, e Principessa sembrava una bambina, con gli esili polsi, le eleganti caviglie e il collo aristocratico fermati da tali impedimenti. Una catena le bloccava ciascun polso e altrettanto facevano le estremità dell’altra, a bloccarle le caviglie. Le due catene erano unite da un terzo tratto dei medesimi anelli metallici intrecciati, che si chiudeva ad un’estremità ad un collare. Quest’ultimo tratto di catena passava per un anello metallico assicurato ad un masso enorme. Non che servisse a granché. Le maglie erano talmente pesanti che avrebbe potuto a mala pena sollevarle, anche se non fossero state assicurate in alcun modo. Un uomo robusto le avrebbe trovate un peso eccessivo da portare. Per un'esile fanciulla quale lei era sarebbe stato impossibile, anche se non fosse stata debilitata quanto poi in realtà era. Così giaceva lì, nuda, inchiodata ad un masso, bellissima, fremente dea in catene, la più sublime incarnazione della languida, sontuosa bellezza di Principessa.
    Si appiattì contro il macigno per proteggersi dal vento gelido, rabbrividendo. Sarebbe già morta congelata da un pezzo, se non fosse per gli incanti che la proteggevano, ma al prezzo di indebolirla, costringendola ad un languore innaturale.
    Nonostante il freddo pungente, era la sete a tormentarla. E la fame. I suoi sadici catturatori non stavano forse cercando di spezzarla affamandola? Improvvisamente uno di loro fu accanto a lei. Da quanto la stava osservando? Guardando? Spiando ogni suo gemito soffocato? Era nudo, incurante del freddo, malgrado non fosse protetto da glifi magici quanto lei. Eccitato. Il pene eretto, rigido. Turgido. Nella mano stringeva un gatto a nove code. Ma prima di usarlo le rivolse la parola.
    <<sai già come finirà, no? Sempre nello stesso modo.>> La frusta dai molti flagelli descrisse un arco, prima di abbattersi sulla pelle candida di lei. Le sfuggì un grido. Un gemito soffocato.
    <<le tue labbra che accarezzano il mio glande. Ecco come finirà>>.
    Principessa scosse la testa, ma un secondo colpo la raggiunse, appena sopra i glutei. E un terzo. Un quarto. Perse il conto.
    Dei colpi, dei sussulti, delle umiliazioni.
    Finché, al terzo tentativo di accostarsele, le labbra di Principessa si dischiusero, come un pregiato fiore. Si dispiegarono come un bocciolo prezioso accogliendo il membro dell’uomo. Succhiando. Avidamente.
    Perché la sua mente spezzata non poteva che ubbidire, e in quel caso lo faceva sempre con la più totale dedizione.
    Bastò poco infatti, perché l’uomo perdesse il controllo, venendole in bocca con gioia disperata. Con uno strappo leggero ma deciso, l’uomo tolse il suo membro dalla bocca umida e calda di lei, mentre stava ancora venendo, facendole cadere di proposito un po’ di sperma sulle labbra meravigliose, sul petto e sui seni.
    Attached Image
    photo_2018-02-21_14-56-06

     
    .
  2. theFIERCE
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    Il Castellano spalancò la porta robusta, in quercia rinforzata. Lei era lì. La donna più bella in cui si fosse mai imbattuto. Era inginocchiata al centro di un letto grandissimo, le coltri fresche, profumate, poco smosse dal suo peso delicato. Una cascata di boccoli scarlatti incorniciava un volto cesellato, dai lineamenti di fine alabastro in cui spiccavano, come ciliegie mature in un prato innevato, due labbra talmente sensuali da calamitare gli occhi di un’intera piazza. Voluttuose, carnose, morbide e sinuose, erano coperte da un sottile strato di pigmento scarlatto, che le rendeva lucide e a ancor più invitanti.
    L’uomo desiderò immediatamente morderle e farle sue. La donna era seminuda, indossando solo una corta camiciola, leggerissima, chiusa con un singolo bottone sul petto, in modo da velarle i seni, piccoli, sodi, perfettamente modellati. Era inginocchiata con le gambe raccolte sotto di sè, celando le nudità più intime. Eppure si intuiva che ogni singola parte di lei rappresentasse quanto più eccitante un uomo potesse scoprire. Costituzione squisita, vita stretta, fianchi torniti, un poco più morbidi, sensualmente.
    Lo sguardo, profondissimo, avrebbe intimorito uomini meno decisi. Le ametiste incandescenti dei suoi occhi bruciavano, lontane, mentre abbracciavano l’orizzionte, ben oltre le spessa mura della torre. Pur senza rinunciare contemporaneamente a fissarlo. Quasi trapassandolo con la loro intensità ieratica.
    Ma il Castellano era un uomo fuori dal comune, e invece che intimorito, quella vista gli fece bollire il sangue. Mentre si avvicinava scalciò le scarpe, si sfilò la blusa rimanendo con i calzoni. Arrivato al bordo del letto le si accostò. Lei non si ritrasse. Non si mosse neppure, limitandosi a guardarlo. Le mani di lui, rapaci, raggiunsero la camicetta, aprendola con uno strattone. Il bottone, l’unico chiuso, saltò, mentre i seni, non grandi, ma pieni, sobbalzarono leggermente rivelandosi alla vista. Il Castellano completò l’opera, sfilandole la camicetta, ormai un cencio. Questo la sbilanciò e per non cadere si aggiustò sulle gambe, raccolte sotto la cosce. Rivelando la sua femminilità. Il Castellano le carezzò il capo, mentre la stuprava con gli occhi, famelici, passando dai seni al ventre. Era come gli era stata promessa. E ancora meglio.
    Completamente nuda, la rossa seducente esibiva un corpino snello e tonico, estremamente femminile, morbido ai fianchi ben torniti e dalle cosce supremamente modellate. Ciascun seno mostrava i capezzoli ritti e durissimi, forati da un anellino minuscolo, capace di sottolinearne l’infinita sensualità. Lo stesso anellino metallico attraversava il clitoride turgido di quel sogno ad occhi aperti.
    L’uomo si liberò anche dei calzoni pesanti, l’ultima traccia delle sue ricche vesti, liberando l’erezione a malapena celata dal tessuto. La carezza al capo divenne il mezzo con cui attrarre quella ninfa a sè, mentre i glifi protettivi, come tatuaggi iridescenti, ormai appena distinguibili sul corpo di lei, iniziavano a brillare leggermente.
    Obbediente lei dischiuse le labbra lussuriose, mentre il pene dell’uomo svaniva completamente nella sua bocca ampia, morbida e capace. Quel luogo umido e scuro, custode di delizie infinite per l’uomo abbastanza intraprendente da farlo suo, non deluse le aspettative. Principessa, pur lanciando occhiate di freddo sdegno, non poteva che obbedire alle richieste di Castellano, pur intuendo che si trattava solo dell’inizio delle sue tribolazioni.
    Premurosa, il suo capo seguiva zelante i movimenti di lui, come testimoniato da ogni strattone del membro, che lei sapeva essere un modo per richiederle di raddoppiare gli sforzi per farlo godere.
    Poi dopo un'ennesimo colpetto del pene, invece di concederle di risucchiare nuovamente la sua virilità nella prima delle tre voragini femminili, il Castellano la spinse facendola cadere schiena a terra, sempre sul letto morbido. Lei sollevò, fintamente pudica, le cosce, raccogliendole intorno a sè, in posizione quasi fetale, ma abbastanza da mostrare le sue grazie, concedendo accesso agli altri portali del proprio paradiso. Pur restando all’inferno.
    L’uomo la squadrò per un attimo, prima di ripiombarle addosso, come un predatore vorace con la più splendida cerbiatta. Caduta. Inerme.
    Quei giorni terribili esaltavano la sua bellezza, nonostante demolissero il suo spirito, costringendola a ricostruirsi giorno per giorno.
    Docile ma non doma. Forte nella debolezza. Fiera nella sofferenza.
    Aspettando il momento per una nuova fuga. Restando viva.
    L’uomo interruppe la contemplazione di quella seducente creatura. L’afferrò per le caviglie, portandola a sè. Con studiata violenza, e un pizzico di deliberata brutalità la penetrò, senza alcuna gentilezza e cura. Principessa sussultò con sensuale agonia. Un gemito, lungo e profondo, esalò dal suo petto, mentre il ventre accoglieva suo malgrado diversi centimetri di mascolina sopraffazione.
    Adorava essere presa in quel modo, anche se odiava l’uomo e la prigionia.
    Già grondante di umori, si scosse, sempre prigioniera della morsa dura e impersonale dell’uomo, che l’afferrava ora per le caviglie, ora per i fianchi. E spingeva.
    Il Castellano, del tutto non curante, se non del piacere oscuro di cui lei era solo il meraviglioso tramite, continuò a spingere sempre più febbrile. Aveva bisogno della sua vagina, dei suoi gemiti, delle sue cosce, delle sue tette.
    Non di Lei.
    Eppure questa oscura brutalità, questa violenza… La toccava nel profondo. Facendola fremere. Facendola venire. Più volte. Scuotendosi, scodinzolando. Gemendo.
    Aveva sempre adorato sentirsi “usata” dai propri partner. Ma essere così totalmente alla mercé dell’altro… E al contempo così poco importante per lui.
    L’ultimo orgasmo fu talmente intenso, così come la spinta pelvica del Castellano così brutale, da farle perdere conoscenza. Anche lui si liberò, venendole dentro come un fiume.
    Uscì da lei, e senza una parola se ne andò.
    La porta di quercia rinforzata si richiuse dietro di lei, abbandonata tra le coltri. La sua prigione era sigillata nuovamente.
    Ma avrebbe avuto modo di pensare a una nuova fuga.
    Attached Image
    photo_2018-03-08_17-45-44

     
    .
  3. theFIERCE
        Top   Dislike
     
    .

    User deleted


    I giorni si alternavano. Principessa veniva presa dal Castellano quasi ogni notte, mentre di giorno oziava nelle coltri, dedicandosi alla propria bellezza. Ancelle le preparavano il bagno e le pettinavano i capelli scarlatti, massaggiandone il corpo perfetto con unguenti profumati.
    Le guardie della torre di tanto in tanto la molestavano, un paio di volte sentì le loro mani sudice palpeggiarle le carni squisite. Sentiva i loro sguardi addosso. Sempre. I loro commenti a bassa voce. Spesso, non poi così bassa. Non li denunciò al padrone, al Castellano, che certo li avrebbe puniti.
    Ogni giorno Principessa si svegliava tardi, dopo la notte d’amore, o forse di nequizie. Trovava ai piedi del letto ora una camicetta, ora una corta tunica. Ogni giorno un leggero capo di vestiario, sufficiente a velarla alla vista dei bruti a protezione del castello, ma non tanto da non lasciar loro intravedere la sua prorompente sensualità. Indossato sempre a pelle, l’abitino copriva appena le natiche perfette, mentre lasciava sempre nude le cosce sontuose, le ginocchia delicate, e naturalmente polpacci levigati e piedini eleganti. Non la proteggeva però dagli sguardi concupiscenti degli uomini e… Di qualcuna delle ancelle, da cui aveva sentito provenire gemiti soffocati in qualche occasione, in cui le massaggiavano la pelle opalescente.
    La notte calava e Castellano apriva la porta e le faceva visita, infilandosi per qualche ora nel grande letto profumato e caldo. Profumato e riscaldato dalla sua ospite eccezionale.
    A volte le strappava la veste leggera di dosso, la colpiva e graffiava. Altre volte scambiava la rudezza con cinismo e distacco, toccandola ma restando lontano e insondabile. Ma sempre il grosso membro la soddisfava, lasciandola senza fiato, ad avvolgersi nelle lenzuola fragranti.
    Così lui la prendette facendola inginocchiare sopra di sè, lasciandola bilanciarsi sulle mani e cavalcandola come uno stallone.
    Un’altra volta la fece inginocchiare ancora sul suo membro, ma porgendogli le terga. Lui sollevava i lembi dell’abitino di lei per sbirciarne le natiche sode, impazzendo per quella situazione di finto pudore.
    Altre volte la legava, i polsi davanti al viso o dietro la schiena. Erano le volte peggiori, in cui lui indulgeva in fantasie sadiche. Le strappava le vesti, o le faceva a brandelli, limitandosi a intravederne le carni, tenere e pregiate. La colpiva, con le mani o con oggetti. Le faceva sempre male. Qualche volta le percosse erano tali da farle perdere conoscenza.
    Ma al mattino era sempre guarita, e si svegliava fresca e riposata.
    E pronta a cogliere l’occasione giusta per fuggire.

    +

    Occasione che non venne. E non sarebbe venuta. Ma che giorno per giorno, mentre accoglieva il membro del Castellano, costruiva. Capiva quante guardie vi fossero. Che giri facevano. Dove passare per potervi sfuggire.
    Ma sapeva che non avrebbe avuto altre chance.
    Quella notte, come sempre avveniva, il Castellano aprì la porta e la richiuse dietro di sè, senza ne catenacci ne chiavi.
    Lei non lo attendeva a letto, come di consueto. Piuttosto, era in ginocchio accanto alla porta. Proprio di fronte a lui. Indossava una camiciola leggerissima. Di un verde chiarissimo, sbiadito, tenue. Corta, quanto le altre, a coprirle a mala pena le natiche. Scollata, quanto bastava a lasciar in vista i bei seni, semplicemente abbassandone di poco l’orlo superiore.
    Era talmente bella e seducente, così totalmente sottomessa, che a quella vista il Castellano le si accostò subito, tirando fuori il membro, immediatamente duro e turgido. Le accarezzò la testa magnifica, incorniciata dai boccoli scarlatti. La attirò a sè. Lei dischiuse le labbra, accogliendolo. Ma per poco, per poi alzarsi e, maliziosa quanto fintamente pudica, andare a rifugiarsi tra le lenzuola. Lui la seguì, trovandola mollemente riversa supina, le cosce appena scostate. Le si avventò contro, ma prima che potesse penetrarla, alzò le ginocchia, incrociò le caviglie per poi protenderle in avanti e appoggiarle sulle spalle di lui. Tirandolo a sè.
    <<leccami, prima>>. Lui fece per obbedire, perso nel vortice del desiderio. Talmente preso da assecondare la sua stessa schiava. La lingua del Castellano fece per accostarsi alla vagina che le cosce di lei si serrarono, mozzandogli il fiato. Incastrò la caviglia elegante nell’incavo dell’altro ginocchio, per stringere con più forza, mentre le sue mani bloccavano un braccio, mentre l’altro completava lo strangolamento. Il Castellano non emise che un fienile gemito soffocato, mentre la coscienza lo abbandonava a larghi passi, lasciando il posto al tiepido oblio.
    Controllò il respiro. Debole ma regolare. Lei non voleva che morisse. Solo fuggire. Cercò tra i suoi abiti e prese il solido pugnale, con la lama lunga oltre un palmo. Quell’arma poteva aiutarla, e di certo la faceva sentire più fiduciosa.
    Sgusciò di soppiatto, in totale silenzio, dalla porta corazzata. Almeno fino all’alba nessuno avrebbe controllato. Scese le scale, scalza e silenziosa, rapida e sicura. Evitò le guardie a ogni piano. E, infine, giunse all’ultimo. A terra. Scelse di passare dal retro, dove un solo uomo stazionava abitualmente, e che era certa di poter evitare. Invece non vide nessuno. Tese l’orecchio, senza percepire niente. Così ruppe gli indugi e corse. Verso la porta. La luce. La libertà.
    <<ehi tu, che ci fai qui?>>
    La guardia irruppe nel suo campo visivo, manifestandosi improvvisamente.
    Principessa si sentì gelare il sangue…
    <<ti prego non ora… Non quando sono così vicina…>>
    Si lasciò cadere sulle ginocchia. Ancora una volta sottomessa. Posò il pugnale dietro di sè, in modo che non potesse vederlo.
    <<il padrone mi manda a rallegrare l’umore degli uomini>>
    <<sì, eh?>> La guardia sembrava dubbiosa, ma le si avvicinò lo stesso.
    Principessa si scoprì il seno, civettuola. <<vaglielo a chiedere>> Gli strizzò l’occhio, mentre la mano correva al pugnale. La guardia le fu subito addosso però, e con un movimento unico la sollevò, scaraventandola su un tavolaccio. Con lo stesso movimento le lacerò la veste, lasciandola immediatamente nuda.
    Principessa vacillò, e per poco non perse il coltello, ma le sue dita eleganti riuscirono a stringersi attorno all’elsa appena in tempo. Lui incombeva su di lei, il pene già libero. L’afferrò per le caviglie, tirandola a sè e penetrandola immediatamente. Lei quasi guaì. Dolore e sorpresa.
    Non poteva lasciarsi scopare. Poi lui l’avrebbe portata di sopra, avrebbe parlato con gli altri soldati, e alla fine trovato il loro padrone privo di conoscenza. Chissà cosa le avrebbero fatto.
    Non dovette prendere nessuna decisione. Solo lasciar fluire l’unica scelta possibile. Il polso di lei scattò, affondando la lama nel ventre di lui. Nuovo gemito ora… Forte.
    Ma la guardia non mollava: Non uscì neppure da lei. Anzi, il pene si fece più turgido e duro. L’intrusione fastidiosa divenne un dolore acuto. Lei estrasse la lama, che descrisse un arco per tornare a colpire. Arco interrotto dalla presa d’acciaio della guardia, che le aveva afferrato il polso, torcendolo dolorosamente.
    Per un attimo il tempo parve fermarsi.
    Poi riprese a scorrere. Allacciati sia nell’amplesso che in una lotta mortale, la Guardia e Principessa si dimenarono ancora una volta. La presa ferrea di lui le avrebbe certamente frantumato il polso in condizioni normali. Ma il sangue scivoloso e le forze che rapidamente lo abbandonavano gli impedivano di strapparle la lama dalle mani e punirla.
    E in quel momento, distrutto dal vortice delle sue emozioni, lui zampillò dentro di lei. I glifi magici disegnati sul ventre di lei, ormai deboli, si frantumarono, infrangendo ogni vincolo così come ogni protezione impostale. La presa ferrea scivolò e la volontà di libertà di lei guidò la lama nella pancia di lui, da cui uscì a fiotti il sangue. Lei ne approfittò per scostarsi un minimo e farlo uscire da sè, cercando di infliggergli il colpo di grazia. Ma non fu necessario. Un nuovo lampo di luce baluginò, intercettandolo alla gola, recidendola con disarmante facilità fino alla spina dorsale. La Guardia crollò a terra, morto prima di toccare il suolo.
    Il Cacciatore-Lupo si accostò a Principessa, riponendo l’ascia e accogliendola nel suo forte abbraccio. Lei, ancora accasciata sul tavolaccio, gli si gettò contro.
    <<sono venuto a salvarti>> le sussurrò. <<ma ti sei già salvata da sola>>
    Miracolosamente libera da ogni traccia di sangue, calda e sicura nel suo abbraccio, solo allora riconobbe la verità. Quell’uomo enigmatico era l’unico che, pur volendola, non aveva voluto possederla. Come una cosa. Aveva invece vissuto il distacco, lasciandola libera.
    Oltrepassarono la porta, lui sempre tenendola saldamente tra le braccia, come una bambina. Un fardello leggero per il suo braccio. Un sollievo infinito per il suo spirito.
    Furono in strada, sotto le stelle.
    Principessa non le scorgeva da un mese. Ad attenderla c’era lo stallone con cui aveva condiviso una parte così lunga del viaggio. Libero.
    Il Cacciatore-Lupo la issò sulla groppa, le drappeggiò addosso il mantello, e le consegnò un’altra pelle, per quando sarebbe stato freddo. Senza i glifi ne avrebbe avuto bisogno.
    Lui la baciò. Un gesto dolce, senza malizia. Senza lingua. Solo affettò.
    Sussurrò: <<addio>>
    Girò le spalle e fece per rientrare nella torre. Stringendo nuovamente l’ascia crudele.
    <<vieni con me…>>
    Il Cacciatore-Lupo si voltò. Aveva il volto rigato dalle lacrime.
    <<cavalca verso il tuo destino. Libera>>
    <<io sono venuto per le vendetta>>. Si strinse nelle spalle. Continuò: <<troppi uomini che ti hanno fatto male respirano ancora, lì dentro. Vi porrò rimedio>>
    <<non farlo>>
    Ma lui si era girato ed era balzato dentro la fortezza.
    Il vento le portò un sussurro… O era la sua immaginazione?
    “Ognuno ha i suoi demoni”…
    Anche lo sguardo di lei ora era velato dalle lacrime, ma il cavallo iniziò la sua corsa. Verso ovest… Verso la sua strada.
     
    .
2 replies since 22/2/2018, 00:44   413 views
  Share  
.