Dagli Elefanti i geni contro il cancro

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    Il loro DNA vanta molte copie di un gene noto per la sua attività nel debellare il danno genetico cellulare all'origine dei tumori. L'uomo ne possiede una copia sola.

    A rigor di logica, i pachidermi dovrebbero ammalarsi di tumore più spesso degli uomini. Con i loro 4800 kg di peso, gli elefanti africani vantano un numero di cellule 100 volte superiore al nostro: maggiore il numero di cellule (e di divisioni cellulari), maggiore la probabilità che qualcosa vada storto; per di più, questi mammiferi raggiungono la ragguardevole età di 60 anni.

    Eppure, la percentuale di mortalità per cancro negli elefanti - così come in altri animali di grossa taglia, balene incluse - è soprendentemente bassa. Questo dilemma, noto come Paradosso di Peto, dal nome dell'epidemiologo inglese che lo descrisse negli anni '70, potrebbe ora aver trovato una soluzione.

    BACIATI DALLA GENETICA. Due studi indipendenti pubblicati la scorsa settimana dimostrano che il DNA degli elefanti africani possiede 20 copie (quindi 40 alleli) di uno dei più potenti geni soppressori tumorali, noto come p53 (o TP53). Quello degli elefanti asiatici ne ha da 30 a 40 copie; quello degli esseri umani, una sola copia (due alleli). Quando una cellula subisce un danno genetico che la rende potenzialmente cancerogena, il p53 inibisce la sua divisione finché il guaio non è sanato, o ne incoraggia il suicidio per evitare che il danno si espanda.
    Nobel per la Chimica agli studi sui processi di riparazione del DNA
    SUICIDIO. Per capire come il gene agisca nei pachidermi, Joshua Schiffman, oncologo infantile dell'Università dello Utah, insieme al collega Carlo Maley, dell'Arizona State University, hanno sottoposto alcune cellule di elefante africano a radiazione ionizzante, scoprendo che queste avevano il doppio delle probabilità di morire per il danno riportato rispetto alle cellule umane.

    L'ipotesi è che le copie extra del gene p53 permettano alle cellule danneggiate di andare più facilmente incontro ad apoptosi (una sorta di autodistruzione programmata) prevenendo così la diffusione del tumore. I risultati sono coerenti con quelli di un altro studio sul tema condotto da Vincent Lynch, dell'Università di Chicago.

    CONCAUSE EVOLUTIVE. Quel che è certo è che la strategia funziona. Meno del 5% degli elefanti, secondo i dati raccolti nei due studi, muore di cancro; negli esseri umani, questa percentuale può arrivare al 25%.

    Il prossimo passo sarà capire se e come questa scoperta possa essere utile nella ricerca oncologica umana. A intervenire favorevolmente sulla salute dei pachidermi potrebbe esserci, però, anche un naturale rallentamento delle attività metaboliche negli animali di grandi dimensioni, che influisce sul ritmo di divisione cellulare.

    Fonte: Focus
     
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