Votes taken by Joel

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    Sai già che ne penso! ;)
    Comunque le ultime due non vanno!
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    Ti offendi per il mio ritardo? Bellissima skin, lo scrissi in tagboard, ma è giusto che lo faccia anche qui. Solo i colori, che mi ricordano un pò la Lazio, non mi piacciono. :P Ahahah :)
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    Oh, mio, Dio.
    GRAZIE MILLEEEE!!!!!!
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    Chebbellaaa!!! :)
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    Pink Floyd
    Esplorando il lato oscuro della Luna
    Nei primi anni 60 sono stati tra i più coraggiosi esploratori delle nuove frontiere "lisergiche" del rock. Nel decennio successivo hanno smesso i panni della band di culto, ma hanno continuato a realizzare album memorabili. Poi, i dissidi interni e l'inizio della parabola discendente. Ecco la storia, le metamorfosi e i dischi dei Pink Floyd, una delle formazioni più importanti (e influenti) della storia del rock

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    Discografia

    Piper At The Gates Of Dawn (Capitol, 1967)
    A Saucerful Of Secrets (Capitol, 1968)
    More (Capitol, 1969)
    Ummagumma (Capitol, 1969)
    Atom Heart Mother (Capitol, 1970)
    Meddle (Capitol, 1971)
    Relics (anthology, Capitol, 1971)
    Obscured By Clouds (Capitol, 1972)
    The Dark Side of The Moon (Capitol, 1973)
    Wish You Were Here (Capitol, 1975)
    Animals (Capitol, 1977)
    The Wall (Capitol, 1979)
    The Final Cut (Capitol, 1983)
    A Momentary Lapse of Reason (Columbia, 1987)
    Delicate Sound of Thunder (live, Columbia, 1988)
    The Division Bell (Columbia, 1994)
    Pulse (live, Columbia, 1995)
    Is There Anybody Out There? (EMI, 2000)
    Echoes (antology, Capitol, 2001)



    I Pink Floyd sono i pionieri della psichedelia e uno dei massimi complessi rock di sempre. Nel corso di una carriera lunghissima (in cui si distinguono tre fasi, corrispondenti ad altrettante formazioni) hanno spostato i limiti del pop e del rock sposando l'elettronica e approfondendo la ricerca sonora in una serie di album giudicati pietre miliari della musica popolare del Novecento. Altra loro peculiarità è quella di aver prodotto mastodontiche rappresentazioni multimediali della propria musica attraverso spettacoli in cui la componente visiva è parte integrante di quella sonora.
    La lunga storia della formazione inglese ha inizio a metà degli anni Sessanta, quando tre studenti di architettura e un estroso studente di pittura gettano le basi per entrare a pieno titolo nella leggenda del rock, partendo dai club della Londraundergrounde lisergica per arrivare, non senza radicali cambiamenti di stile e di formazione, al successo planetario.
    La band nasce dall'incontro dello studente di pittura Roger Keith Barrett (per tutti Syd, nato il 6/1/46 a Cambridge) con Roger Waters (Great Bookham - 9/9/44), studente di architettura e chitarrista di una formazione dal nome cangiante (Sigma 6, T-Set, Meggadeaths, Abdabs) nella quale suonavano altri due aspiranti architetti: Nick Mason (Birmingham - 21/1/45) e Rick Wright (Londra - 28/7/45) oltre al bassista Clive Metcalf e ai cantanti Keith Noble e Juliette Gale. Nel '65, dopo lo scioglimento del gruppo, Waters (al basso), Barrett (chitarra), Wright (tastiere) e Mason (batteria) decidono di formare una band (per brevissimo tempo ne farà parte anche il chitarrista Bob Close): il nome, scelto da Barrett, è Pink Floyd e deriva dai nomi di battesimo di due bluesmen americani, Pink Anderson e Floyd Council.
    Nel '66 arriva il momento delle prime esibizioni nei club della Londra underground, con un repertorio che comincia ad assumere una propria identità grazie alle prime composizioni strumentali di Barrett. E' in questo periodo che i Pink Floyd conoscono quelli che diventeranno i loro manager: Andrew King e Peter Jenner.
    Nella "Swingin' London", i Pink Floyd riescono a farsi notare come una delle band più originali e imprevedibili, in virtù soprattutto delle esibizioni all'Ufo Club, un locale in cui il gruppo sperimenta i suoi primi coinvolgentilight-show, tentando di coinvolgere il pubblico con proiezione di immagini, diapositive e l'impiego massiccio di un efficace impianto luci.
    A cavallo tra il '66 e il '67, i Pink Floyd entrano in sala d'incisione, per i primi demo, con risultati poco incoraggianti: bisognerà attendere ancora qualche mese, infatti, per la pubblicazione del primo singolo del complesso, "Arnold Layne/ Candy and a Currant Bun" (prodotto da Joe Boyd).
    Il successo arriva immediato ed è seguito a breve distanza da un secondo singolo-hit, "See Emily Play/ The Scarecrow": la band partecipa per ben tre volte consecutive a "Top of the Pops" ed è finalmente pronta per il primo album, pubblicato nell'estate del '67: The Piper at the Gates Of Dawn. Il disco, prodotto da Norman Smith, si impone subito grazie al sound particolare e assolutamente innovativo e a testi singolari, divisi tra atmosfere oniriche e spaziali ("Astronomy Domine", "Interstellar Overdrive") e brevi filastrocche per le quali Barrett attinge al mondo delle fiabe ("The Gnome", "The Scarecrow", "Lucifer Sam").
    "Astronomy Domine" è il resoconto di un viaggio stellare intrapreso da Barrett attraverso l'uso dell'Lsd: il basso pulsante rappresenta la connessione radio con la terra, mentre la chitarra onnipresente, insieme a un canto maestoso e solenne, sembrano errare in un panorama cosmico oscuro, con il drumming forsennato di Mason, a enfatizzare le parti più drammatiche.Il capolavoro del disco, e forse anche l'apice della produzione di Barrett, è però: "Interstellar Overdrive". E' la cronaca di un viaggio umano nell'universo. Introdotta da un riff da film dell'orrore, si sviluppa nei suoi undici minuti seguendo una sola regola: almeno uno strumento deve mantenere il ritmo. E sopra questo ritmo, si sviluppa una jam session acidissima, fatta di astronavi che sfrecciano, di asteroidi che si scontrano, di alieni e alienazioni, di muri spaziali, di tempeste stellari, di quiete cosmica, di paradisi irraggiungibili. Ma Barrett è anche un maestro nel raccontare filastrocche, come "Lucifer Sam", sorta di proto-hard rock, con un riff incalzante, accompagnato da tastiere che sembrano richiamare una atmosfera orientale, "The Scarecrow", basata su due nacchere e su un canto allucinato, e la gag comica in stile "freak" di "Bike". I lunghi viaggi "acidi" e le atmosfere scanzonate, uniti a una sonorità articolata, nata dall'unione di influenze diverse ma sempre del tutto unica e peculiare, permettono al disco di essere tutt'oggi uno dei lavori universalmente più amati del quartetto. In seguito a questo successo, ormai lanciati verso una folgorante carriera, i quattro partono per gli Stati Uniti in tour, ma è proprio qui che conosceranno le prime difficoltà.
    Barrett, infatti, comincia a manifestare i sintomi della schizofrenia (causata molto probabilmente dall'assunzione sistematica di Lsd), assentandosi sempre di più dalla vita del complesso: gli spettacoli dal vivo si fanno insostenibili, così come la pressione che il mondo della musica esercita su quella che è ritenuta, a ragione, la mente creativa del gruppo.
    La band opta allora per una soluzione di compromesso, con l'ingaggio del chitarrista David Gilmour (già amico d'infanzia di Barrett e Waters, nato a Cambridge il 6/3/1946), il quale, secondo i progetti del management, deve sopperire alle mancanze di Barrett (che comunque resta nelle vesti di autore) nei concerti. I singoli "Apples & Oranges" e "It Would Be So Nice" non replicano i successi precedenti e gli atteggiamenti bizzarri e imprevedibili di Barrett cominciano a minare l'attività del gruppo.Le precarie condizioni psichiche portano il leader a un impenetrabile autoisolamento e a un progressivo allontanamento dalle scene musicali, non prima della difficoltosa produzione di The Madcap Laughs (gennaio 1970) e Barrett (novembre 1970), due eccellenti album solisti realizzati con l'aiuto di Gilmour e Wright.
    Il nuovo manager dei Pink Floyd diventa Steve O'Rourke. E i quattro superstiti non si perdono d'animo e rientrano in studio per incidere il loro secondo album: A Saucerful of Secrets.
    Figlio del periodo di instabilità, il lavoro non lesina buone intuizioni, in particolare con la title-track che, come avrà modo di affermare Waters qualche anno più tardi, sembra la trasposizione musicale della parabola artistica dei Pink Floyd, con un inizio governato dall'istinto e un finale stupendo per ordine e limpidezza. Sono quasi dodici minuti di audace avanguardia psichedelica, che alternano terrore e misticismo. E' proprio il bassista a firmare gli altri brani trainanti del disco come l'iniziale raga tribal-psichedelico di "Let There Be More Light", la misteriosa e affascinante "Set the Controls for the Heart of the Sun", capolavoro della musica cosmica, e "Corporal Clegg", che mantiene un più saldo legame con lo stile dell'album d'esordio. C'è spazio anche per due composizioni firmate da Rick Wright ("Remember a Day" e "See Saw"), che per tutta la durata dell'album appare notevolmente ispirato, contribuendo non poco al sound onirico che lo pervade. Il disco si completa con una composizione di Barrett, "Jugband Blues", un piccolo bozzetto delirante, in cui il chitarrista si dimostra perfettamente conscio del suo stato di isolamento mentale, declamando versi che, letti a posteriori, sembrano voler rispondere in anticipo all'album che i quattro gli dedicheranno qualche anno dopo.
    Complessivamente, comunque,A Saucerful of Secrets appare segnato soprattutto dal chitarrismo di David Gilmour, che riporta la musica del gruppo verso territori più ancorati alla tradizione rock-blues.
    Il 69 è un anno frenetico, dal punto di vista artistico, per i Pink Floyd: il complesso si cimenta infatti nello sviluppo di due suite da proporre negli spettacoli dal vivo come "The Man" e "The Journey", e tenta il primo vero approccio con l'arte cinematografica scrivendo la colonna sonora per il film di Barbet Schroeder, More, a cui si aggiungono quelle per "Zabriskie Point" di Michelangelo Antonioni e "Music From The Body" di Roy Battersby, quest'ultima a nome del solo Waters.
    More, in particolare, è forse uno dei dischi più sottovalutati della produzione floydiana, straordinariamente coeso e delicato, con brani che fanno da scenario alle atmosfere del film uniti da una disarmante semplicità melodica. Da ricordare, fra tutti le composizioni, le brevi e acustiche "Cirrus Minor", "Green Is the Colour" e "Cymbaline", oltre alla minisuite "Main Theme", che sembra ricordare la parte centrale della precedente "A Saucerful of Secrets".
    Alla fine del 1969, i quattro pubblicano anche il monumentale Ummagumma, destinato a essere annoverato tra i loro capolavori. L'album si compone di due parti: una registrata dal vivo, in cui il gruppo ripercorre i primi successi, e una in studio, formata dal contributo che i quattro musicisti hanno fornito da "solisti", con composizioni sperimentali incentrate sui rispettivi strumenti. E' Wright ad aprire il disco con "Sysyphus", una suite strumentale che mescola musica classica e avanguardia. Waters si cimenta in due brani: l'acustica "Grantchester Meadows" (tra chitarre folk ed effetti di uccellini elettronici) e "Several Species of Small Furry Animals Gathered Together in a Cave and Grooving with a Pict", composizione prettamente noise che simula i rumori degli animali nel bosco; mentre Gilmour ci regala un saggio di bravura tecnica alla chitarra con la sua più meditata "The Narrow Way". Il disco è concluso da Mason con un ambizioso pezzo strumentale ("The Grand Vizier's Garden Party"), guidato, ovviamente, dalle percussioni. Nel disco dal vivo, brillano le versioni espanse di alcuni loro cavalli di battaglia (da "Astronomy Domine" a "Set The Controls For The Heart Of The Sun") e una delirante versione di quella "Careful With That Axe Eugene" che accompagna l'indimenticabile la scena finale di "Zabriskie Point". L'anno successivo vede i Pink Floyd cimentarsi con una nuova lunga composizione strumentale al quale verrà dato il curioso nome di lavorazione di "The Amazing Pudding". Negli intenti del gruppo il nuovo lungo pezzo dovrà stupire il pubblico, con effetti orchestrali senza precedenti nella loro produzione. Per le parti orchestrali viene chiamato il musicista scozzese Ron Geesin, al quale viene affidato il compito di arricchire la versione "nuda" della suite (base ritmica e linee base di tastiere e chitarra), costruita dai quattro e già presentata al pubblico in occasione di alcuni concerti.
    Il risultato è eclatante: la suite, che si dipana attraverso straordinari "dialoghi" tra musica sinfonica (imponente è l'uso degli ottoni e del coro) e rock, prende il nome diAtom Heart Mother (dalla notizia di cronaca di una signora incinta tenuta in vita da uno stimolatore cardiaco atomico) e diventa la title-track del nuovo album, del quale andrà a occupare l'intera prima facciata.
    I movimenti più suggestivi della suite sono "Breast Milky", caratterizzato dal celeberrimo dialogo tra l'organo arpeggiato e il violoncello, sul quale si inserisce infine la chitarra di Gilmour, e "Funky Dung", con basso e organo che lavorano in contrappunto e Gilmour alle prese con uno dei migliori soli chitarristici della sua carriera, prima dell'avvento del coro e dell'organo di Wright. La chiusura della suite è affidata a "Mind Your Throats Please" (caratteristica variazione floydiana di stampo rumoristico-psichedelico) e a "Remergence", in cui riemergono i temi prima dell'overtoure e poi del duetto violoncello e organo. Il finale è imponente, con una chitarra sempre incisiva e con l'orchestra e i cori che scandiscono il crescendo musicale.
    La seconda facciata si apre con la delicata "If " di Waters (un semplice arpeggio di chitarra, la voce soffusa che sussurra parole intrise di malinconica poesia, una chitarra sognante nei brevi intermezzi musicali) e prosegue con "Summer '68", notevole pezzo di Wright (anche qui si nota l'uso dei fiati), l'onirica "Fat Old Sun" di Gilmour (canto caldo e suadente, chitarra sempre composta ma inesorabile) e si conclude con l'esperimento di "Alan's Psychedelic Breakfast", costituita da tre diversi momenti strumentali (il primo centrato sull'organo, il secondo sulle chitarre, il terzo più variegato e vicino allo stile dei primi Genesis) con la registrazione di una colazione all'inglese in sottofondo. Nata con l'ambizione di rappresentare la giornata di un uomo comune e ispirata a un roadie già immortalato nel retrocopertina di "Ummagumma"), la suite di Alan è a tutti gli effetti un esperimento poco riuscito.
    Primo lavoro autoprodotto dai Pink Floyd e considerato il loro disco "progressive", Atom Heart Mother va ricordato anche per la "storica" copertina, raffigurante una mucca al pascolo.
    Il successo di una musica così complessa si traduce ben presto in un'effettiva difficoltà di messa in scena, che richiede al complesso l'elaborazione di nuovo materiale da suonare in tutti gli angoli del mondo. Nasce così Meddle (1971), un album in cui i Pink Floyd più che rinnegare l'amore verso le lunghe suite (in questo caso la seconda facciata è occupata dalla splendida "Echoes"), danno un taglio alle divagazioni sinfoniche e si orientano verso sonorità più rock, agevolmente riproponibili nei concerti. Memorabile è l'iniziale "One of These Days", pezzo strumentale incentrato sul basso di Waters, amplificato sperimentalmente con un eco Binson, e impreziosito anche dal lungo assolo "slide" della chitarra di Gilmour. Da ricordare anche "Fearless", brano più quieto, caratterizzato da un coro dei tifosi del Liverpool nel finale.
    Nel maggio 1971 viene pubblicato anche Relics, raccolta contenente diversi singoli mai apparsi su Lp, risalenti al periodo-Barrett, ma anche alcune perle del "primo" Waters edite solo su 45 giri, come la splendida ballata acustica di "Julia Dream".
    Successivamente, i quattro decidono di registrare, con la direzione di Adrian Maben, un concerto senza pubblico tra le rovine di Pompei: il risultato è eccezionale, il complesso suona in maniera efficace vecchi e nuovi successi in uno scenario straordinariamente suggestivo. Il film Live At Pompei (1972) di Adrian Maben è una efficace e suggestiva testimonianza della straordinaria portata emotiva e visuale della musica dei Pink Floyd di questo periodo.
    Nel '72 si presenta ai Pink Floyd la possibilità di confrontarsi nuovamente con l'esperienza delle colone sonore: è ancora una volta Barbet Schroeder a commissionare la musica per il suo nuovo film, "La Vallée". Stavolta l'operazione si rivela un fallimento soprattutto per colpa del film, giudicato dalla critica come opera sciatta e inconcludente.
    L'album che ne deriva, Obscured By Clouds, smontato dai critici, va ricordato soprattutto per le atmosfere marcatamente rock, per la maturità dei testi di Waters e per alcuni pezzi orecchiabili come "Free Four" e "Childhood End".
    Nello stesso periodo, il complesso lavora allo sviluppo di una suite concettuale sull'alienazione umana, il cui titolo provvisorio è "Eclipsed - A Piece For Assorted Lunatics". La suite viene "rodata" dal vivo per lungo tempo, prima di essere elaborata in studio con l'inserimento di effetti particolari, grazie all'aiuto del tecnico del suono Alan Parsons. Ne scaturisce uno dei grandi kolossal della band, The Dark Side Of The Moon.
    Superbo saggio di produzione audio-fonica, forte di contenuti testuali ad effetto (con riferimenti alla natura effimera della vita, al denaro, all'incomunicabilità e alla follia) il disco presenta tuttavia alcuni passaggi a vuoto, a cominciare dall'insipida "Money" (con il celebre sassofono di Dick Parry), per poi passare attraverso i trucchi (talvolta ruffiani) di "Speak to Me" e "On the Run", perfette comunque nel rendere lo stato di ansia del protagonista, riuscendo a fondere, tra rumori e soluzioni sonore d'avanguardia, momenti di alto contenuto sonico-spaziale, ponendo le coordinate su cui si poggia il pensiero pessimista di un Waters alquanto disorientato, autentico ambasciatore di quel tema dell'incomunicabilità di cui "The Dark Side" risulta un drammatico spaccato. Non mancano, però, momenti di intenso lirismo, come dimostra "Time", trascinante nella sua felicissima fusione tra testo e musica, con un debordante assolo di Gilmour alla chitarra. La prima parte del disco si completa con una elegia alla pazzia, ma anche, allo stesso tempo, alla libertà dell'uomo, schiavo di una società che tende a opprimerlo: "The Great Gig in the Sky", dominata dai vocalizzi di derivazione soul-gospel di Clare Torry, in grado di fondere fiammante liricità e drammaturgia quasi cinematografica. "Us and Them" vorrebbe rievocare "Breathe In the Air", ma la melodia, sebbene pink-floydiana al 100%, risulta convincente solo se inserita nel contesto dell'album. Un discorso che vale un po' per tutto "The Dark Side of the Moon": ciò che rende immortale quest'opera è il suo inconsueto approccio con l'art-system dell'epoca, qui fotografato in tutte le sue direzioni possibili. Per il rock si trattò di un prodigioso balzo verso un'era futuristica prossima a venire, mentre per quel che concerneva il song-writing i Pink Floyd hanno certamente scritto pagine di più elevata caratura artistica.
    Il risultato è comunque eclatante, davanti al gruppo si spalancano le porte del successo mondiale:The Dark Side Of The Moon rimane in classifica per lunghissimo tempo, divenendo uno dei maggiori successi commerciali di sempre. Tanto in Europa quanto in America, schiere di nuovi fan si raccolgono attorno al fenomeno Pink Floyd, lasciando anche una pesante incognita sul seguito da dare a un lavoro così fortunato. E' da questo disco in poi che Waters (autore di tutti i testi) assume sempre di più i gradi di leader della formazione.
    Per oltre un anno i quattro rimangono inattivi dal punto di vista compositivo, per poi ritrovarsi in studio nel '74 con la sola certezza di "Shine on You Crazy Diamond", anche questo un brano piuttosto lungo, formato dai contributi dei quattro musicisti e guidato dagli assoli alla chitarra di Gilmour.
    In un primo momento si pensa di riservare la prima facciata alla suite e la seconda a due brani: "Raving and Drooling" e "You Gotta Be Crazy". La lunga "gestazione" di Wish You Were Here suggerisce però ai Pink Floyd di intraprendere una strada diversa, trasferendo sul disco la sensazione di apatia e meccanicità che aleggiava su di loro: vengono scartati i due brani riservati alla seconda facciata, sostituti con nuove composizioni come la title-track (destinata a diventare una delle canzoni più famose della loro produzione), "Welcome To The Machine" e "Have A Cigar" (con alla voce Roy Harper), zeppe di accenni alla macchina tritatutto dello show-business. "Shine On You Crazy Diamond", invece, viene divisa in due parti, che aprono e chiudono il disco. Ne viene fuori un concept album sulla purezza e l'innocenza ormai perdute, con riferimenti neanche troppo velati a Syd Barrett, che si dice si fosse intrufolato, per un'ultima volta, negli studi durante le registrazioni. Musicalmente parlando, l'album è una gradevole prova stilistica, anche se si nota, rispetto agli album precedenti, la mancanza di quegli spunti innovativi che avevano sempre caratterizzato la produzione del gruppo inglese.
    Per rivedere i Pink Floyd in studio bisogna aspettare il 1977, anno in cui i quattro decidono di raccogliere in un disco il materiale scartato dall'album precedente. Il nuovo lavoro nasce così dall'adattamento musicale e testuale di vecchi pezzi scartati come "You Gotta Be Crazy" e "Raving and Drooling", secondo un nuovo filo conduttore: il riferimento al mondo animale. I due pezzi diventano rispettivamente "Dogs" e "Sheep" e insieme alla nuova "Pigs (three different ones)" e alle brevi parentesi iniziale e finale di "Pigs On The Wing", vanno a costituire Animals, un'invettiva contro alcune figure della società (con i testi di Waters "cattivi" come non mai), orwellianamente sostituite dalle specie animali. Dal punto di vista tecnico, degna di nota è la trascinante costruzione ritmica, con tutti gli strumenti sempre in perfetta armonia, quasi fusi tra di loro a generare un unico suono, senza mai ricorrere a virtuosismi fini a se stessi.
    Dopo la pubblicazione diAnimals, i Pink Floyd partono per un lungo e massacrante tour mondiale. Sarà in questa occasione che Waters, anche a causa di spiacevoli episodi, che lo vedranno protagonista perfino di screzi col pubblico, comincerà a sviluppare l'idea che porterà i quattro alla costruzione del loro ultimo capolavoro: The Wall.
    L'album, ispirato a quella sorta di "muro" di incomunicabilità che si era venuto a creare tra il complesso e il pubblico (un muro che col passare del tempo si arricchirà nella testa di Waters di tanti mattoni fino a farlo diventare un emblema dell'alienazione e dell'estraniazione dal mondo a tutto raggio) è sviluppato su due dischi e abbraccia diverse tematiche come discriminazioni, istruzione, show-business, fascismo e implicazioni autobiografiche di Waters, sempre più "padre padrone" del gruppo (durante le registrazioni nascono forti contrasti con Gilmour e, al termine della gestazione dell'album, Wright viene allontanato). Per gli arrangiamenti la band fa nuovamente ricorso a effetti eclatanti e addirittura a parti orchestrali, grazie all'aiuto esterno di Michael Kamen. Pur vantando alcuni pezzi eccezionali come "Another Brick in the Wall, part 2", "Hey You", "Is There Anybody Out There?" e "Comfortably Numb" (con il memorabile assolo di chitarra di Gilmour), il disco è essenzialmente un'opera unica: nessun brano è slegato dal precedente e tutti sono funzionali allo svolgimento della storia che ha nella rockstar Pink (che talvolta ricorda la figura di Barrett, mentre in altri momenti è l'alter ego dello stesso Waters) il frustrato protagonista. "Another Brick in the Wall, part 2", in particolare, si rivelerà uno dei più grandi hit della band: preannunciata dall'arrivo degli elicotteri, è una canzone di una semplicità disarmante, costruita su un solo accordo ma impreziosita dall'ennesimo solo di chitarra di Gilmour e da un coro dei bambini, composto da 23 ragazzi della Islington Green School di Londra, di età compresa fra i 13 e i 15 anni. Il celebre verso del ritornello ("non abbiamo bisogno di istruzione, non abbiamo bisogno di controllo del pensiero") sarà utilizzato dai manifestanti neri in occasione dell'anniversario della sommossa di Soweto repressa nel sangue: il governo razzista del Sud Africa proibirà la diffusione del brano e ne ritirerà tutte le copie dai negozi. Pur permeato da una visione cupa e pessimistica della vita, il disco si conclude comunque con il "crollo" del muro e con il messaggio di speranza di "Outside the Wall".
    L'album sarà premiato dal successo di vendite (clamoroso per un'opera su doppia distanza) e si presterà a una difficile quanto magnifica rappresentazione dal vivo: gli spettacoli saranno pochissimi ma memorabili, con il muro costruito a poco a poco sul palco, enormi pupazzi gonfiabili e coinvolgenti proiezioni.Da The Wall sarà tratto anche il film omonimo, con la regia di Alan Parker e Bob Geldof nel ruolo del protagonista Pink.
    Il complesso esce però dall'esperienza alquanto provato: i dissidi tra le due anime del gruppo (Waters e Gilmour) appaiono difficilmente sanabili e Wright, come detto, viene allontanato.
    I quattro decidono comunque di tornare in studio per registrare un album che, negli intenti, dovrà raccogliere il materiale scartato dal precedente lavoro.
    La guerra per le isole Falkland-Malvine, però, fa scattare una scintilla nella mente di Waters, che decide di comporre nuovo materiale con un comune denominatore nella mancata realizzazione del sogno di pace postbellico.
    L'album che ne viene fuori, The Final Cut, è in pratica una creatura del solo Waters, con gli altri membri relegati al ruolo di musicisti (e spesso neanche a quello). Di tutti gli album dei Pink Floyd è il meno coinvolgente, anche se la bellezza di alcuni brani (su tutti "The Gunners Dream" e "The Post-War Dream") rimane inattaccabile.
    Purtroppo il titolo del disco si rivela molto presto profetico, costituendo l'atto finale di Waters come membro della band.
    La volontà del bassista di sciogliere i Pink Floyd porterà a una lunga querelle con strascichi giudiziari per l'utilizzo di un marchio ormai sinonimo di best-seller, che vedrà Gilmour e Mason avere la meglio.
    Il chitarrista, con l'aiuto di illustri musicisti e il modesto supporto di un Mason quantomeno svogliato, pubblicherà nel 1987 A Momentary Lapse Of Reason, mentre nel 1994, con il rientro a pieno titolo di Wright e Mason nelle vesti di compositori ed esecutori, uscirà The Division Bell.
    I dischi, colmi di spunti tutt'altro che innovativi, seguiti dalle rispettive testimonianze live, Delicate Sound Of Thunder (1988) e Pulse (1995), se non altro ci consegnano dei musicisti tirati a lucido e sempre pronti a emozionare il pubblico, con concerti dagli apparati scenici mastodontici (da ricordare il famoso episodio di Venezia) e notevoli esecuzioni del glorioso repertorio.
    Più recente è la pubblicazione di furbe operazioni commerciali come The Wall Live e un improbabile "Best of", che se non altro hanno l'intento di attirare nuove schiere di appassionati verso il mito senza tempo dei Pink Floyd.


    jackforum.forumcommunity.net


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    Arti marziali cinesi (Cinese semplificato: 武术, Cinese tradizionale: 武術, Pinyin: wǔshù, Wade-Giles: wu3-shu4, da 武 wǔ “spedizione militare, guerra” e 术 shù “arte, metodo, tecnica”, anche kungfu, cinese: 功夫 pinyin: gōngfu, Wade-Giles kung1-fu, “abilità”, con sottinteso riferimento all’ambito marziale) è un nome collettivo con il quale si indica la totalità degli stili e dei metodi delle arti marziali nate in Cina, patrimonio ed eredità della cultura e della tradizione del popolo cinese.

    Nome

    La prima menzione del termine wǔshù (武术)risale alla dinastia Liang (梁)(502-557) ed è contenuta nella Raccolta letteraria del principe ereditario Zhaoming (昭明太子文选 Zhaoming taizi wenxuan) Nel 1927 con la fondazione della “Palestra Centrale d’Arte Nazionale di Nanchino” (南京中央国术馆 Nanjing zhongyang guoshuguan) si afferma l’espressione kuoshu “arte nazionale” (cinese tradizionale 國術, cinese semplificato 国术 pinyin guóshù, Wade-Giles kuo2-shu4), abbreviazione di Zhōngguó wǔshù (cinese tradizionale 中國武術, cinese semplificato 中国武术) “arti marziali cinesi”, ancora oggi parzialmente in uso nella Repubblica Cinese (Taiwan). Riscoperto in epoca Qing (清1644-1911) il vocabolo wushu viene utilizzato nel periodo repubblicano (1911-1948) ed adottato definitivamente dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1956 con la fondazione della “Associazione Cinese Wushu” (中国武术协会 Zhongguo wushu xiehui). Ad oggi l’impiego del termine wushu non è ancora universale, causa la giovane storia mondiale della disciplina e l’uso invalso di altri nomi per rappresentarla. Tra essi, oltre al già citato Kuo-shu (pinyin guoshu) – di uso sempre più limitato – il più diffuso è Kungfu (功夫 pinyin: gōngfu Wade-Giles Kung1-fu) “abilità, maestria”. Pur non essendo sinonimo di arte marziale, il termine Kungfu (gongfu) lo è divenuto per estensione, in quanto il “raggiungimento dell’abilità” (xia gongfu 下功夫) è l’obiettivo ultimo e irrinunciabile della pratica dell’arte marziale.

    Storia

    Nella Cina d’epoca feudale (dinastia Zhou XI sec.-221a.C.) l’élite dell’esercito era costituita dalla nobiltà guerriera, addestrata in arti come la guida del cocchio da guerra (yu 御), il tiro con l’arco (she 射) e il maneggio dell’alabarda (ge 戈), una particolarissima arma d’invenzione cinese la cui importanza è testimoniata dalla presenza nel lessico. Molte parole riferite all’ambito bellico hanno infatti per radicale il carattere ge 戈, compresa la stessa parola wu 武 (guerra, marziale) che è formata dall’unione dei caratteri “piede” 止 zhi e “alabarda” ge 戈, ad indicare appunto la spedizione militare. Ampiamente diffusa in questo periodo era anche la spada (jian 剑), che negli stati meridionali incarnava spesso significati magico-sacrali ed era oggetto di profonda ricerca estetica e tecnologica. Saranno proprio le fornaci meridionali ad imporsi per prime nella produzione di lame in acciaio con forgiatura ribattuta e tempra. Anche la lotta xiangpu e il pugilato quando erano attività popolari tra i soldati della Cina feudale.
    All’inizio dell’epoca Tang (618-907) pare risalire il mito dei bonzi guerrieri di Shàolín-sì (shaolin wuseng 少林武僧). Il documento più antico al riguardo è una stele in pietra datata 728che menziona la partecipazione di alcuni monaci a capo di un’armata nella battaglia di Hulao (虎牢之戰)del 621. Diversi studiosi orientali ed occidentali non ritengono tuttavia questo documento sufficiente a comprovare la pratica marziale a Shaolin prima dell’epoca Ming (1368-1644), per quanto neppure ad escluderla.
    Notizie dettagliate sulla varietà e ricchezza dei metodi del wushu si trovano a partire dal XVI secolo in manuali compilati da ufficiali dell’esercito Ming, come Yu Dayou 俞大猶 (1503-1580), Qi Jiguang 慼繼光 (1528-1587), Mao Yuanyi[9] 茅元儀 (1594-1640?) o esperti di wushu come Cheng Zongyou 程宗猶 (1561-?) .
    I monaci guerrieri di Shaolin e la loro abilità nell'arte marziale, in particolare nel maneggio del bastone, trovan menzione nelle cronache sulla repressione della pirateria nella regione del Zhejiang ad opera delle truppe Ming, ma anche in questo caso le notizie appaiono talvolta contrastanti.
    Molti dei sistemi (o “stili” o “scuole” menpai) oggi esistenti possono esser fatti risalire tra la fine della dinastia Ming e l’inizio della Qing. Alla fine dell’Ottocento, con l’introduzione delle armi da fuoco e il rinnovamento dell’esercito cinese, il wushu perde valore in ambito marziale per acquisirne in ambito ginnico e come tecnica di autodifesa. Alcuni illustri maestri, prima guardie del corpo ed istruttori dell’esercito, troveranno impiego quali insegnanti della neonata borghesia cinese.
    Con la nascita della Repubblica Cinese nel 1911 sorgono le prime scuole pubbliche di wushu e anche la prima “palestra statale” a Nanchino nel 1928 (Zhongyang Guoshuguan 中央国术馆 zhongyang guoshuguan). Il wushu è insegnato anche nelle accademie militari e alle forze di polizia e si tengono le prime competizioni sportive.
    Dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1948 la Commissione Cinese per l’Educazione Fisica, con lo scopo di creare uno sport dalle radici tipicamente cinesi, crea il wushu sportivo, le cui caratteristiche principali sono definite nel 1956 e negli anni successivi.

    La diffusione del Wushu nel mondo


    I film gongfu di Hong Kong degli anni ’70, in particolare le pellicole dell’attore cinoamericano Bruce Lee, icona del genere, ebbero un forte impatto sul pubblico occidentale e stimolarono l’interesse verso il wushu (kungfu), ma la disciplina non poté incontrare la domanda a causa delle gravi condizioni sociopolitiche cinesi. Si diffusero pertanto maggiormente le arti marziali di altri paesi asiatici, soprattutto Giappone (Judo, Karate, Aikido) e Corea (Taekwondo).
    Il wushu crebbe inizialmente negli USA e in modo marginale in Europa, ad opera di istruttori provenienti da Hong Kong e Taiwan. Negli anni ’80 l’apertura della RPC portò le prime squadre agonistiche cinesi in tournée in Occidente e anche la possibilità agli occidentali di frequentare scuole e istituti cinesi.
    Constatato l’interesse che il wushu andava suscitando in tutto il mondo, dalla metà degli anni ’80 le autorità cinesi organizzarono corsi speciali per stranieri e diedero l’opportunità ad atleti ed insegnanti cinesi di recarsi all’estero per insegnare. A questa iniziativa seguì la pubblicazione di una serie di materiali didattici e divulgativi, cartacei e video, nelle principali lingue occidentali. Nel 1985 si costituì a Bologna la European Wushu Federation (EWF) e nel 1990 nacque a Pechino la International Wushu Federation (IwuF).
    Oltre al wushu sportivo, anche il wushu tradizionale conobbe una crescente diffusione e a partire dagli anni ’80 mise solide radici oltre che in Asia anche in Occidente, in particolare coi sistemi: Taijiquan, Shaolinquan, Tanglanquan, Baguazhang, Mizongquan, Yingzhaoquan, Tongbeiquan, Bajiquan, Yongchunquan (Wingchun), Baihequan, Hongjiaquan (Hong gar), Cailifuoquan (Choy Lee Fut). Ad oggi la maggior parte di praticanti e maestri di wushu, sia sportivo che tradizionale, si trova ancora in Estremo Oriente ma la disciplina è ormai presente in tutti i continenti.

    Leggende


    Il wushu è ricco di leggende e racconti popolari sulla gesta dei maestri e la creazione degli stili. Tra i più noti quello che vorrebbe il monaco indiano Bodhidharma (cinese Damo 达摩 ) creatore dello Shaolinquan, o l'immortale taoista Zhang Sanfeng 张三丰 creatore del Taijiquan.
    Si racconta che Bodhidharma ottenne l'illuminazione dopo nove anni di meditazione in una grotta presso il monastero di Shaolin. Dopo anni dalla sua dipartita alcuni monaci rinvennero casualmente in una parete della grotta uno scrigno con un suo manoscritto nel quale li istruiva in alcuni esercizi ginnici adatti a rinforzare i loro corpi. I monaci ne ricevettero grande beneficio e svilupparono in seguito un'arte marziale grazie alla quale poterono difendersi dai briganti e dalle belve feroci.
    Di Zhang Sanfeng si narra invece che fosse un eremita taoista del monte Wudang 武当山. Una notte sognò l'Imperatore Oscuro e Marziale – dio del monte Wudang – che gli insegnò un pugilato col quale nei giorni seguenti poté uccidere da solo più di cento banditi. Secondo altre versioni invece creò da sé un’arte marziale ispirato dalla visione di un combattimento tra una gru e un serpente.
    Entrambi i personaggi, la cui esistenza storica è ancora dibattuta, non avrebbero in realtà alcun collegamento con l'arte marziale, come hanno evidenziato numerosi storici a partire da Tang Hao. Neppure il preteso ruolo di alcune comunità religiose, in particolare Shaolin 少林, Wudang 武当 ed E-mei 峨嵋, nella creazione di sistemi di combattimento, avrebbe fondamenti storici. Gli studiosi del settore sono orientati a ritenere questi racconti leggende popolari alimentate e perpetuate da una fantasiosa e copiosa letteratura.

    Aspetti tecnici

    Il wushu non è una singola disciplina ma l’insieme dei sistemi marziali elaborati nei secoli e generalmente denominati quan 拳 (lett. “pugilato”). La maggior parte di essi prevede sia la pratica a mani nude (quanfa 拳法– “tecnica pugilistica” o quanshu 拳術 “arte pugilistica”) che con armi.
    Le tecniche utilizzate nel combattimento a mani nude sono raggruppate nelle “quattro tecniche offensive” (siji) 四擊): calciare (ti 踢), colpire con la mano o il braccio (da 打), proiettare (shuai 摔), eseguire una chiave articol
    Oltre alle quattro tecniche principali ne esistono anche altre come: colpire con la testa (touji 頭擊), con le ginocchia (xizhuang 膝撞), con spalle, anche, petto o schiena (kaofa 靠法), con la punta delle dita trafiggendo (zhichuan 指穿) o graffiando come un artiglio (zhuafa 抓法), ecc.
    L’allenamento del wushu è fondato sugli “otto metodi” (bafa 八法), cioè: braccia (shou 手), occhi ( yan 眼), tecnica del corpo (shenfa 身法), passi e posizioni (bu 步), concentrazione (jingshen 精神), energia/fiato (qi 氣), forza (li 力), abilità/allenamento (gong 功). I primi quattro metodi si riferiscono all’uso del corpo (braccia, gambe, tronco, sguardo); gli altri quattro allo sviluppo delle abilità psicofisiche necessarie a rendere la tecnica efficace.

    Wushu tradizionale

    Con “wushu tradizionale” (傳統武術 chuantong wushu) si intende l’insieme dei sistemi marziali cinesi elaborati e tramandati da maestro ad allievo sino ai giorni nostri, il cui fine era originariamente l’addestramento al combattimento a mani e con armi. Nella società moderna il wushu tradizionale è praticato soprattutto come metodo salutistico e ricerca psicofisica per quanto l’aspetto marziale sia ancora presente, con gradazioni diversi, in molte scuole.

    Suddivisione degli stili

    Il wusuhu tradizionale è rappresentato da “scuole” o “stili” (menpai 門派), ognuno dei quali possiede un bagaglio di tecniche a mani nude e con armi, metodi d’allenamento e conoscenze strategiche proprie, frutto dell’elaborazione e della trasmissione di generazioni di maestri..

    Queste “scuole” sono generalmente denominate quan 拳 (pugno, pugilato) e in forma sporadica anche men 門 (insegnamento, scuola) o zhang 掌 (palmo/i), tui 腿 (gamba/e), jiao 腳 (piede/gamba).

    All’interno delle singole scuole può esservi un’ulteriore ramificazione in “stili” (shì 式 o pài 派) o “famiglie” (jia 家 o shì 氏), dovuta alla determinante influenza di un certo maestro, o della sua famiglia, nella divulgazione dell’arte.
    Negli ultimi secoli gli storici cinesi hanno tentato di suddividere le diverse scuole sulla base delle affinità tecniche. Alla fine dell’ultima dinastia, e ancor più in periodo repubblicano, con la diffusione della stampa di settore si sono affermati due modelli: uno basato sulla locazione geografica nord/sud, uno sulla differenza tecnica interno/esterno.

    Stili del nord stili del sud


    La suddivisione del wushu in “stili del nord e stili del sud” (nanbeiquan 南北拳) prende spunto da una presunta differenza tecnica tra le scuole settentrionali (a nord del Fiume Azzurro), caratterizzate da movimenti ampi e fluidi, posizioni basse, frequente uso dei calci e dei salti, rispetto a quelle meridionali, caratterizzate da tecniche corte e potenti, posizioni strette ed alte, uso ridotto dei calci e dei salti, fitto utilizzo delle braccia. Di qui il detto “calci al nord, pugni al sud” (beitui nanquan北腿南拳).
    Questa tesi, pur avvalorata da alcuni esempi (Shaolinquan, Huaquan, per gli stili del nord, Baihequan, Wuzuquan per gli stili del sud) risulta contraddetta da altri (Baguazhang, Xingyiquan per gli stili del nord, Cailifoquan, Honggar per quelli del sud).
    Storicamente, alla luce della straordinaria mobilità di genti e idee che hanno attraversato la Cina nei secoli, ha infatti poco senso parlare di “stili del nord e stili del sud”, a meno che non ci si riferisca solo ed unicamente a quegli stili che effettivamente rientrano nelle caratteristiche sopracitate.

    Stili interni e stili esterni


    La suddivisione del wushu in “scuole interne” (neijia 内家) e “scuole esterne” (waijia 外家) nasce probabilmente alla fine dell’Ottocento in seno ai circoli marzialisti della capitale e prende spunto dall’epitaffio per Wang Zhengnan (Wang Zhengnan muming zhi 王征南墓志铭), scritto nel 1669 dal letterato confuciano Huang Zongxi 黄宗羲 (1610-1695)
    Nel testo si evidenziava una differenza sostanziale tra la tecnica di Shaolin detta “scuola esterna”, che si affida all’attacco impetuoso e travolgente, e quella del maestro Wang Zhengnan 王征南 (1616-1669), detta “scuola interna”, che privilegia la difesa, le proiezioni e i colpi ai punti vitali.
    In seguito è divenuto comune considerare “interni” stili come taijiquan, xinyiquan e baguazhang ed “esterni” stili come shaolinquan, fanziquan, chuojiao, ecc. In verità i confini tra le due scuole sono molto relativi, per quanto sia evidente la fondamentale importanza attribuita “all’esercizio interno” (neigong 内功) negli stili interni, tanto da integrarlo in maniera indissolubile alla tecnica marziale, mentre negli stili esterni è spesso una componente separata dell’allenamento.

    Wushu sportivo


    Con "wushu nazionale standard" ( 国标武术 guobiao wushu ) si intende la disciplina sportiva formulata negli anni ’50 dalla Commissione per lo Sport della Repubblica Popolare Cinese sulle basi del wushu tradizionale ed insegnata negli istituti di educazione fisica e nelle scuole dello sport cinesi, ". Il wushu standard si divide in due settori: forme (套路 taolu) e combattimento libero (散打 sanda).

    Forme


    Con “forme” si intendono esercizi costituiti da sequenze (套路 taolu) di movimenti concatenati. Sono presenti in molti sistemi di wushu tradizionale ed anche nel wushu standard, ove costituiscono anche un evento competitivo. Le forme possono essere a mano nuda (拳术套路 quanshu taolu) o con attrezzi (armi) (器械套路 qixie taolu).

    Stili interni

    Taijiquan

    (Cinese: 太極拳, Pinyin: Tàijíquán, Wade-Giles: T'ai Chi Ch'üan)
    Xingyiquan

    (Cinese: 形意拳, Pinyin: Xíngyìquán, Wade-Giles: Hsing I Ch'üan)
    Baguazhang

    (Cinese: 八卦掌, Pinyin: Bāguàzhǎng, Wade-Giles Pa Kua Chang)
    Liuhebafaquan

    Stili esterni

    Shaolinquan

    (Cinese: 少林拳, Wade-Giles: Shaolin Ch'üan) (letteralmente "Pugno della Giovane Foresta")

    Wing Chun


    (cinese: 永春, pinyin: yǒng chūn, Eterna Primavera - vengono anche utilizzati altri ideogrammi con lo stesso suono: 咏春 e 泳春). Il nome è l'abbreviazione di Wing Chun Kuen (永春拳, Pugilato dell'Eterna Primavera) e viene traslitterato in vari modi dalle diverse federazioni, ma nonostante il nome uguale o simile spesso vi sono sensibili differenze nell'interpretazione di alcuni princìpi

    Choy Lee Fut, Cailifo

    (Cinese: 蔡李佛) stile ideato da Chan Heung nel 1836 dalla sintesi degli stili di kung fu che imparò in gioventù da 3 grandi maestri. Lo stile è composto da innumerevoli forme, sia a mani nude che con le armi. Lo stile è caratterizzato da movimenti ampi e veloci di braccia che mirano al colpire senza tregua uno o più avversari durante un combattimento.

    Bajiquan

    (Cinese八極拳 Wade-Giles Pa Chi Ch'üan ). Letteralmente boxe delle 8 direzioni, caratterizzato da posizioni basse, calci bassi e colpi portati in modo "esplosivo"; è ora lo stile praticato ufficialmente dai militari dell'esercito cinese.

    Fanziquan

    (Cinese 翻子拳, Pinyin: Fānziquán )

    Hongjia


    (Cinese: 洪家, pinyin: Hóngjiā). Stile ampiamente conosciuto per via della sua efficacia nel combattimento e nel rafforzamento del corpo del praticante. È uno stile duro, basato molto sul wu hsing shaolin ch'uan.

    Meihuaquan
    (Cinese: 梅花拳, Pinyin: Meihuaquan)

    Hongquan


    (Cinese: 红拳, 洪拳, 鸿拳, Pinyin: Hongquan)

    Baimeiquan


    (Cinese: 白眉拳, Pinyin: Baimeiquan). Stile taoista del soppraciglio bianco, leggendariamente fondato e praticato da colui che avrebbe tradito il monastero di Shaolin, il monaco Pak Mei.

    Tongbeiquan


    (Cinese: 通背拳, Pinyin: Tongbeiquan)

    Lanshoumen

    (Cinese: 拦手门, Pinyin: Lanshoumen)

    Sanhuang Paochui


    (Cinese: 三皇炮捶, Pinyin: Sanhuang Paochui)

    Bafaquan

    (Cinese: 八法拳, Pinyin: Bafaquan)

    Mingtangquan


    (Cinese: 明堂拳, Pinyin: Mingtangquan)

    Mizongquan


    (Cinese: 迷踪拳, Pinyin: Mizongquan)

    Sunbinquan


    (Cinese: 孙宾拳, Pinyin: Sunbinquan)

    Rougongmen


    (Cinese: 柔功门, Pinyin: Rougongmen)

    Kejiaquan


    (Cinese: 客家拳, Pinyin: Kejiaquan)

    Yingmenquan

    (Cinese: 硬门拳, Pinyin: Yingmenquan)

    Feihuquan

    (Cinese: 飞虎拳, Pinyin: Feihuquan)

    Goujiaquan


    (Cinese: 勾枷拳, Pinyin: Goujiaquan)

    Stili imitativi

    (Cinese: 象形拳, Pinyin: Xiangxingquan)

    Ditangquan


    (Cinese: 地躺拳, Pinyin: DItangquan). Boxe del tappeto

    Houquan


    (Cinese: 猴拳, Pinyin: Houquan). Boxe della scimmia

    Heihuquan

    (Cinese: 黑虎拳, Pinyin: Heihuaquan). Boxe della tigre nera

    Huquan

    (Cinese: 虎拳, Pinyin: Huquan). Boxe della tigre

    Longquan

    (Cinese: 龙拳, Pinyin: Longquan). Boxe del drago

    Shequan

    (Cinese: 蛇拳, Pinyin: Shéquán). Boxe del serpente

    Niuquan

    (Cinese: 牛拳, Pinyin: Niúquán). Boxee del Bue

    Bailongquan


    (Cinese: 白龙拳, Pinyin: Bailongquan, Wade-Giles: Pai lung Ch'üan). Boxe del Drago Bianco

    Tanglangquan

    (Cinese: 螳螂拳, Pinyin: Tánglángquán, Wade-Giles: Tang Lang Ch'üan). Boxe della mantide religiosa

    Tanglonghushi

    (Cinese: 螳螂虎式, Pinyin: Tángláng hǔ shì). Stile della tigre e della mantide religiosa

    Yingzhaoquan

    (Cinese: 鷹爪拳, Pinyin: yīng zhǎo quán, Wade-Giles: Ying Jow Pai Ch'üan). Boxe dell'artiglio dell'aquila

    Zuijiuquan

    (Cinese: 醉酒拳, Pinyin: Zuijiuquan). Boxe dell'ubriaco

    Da Sheng Pi Gua Men

    (Cinese: 大聖劈掛門, Pinyin: Dà shèng pī guà mén, Wade-Giles: Tai Shing Pek Kwar). Boxe della scimmia

    Wushu Moderno sportivo

    Il Wushu moderno sportivo è stato sport dimostrativo alle Olimpiadi del 2000. Alle Olimpiadi di Pechino del 2008 si è tenuta una competizione di Wushu ma non è stato uno dei 28 sport ufficiali. Il Wushu moderno può essere suddiviso in 2 rami principali detti Taolu e Sanshou. Con Taolu si indicano delle sequenze di movimenti codificate e concatenate nelle cosiddette "forme", mentre con il termine Sanshou si indica il combattimento.

    Taolu

    Le sequenze di movimenti seguono i principi di diversi metodi e stili, e possono essere a mano nuda o con attrezzi ed armi.

    Chang Quan


    (Cinese tradizionale: 長拳, Cinese semplificato: 长拳, Pinyin: Cháng quán) letteralmente 长 Chang = lungo, 拳 Quan = pugno. L'origine del Changquan si fa risalire all'imperatore Song Taizu e le sue tecniche si trovano descritte nel trattato, sugli stili del Wushu, del Generale Qi Jiguang.
    In epoca moderna il Changquan è diventato la disciplina nazionale più diffusa, seconda solo al Taijiquan, e la sua tecnica è stata codificata in forme chiamate Taolu. La particolarità principale del Changquan è costituita dai gesti ampi e distesi, con movimenti agili e rapidi nei quali la mano si allunga per attaccare a distanza. Il passo è veloce, il salto elevato, le sequenze di movimenti caratterizzate da un ritmo vivace ma variato, dove alla velocità si alternano lentezza ed alcune pause.
    Le posizioni statiche sono molto solide, i ritmi chiaramente definiti e i colpi molto precisi e le doti acrobatiche degli atleti sono molto evidenziate.
    Attraverso gli esercizi si accresce la forza, la velocità, l'agilità, la flessibilità e la resistenza, viene stimolato lo sviluppo fisico, ci si addestra nella tecnica di difesa e di attacco.
    Lo studio del Changquan include anche la conoscenza delle 4 armi di base: il bastone e la lancia - armi lunghe; la spada e la sciabola - armi corte.

    Nanquan


    (Cinese: 南拳 Pinyin: Nán quan) traducibile in 南 Nan = sud, 拳 Quan = pugno. Il termine 南拳Nánquán indica l’insieme di stili delle arti marziali cinesi che si sono originati e sviluppati a sud del fiume Yangtze, che conobbe una grande diffusione intorno al 1960.

    Il Nanquan contemporaneo è uno stile moderno, creato durante la grande rivoluzione culturale, derivato da alcuni degli stili più diffusi della regione del Guangdong, del Guangxi, del Fujian e dello Zhejiang fuse ad alcuni aspetti dei metodi di famiglie tradizionali come Hong, Li, Liu, Mo e Cai.
    La forza dei movimenti deriva da posizioni ristrette e stabili in cui le rotazioni rapidissime della vita generano una serie di movimenti veloci, forti e repentine delle braccia predilette alle tecniche di gambe, al punto che in Cina è popolare il detto Nanquan Beitui(pugni al Sud e calci al Nord).
    Il Nanquan è comunque caratterizzato nella sua pratica ed espressione da una ricca serie di fondamentali, gesti tecnici e gruppi di movimenti inconfondibili, sebbene nelle forma da competizione libere attualmente si vada perdendo alcuni di questi aspetti per guadagnare nelle prestazioni atletiche e nell’estetica più fine ed aggraziata.
    Inconfondibile rimane comunque l’utilizzo delle mani e delle dita (Shou fa, Zhi fa) e la postura durante l’esecuzione delle tecniche di pugno.
    Le caratteristiche peculiari e distintive del Nánquán consistono in movimenti e tecniche veloci, potenti, ferme e decise, con posizioni statiche e spostamenti solidi e repentini ma allo stesso tempo agili, e rispetto all’eleganza ed alla leziosità degli stili del Nord, esprime grande forza e vigore, espresso anche attraverso urla, dette fasheng, che rappresenta o riproduce le caratteristiche di animali, aspetto interpretabile come il predecessore del “kiai” caratteristico delle Arti Marziali nipponiche e coreane.
    Anche il Nanquan prevede l’utilizzo di molteplici armi, come la sciabola del Sud - Nandao 南刀, ed il bastone del Sud - Nangun 南棍, diverse dalle armi del Nord sia nell’aspetto sia nel maneggio e nell’esecuzione tecnica dei fondamentali; anche le armi sono incluse nelle forme prestabilite (taolu) durante le competizione ufficiali.

    Le armi

    Nelle arti marziali cinesi l'uso delle armi si è sviluppato parallelamente alla pratica a mani nude.
    Nel Wushu moderno le armi fondamentali sono:

    la sciabola (Cinese: 刀, Pinyin: Dao);
    il bastone (Cinese: 棍, Pinyin: Gun);
    la spada (Cinese: 劍; Pinyin Jian);
    la lancia (Cinese: 槍; Pinyin: Qiang).


    Sanda

    Con sanda 散打 o sanshou 散手 (combattimento libero) si intende il combattimento libero a mani nude nato e sviluppatosi in seno alle arti marziali cinesi.
    Tradizionalmente le norme dell’incontro venivano concordate dai contendenti o stabilite da una commissione arbitrale formata da maestri di chiara fama. Per quanto fosse consentita una vasta gamma di tecniche d’attacco e difesa, alcune erano generalmente vietate, es.: lotta a terra, strangolamento o colpi agli occhi, alla gola, ai genitali, ecc.
    Nel 1982 il sanda 散打 diviene ufficialmente lo disciplina da combattimento del wushu standard nazionale (guobiao wushu 国标武术), regolata da precise norme sportive (wushu sanshou jingsai guize 武术散手竞赛规则 – “regolamento di gara del combattimento libero del wushu”).
    I due termini sanshou 散手 e sanda 散打 sono dunque sinonimi intercambiabili nella percezione cinese. Sanshou 散手 è tuttavia usato anche per indicare il combattimento libero in ogni sua forma, mentre sanda 散打 è impiegato prevalentemente in ambito sportivo.
  7. .
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    La locuzione arti marziali giapponesi si riferisce all'enorme varietà di arti marziali sviluppatesi in Giappone. Nella lingua giapponese vi sono almeno tre termini che vengono usati indifferentemente per definirle nella loro totalità: "budō" (武道) o "via marziale", "bujutsu" (武術), sommariamente traducibile come "arte della guerra", e "bugei" (武芸), ossia "arte marziale". Il termine "budō" è relativamente recente, e viene usato per identificare la pratica delle arti marziali concepite come regola di vita, racchiudendo così le dimensioni fisica, spirituale e morale nell'ottica di un miglioramento, di una realizzazione o di una crescita personale. Gli altri termini, "bujutsu" e "bugei" hanno definizioni più limitate, almeno da un punto di vista storico: per esempio, Bujutsu si riferisce specificamente all'applicazione pratica delle tecniche e tattiche marziali in un combattimento reale.

    Storia

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    L'origine delle arti marziali giapponesi può ritrovarsi nella tradizione guerriera dei samurai e del sistema di caste che limitava l'uso delle armi ai membri delle classi guerriere, vietandone l'uso alla maggioranza della popolazione. Originariamente, si richiedeva e ci si aspettava che i samurai fossero perfettamente in grado di usare diversi tipi di armi e di combattere disarmati, sviluppando così l'assoluta maestria nelle capacità di combattimento che sarebbero servite loro per glorificare se stessi o il loro signore. Nel tempo, questo scopo fu alla base della filosofia che persegue una consapevolezza spirituale attraverso il perfezionamento delle proprie qualità marziali.
    In molte culture lo sviluppo delle tecniche di combattimento si è intrecciata con lo sviluppo degli strumenti atti a eseguire tali tecniche. In un mondo caratterizzato da una rapida evoluzione tecnologica di questi strumenti, si è sempre palesata la necessità di reinventare e adattare con continuità tali pratiche. La storia del Giappone, in questo contesto, è per certi versi unica per via del suo relativo isolamento. Comparate col resto del mondo, le armi che in Giappone venivano utilizzate evolsero più lentamente, e si pensa [1] che questa circostanza abbia consentito alla classe guerriera di studiare le loro armi meglio e più a fondo di altre culture. Ciononostante, l'insegnamento e la pratica di queste arti marziali evolse significativamente, sia durante le grandi battaglie dell'epoca Sengoku, sia durante i lunghi periodi di pace interna che seguirono e infine nell'epoca moderna e contemporanea.
    Le arti marziali originate o sviluppatesi in Giappone sono straordinariamente diverse, con grandi differenze negli apparati di insegnamento, nelle filosofie che ne hanno guidato la diffusione, nei metodi che contraddistinguono le migliaia di scuole e stili. Ciò detto, esse si dividono generalmente tra le arti di koryū e di gendai budō a seconda che se ne abbia traccia rispettivamente prima o dopo del Rinnovamento Meiji. Poiché molte arti di gendai budō e di koryū spesso sono evoluzione le une delle altre, è facile vedere parallelismi tra arti marziali (quali il kenjutsu col kendō, il jujutsu col judō o lo iaijutsu con lo iaidō) da una parte e dall'altra di questa divisione.

    Vi è qui un elenco delle principali arti marziali giapponesi.

    Senza armi

    Aikijutsu
    Chikarakurabe
    Chogusoku
    Daido Juku
    Genkotsu
    Gusoku
    Hakushi
    Jūdō
    Jujitsu
    Jutaijutsu
    Karate
    Kenpō (differisce da quello cinese)
    Kiaijutsu
    Kick boxing
    Kogusoku
    Koshi-no-mawari
    Koshi-no-wakari
    Kumiuchi
    Okinawa-te
    Roikumiuchi
    Shikaku
    Shobaku
    Shorinji Kenpō
    Sumai
    Sumo
    Taido
    Taidojutsu
    Te
    Tode
    Torite
    Wajutsu
    Yawara


    Con le armi

    Aikido

    Aikido

    Arco

    Kyūjutsu
    Kyūdō


    Lancia

    Sojutsu
    Yarijutsu
    Naginatajutsu (Atarashii Naginata)
    Sodgaramijutsu
    Sasumatajutsu


    Spada

    Tojutsu
    Kenjutsu
    Kendo
    Iaijutsu
    Iaido
    Tantojutsu


    Equitazione

    Bajutsu
    Jobajutsu
    Suibajutsu


    Nuoto

    Suieijutsu o Suijutsu

    Arte del ventaglio

    Tessenjutsu (tessen)


    Arte del bastone

    Jojutsu (bo)
    Jodo
    Tetsubojutsu


    Arte del jitte

    Jittejutsu


    Arte della catena e altri utensili


    Kusarijutsu
    Kusarigamajutsu
    Manrikikusari
    Chigirikijutsu


    Arti occulte


    Ninjutsu
    Toiri-no-jutsu
    Shinobijutsu
    Chikairi-no-jutsu
    Shurikenjutsu
    Yubijutsu
    Koppo
    Fukihari
    Suijohokojutsu

  8. .
    150px-Olympic_pictogram_Taekwondo
    Il taekwondo (태권도 IPA: /thɛʔkwʌndo/), letteralmente l'arte dei pugni e dei calci in volo, è un'arte marziale coreana (e sport nazionale in Corea del Sud) basata principalmente sull'uso di tecniche di calcio, nonché l'arte marziale che conta il maggior numero di praticanti in tutto il mondo. Il suo stile più seguito, il taekwondo WTF, è anche uno sport olimpico.

    TKD

    Informazioni generali

    Etimologicamente, il termine taekwondo si compone di tre ideogrammi: tae (calciare in volo), kwon (colpire con il pugno) e do (arte, disciplina): «l'arte dei pugni e dei calci in volo». Il nome di quest'arte marziale viene spesso abbreviato in TKD. Deriva dall'unione degli stili esterni della Cina del Nord e del taekyon, antica arte marziale coreana. Prevalentemente il taekwondo si compone di vari tipi di calci (soprattutto acrobatici), per i quali gli atleti fanno un allenamento specifico. Il taekwondo contiene anche delle forme, chiamate poomse, che prendono generalmente il nome dagli elementi della natura (acqua, acciaio, vento, fuoco, terra), da concetti filosofici orientali o da avvenimenti della storia coreana. Solitamente vengono fatte dimostrazioni di taekwondo, eseguendo rotture di tavolette con calci in volo e pugni. Il costume di allenamento del taekwondo è composto da una giacca bianca chiusa (e non aperta come quella del karate o del judo), dai pantaloni dello stesso colore della giacca e dalla cintura. Il colletto della casacca è bianco per le cinture colorate (tutte le cinture prima della nera) e nero per le cinture nere. Questa divisa viene chiamata dobok.
    Oggi il taekwondo è l'arte marziale con il più alto numero di praticanti in tutto il mondo: si stima siano circa 50 milioni.

    Storia


    Le origini del Taekwondo risalgono a circa 2000 anni fa. Fino al IV secolo la Corea era divisa in tre regni, Silla, Koguryo e Paekche, sempre in lotta tra loro. In questi territori cominciarono a diffondersi diverse tecniche di combattimento, delle quali rimangono molte testimonianze sotto forma di affreschi e pitture murali ritrovate sul soffitto di alcune tombe reali risalenti ai primi secoli dopo Cristo, come in quella di Muyong-chong, appartenente alla dinastia di Koguryo. Le pitture mostrano diversi individui che eseguono tecniche molto simili a quelle usate nel taekwondo odierno[6]. La più importante forma di arte marziale dell'epoca era il taekyon, letteralmente combattimento con le gambe; la forma odierna del taekwondo ha avuto origine dall'evoluzione attraverso i secoli di questo antico stile di combattimento.
    La forte spinta al perfezionamento di tali tecniche di combattimento fu la necessità da parte dei tre regni coreani di addestrare l'esercito per combattere i pirati giapponesi che mettevano in ginocchio molti territori del paese. L'impulso fondamentale per la diffusione delle arti marziali nel paese venne allorquando il regno di Silla organizzò un esercito, con l'aiuto del regno di Koguryo per scacciare i pirati; per farlo venne creato un gruppo di guerrieri, scelti tra i nobili del regno, chiamato Hwarang (uomo che fiorisce), al quale venne insegnata l'arte del taekyon. Essi a loro volta andarono in giro per il paese insegnando quest'arte e fondarono anche un'accademia militare chiamata Hwarang-do, ispirata da valori buddhisti come la lealtà verso la patria, la lealtà verso i genitori, la fratellanza, il coraggio e la giustizia. Grazie a questa cooperazione i tre regni furono unificati e il taekyon, che intanto continuava ad evolversi, diventò molto popolare tra gli usi e costumi della popolazione locale e nell'addestramento delle truppe.
    Nel 1910 il Giappone occupò la Corea vietando la pratica di ogni arte marziale, anche se spesso il taekyon continuò ad essere praticato clandestinamente. Al termine della seconda guerra mondiale il Giappone, sconfitto, ritira le sue truppe dalla Corea, che torna ad essere libera così come la pratica delle arti marziali: nascono così diverse scuole aperte a tutti che unificano le tecniche di combattimento sotto il nome di taekwondo. In Corea il taekwondo divenne presto Sport Nazionale (fu inserito nei Giochi Nazionali Coreani fin dall'inizio degli anni sessanta) e contemporaneamente iniziò a diffondersi nel resto mondo, distinguendosi dalle altre discipline per il dinamismo, la spettacolarità e l'efficacia delle sue tecniche di gamba (calci circolari ed in volo, calci multipli).

    La nascita delle federazioni mondiali

    Il 22 marzo 1966 venne fondata in Corea del Sud da parte del Generale Choi Hong Hi la International Taekwondo Federation (ITF), privata ed indipendente. Il 28 maggio 1973 venne fondata in Corea del Sud la World Taekwondo Federation (WTF). Nel 1990 il Maestro Park Jung Tae, dopo aver lavorato per la ITF, fondò la Global Taekwondo Federation (GTF). Quest'ultima non ricevette mai alcun finanziamento dai due governi coreani, cosa che avvenne invece per la WTF e la ITF. Dopo la morte del Gen. Choi, nel 2002, la ITF si frammentò in tre organismi indipendenti, uno che ereditava l'organico storico con a capo il Maestro Tran Trieu Quan, uno con a capo il figlio del Gen. Choi, Jung Hwa e un altro ancora con a capo Chang Ung, un allenatore di pallacanestro nordcoreano.

    Il taekwondo come sport olimpico (WTF)
    L'unica federazione che riuscì a non frammentarsi e ad avere un peso importante sul piano internazionale fu la WTF, come dimostrato ai Giochi Olimpici del 1988 a Seul, capitale della Corea del Sud, dove il taekwondo della World Taekwondo Federation compare per la prima volta come sport dimostrativo. Il taekwondo WTF sarà presente come sport dimostrativo anche all'edizione di Barcellona, nel 1992. A partire dall'edizione di Sydney 2000, il taekwondo WTF diventa Sport Olimpico Ufficiale. L'ultima edizione (Pechino 2008) ha visto un gran seguito di pubblico.
    L'Italia ha ottenuto la sua prima medaglia Olimpica per il taekwondo proprio a Pechino 2008 con Mauro Sarmiento, mentre in precedenza aveva ottenuto due significativi risultati quando questo sport era ancora dimostrativo, a Seul 1988 con la medaglia d'argento conquistata da Luigi D'Oriano e a Barcellona 1992 con la medaglia di bronzo conquistata da Domenico D'Alise.

    Le federazioni e il CIO
    La World Taekwondo Federation è l'unica federazione mondiale ad essere riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale, nonché da GAISF (General Association of International Sports Federations), ASOIF (Association of Summer Olympic International Federations), CISM (Conseil International du Sport Militaire) e FISU (International University Sports Federation). Il taekwondo WTF è l'unico ad essere riconosciuto come Sport Ufficiale in tutti gli eventi multisportivi ufficiali (Asian Games, Pan American Games, African Games, Military Games, Olimpiadi Universitarie e così via). Tutte le altre federazioni (ITF, GTF) non sono riconosciute in campo internazionale dal Comitato Olimpico Internazionale.
    La medesima situazione si riflette in Italia. In Italia la World Taekwondo Federation è rappresentata dalla Federazione Italiana Taekwondo (FITA). La FITA è l'unica federazione per il taekwondo in Italia risonosciuta dal CONI e l'unica autorizzata a portare atleti alle Olimpiadi per questa disciplina. Tutte le altre "federazioni" nazionali (FITAE, ITF-ITALIA, FITSPORT, Choi Jung Hwa Organization, GTI), affiliate alle rispettive federazioni internazionali (ITF o GTF) non sono federazioni riconosciute dal CONI, né da altri organismi facenti capo al CIO], ma sono solo associazioni sportive dilettantistiche.

    Le regole del taekwondo olimpico (WTF)

    Il combattimento del taekwondo sportivo si basa sul regolamento emanato dalla World Taekwondo Federation[10], applicato ad ogni livello di competizione, dai tornei locali fino alle Olimpiadi. I combattimenti si svolgono su un campo quadrato di 8 × 8 m, tra due atleti muniti di protezioni. Le protezioni obbligatorie sono:

    corazza (con sensori)
    caschetto
    conchiglia
    paradenti
    guantini
    parabraccia
    paratibia
    parapiedi (con sensori)

    Il combattimento è basato sull'assegnazione di punti ed è articolato in tre riprese (o round) da due minuti ciascuno, con una pausa di un minuto. L'atleta per fare punti deve colpire l'avversario sulla corazza con tecniche di calcio o di pugno (1 punto o 2 se in rotazione) oppure in testa (compreso il collo) con sole tecniche di calcio (3 punti o 4 se in rotazione). Il contatto è pieno e il KO è valido, non c'è limite ai colpi a meno che non si proceda ad un attacco falloso o una qualsiasi altra azione che richieda l'intervento dell'arbitro. Affinché un punto sia valido deve soddisfare alcuni requisiti di potenza e precisione. Al termine dei tre round l'atleta con il maggior numero di punti vince l'incontro. È possibile anche la vittoria per una differenza di punti pari a 12, tuttavia deve in ogni caso essersi concluso almeno il secondo round. In caso di parità si disputa un quarto round da due minuti in cui vale la regola del Golden Point, cioè vince l'atleta che riesce a segnare per primo un punto. Se il quarto round finisce senza che nessun atleta sia riuscito a segnare un punto, la vittoria viene assegnata a maggioranza dalla squadra arbitrale. Questa è composta generalmente da 4 giudici d'angolo, posti ai quattro angoli del quadrato di gara (anche se spesso il numero è inferiore) e un arbitro centrale. L'assegnazione dei punti è ormai elettronica, grazie a corpetti e calzari dotati di sensori e collegati con tecnologia bluetooth ad un computer. Si stanno sperimentando anche caschetti e guantini elettronici. I punti aggiuntivi generati da un calcio in rotazione che sia effettivamente andato a segno (cosa stabilita dai sensori elettronici), vengono assegnati invece dai giudici d'angolo con pulsantiere elettroniche collegate al medesimo computer. I punti vengono dunque visualizzati sempre in tempo reale su uno schermo.

    Esistono diverse azioni fallose punibili con l' ammonizione o con l'aggiunta di un punto all'avversario (detta deduzione di punto). Quando un atleta totalizza due ammonizioni, viene assegnato un punto all'avversario; viene assegnato un punto all'avversario anche per ogni deduzione di punto che un atleta si vede infliggere. Se un'atleta si vede infliggere penalità per un totale di 4 punti assegnati all'avversario, viene dichiarato perdente per penalità. Vengono punite con un' ammonizione le seguenti azioni fallose:

    uscire dalla linea di confine con entrambi i piedi
    girare la schiena all’avversario
    cadere volontariamente
    evitare il combattimento
    chiedere l'interruzione temporanea dell'incontro per motivi futili
    prendere, trattenere, spingere l’avversario
    attaccare sotto la cintura
    difendersi da un attacco alzando il ginocchio
    fingere lesioni
    colpire con la testa o con il ginocchio
    colpire il viso dell’avversario con attacchi di pugno
    proteste e comportamento antisportivo (dell’atleta e/o del suo coach).


    Vengono invece punite con una deduzione di punto le seguenti azioni fallose:

    attaccare l’avversario dopo l'interruzione dell'arbitro
    attaccare l’avversario caduto
    atterrare l’avversario prendendogli con il braccio il piede con cui ha attaccato o spingendolo con la mano
    ferire il viso dell’avversario con attacchi di pugno
    interrompere o boicottare lo svolgimento dell’incontro (da parte dell’atleta e/o del suo coach)
    proteste e comportamento antisportivo particolarmente gravi (dell’atleta e/o del suo coach)


    Nelle competizioni è usato anche il sistema dell' Instant Video Replay, noto anche come Moviola, che permette di verificare tramite l'esaminazione della ripresa video eventuali reclami dei coach degli atleti.

    Nelle competizioni, gli atleti sono suddivisi in categorie, sulla base del loro sesso, della loro età, del loro peso (verificato il giorno precedente la gara dagli Ufficiali di Gara) e della loro cintura. Ciò permette di avere combattimenti in cui le capacità tecniche, fisiche e mentali dei due atleti siano il più possibile eque. Di seguito le categorie d'età e di peso:

    Seniores (18-35 anni)


    Categoria Maschile Femminile
    Fin −54 kg −46 kg
    Fly 54-58 kg 46-49 kg
    Bantam 58-63 kg 49-53 kg
    Feather 63-68 kg 53-57 kg
    Light 68-74 kg 57-62 kg
    Welter 74-80 kg 62-67 kg
    Middle 80-87 kg 67-73 kg
    Heavy +87 kg +73 kg

    Juniores (14-17 anni)


    Categoria Maschile Femminile
    Fin −45 kg −42 kg
    Fly 45-48 kg 42-44 kg
    Bantam 48-51 kg 44-46 kg
    Feather 51-55 kg 46-49 kg
    Light 55-59 kg 49-52 kg
    Welter 59-63 kg 52-55 kg
    Light-Middle 63-68 kg 55-59 kg
    Middle 68-73 kg 59-63 kg
    Light-Heavy 73-78 kg 63-68 kg
    Heavy +78 kg +68 kg

    Cadetti "A" (12-13 anni) e Cadetti "B" (9-11 anni)


    I cadetti disputano incontri con rounds di durata minore: un minuto e mezzo anziché due. Inoltre per i Cadetti "B", data la tenera età, è vietato colpire alla testa e sono puniti con l'immediata squalifica nel caso ciò avvenga. In campo internazionale, la WTF non organizza campionati dedicati a questa classe d'età. Tali campionati vengono organizzati solo a livello locale e nazionale per permettere l'avviamento al combattimento degli atleti fin da giovani.

    Categoria Maschile Femminile
    Fin −33 kg −29 kg
    Fly 33-37 kg 29-33 kg
    Bantam 37-41 kg 33-37 kg
    Feather 41-45 kg 37-41 kg
    Light 45-49 kg 41-44 kg
    Welter 49-53 kg 44-47 kg
    Light-Middle 53-57 kg 47-51 kg
    Middle 57-61 kg 51-55 kg
    Light-Heavy 61-65 kg 55-59 kg
    Heavy +65 kg +59 kg

    Giochi olimpici

    Alle Olimpiadi le categorie si riducono a quattro, in quanto vengono fuse a due a due le categorie di peso della classe Seniores, decisione presa dalla WTF insieme al Comitato Olimpico Internazionale.

    Maschile Femminile
    −58 kg −49 kg
    58-68 kg 49-57 kg
    68-80 kg 57-67 kg
    +80 kg +67 kg

    Giochi olimpici giovanili


    Maschile Femminile
    −48 kg −44 kg
    48-55 kg 44-49 kg
    55-63 kg 49-55 kg
    63-73 kg 55-63 kg
    +73 kg +63 kg

    Le cinture del Taekwondo


    In una disciplina marziale come il Taekwondo sono presenti dei gradi, rappresentati dal colore della cintura che si indossa. Il colore delle cinture è associato a vari significati legati alla crescita dell'allievo nel Taekwondo: dalla purezza dell'ingenuità alla cosciente impenetrabilità alla paura.

    Bianca (10º KUP): non propriamente considerata come grado, in quanto tutti coloro che iniziano a praticare il taekwon-do sono cinture bianche. rappresenta la base dalla quale partire e la volontà di apprendere.
    Bianco-gialla (9º KUP): rappresenta l'ingenuità dell'allievo verso quest'arte.
    Gialla (8º KUP): rappresenta la terra, dove la pianta (l'allievo) mette le sue radici.
    Giallo-verde (7º KUP): grado intermedio tra la cintura gialla e la cintura verde.
    Verde (6º KUP): la pianta inizia a germogliare. L'arte comincia a svilupparsi nell'allievo, che ha imparato alcune tecniche.
    Verde-blu (5º KUP): grado intermedio tra la cintura verde e la cintura blu.
    Blu (4º KUP): la pianta ormai è cresciuta ed è rivolta verso il cielo, simbolo della cintura. Il taekwondo, per l'allievo, diventa qualcosa di importante ed egli vi progredisce.
    Blu-rossa(3º KUP): grado intermedio tra la cintura blu e la cintura rossa.
    Rossa (2º KUP): rappresenta il tramonto di una giornata, per l'allievo la fine di un tipo di allenamento. La cintura rossa è anche un segnale di pericolo: le tecniche possono diventare pericolose, è indispensabile l'autocontrollo.
    Rosso-nera (1º KUP): grado intermedio tra la cintura rossa e la cintura Nera. Generalmente il periodo in cui tale grado viene indossato è più lungo rispetto alle precedenti cinture colorate. Ciò permette la necessaria maturazione mentale e tecnica per poter sostenere l'esame di passaggio alla cintura Nera.
    Nera (1º DAN e successivi): rappresenta la notte. Per l'allievo inizia un nuovo metodo di allenamento sia fisico che mentale. Questo grado rappresenta anche l'impenetrabilità alla paura, alle tentazioni e al male. Il colore nero racchiude tutti i colori delle cinture precedenti. Un nuovo punto di inizio. I DAN sono 10, ma la difficoltà di ottenere un DAN aumenta considerevolmente con l'avanzare del grado. Infatti, mentre fino al 4º DAN ci si arriva sostenendo vari esami di passaggio, dal 5º in poi ci si può arrivare "per meriti conseguiti". L'ultimo DAN, estremamente difficile da ottenere, è la fine del lungo tragitto dell'atleta che ora ha compiuto la massima saggezza nel campo del Taekwondo.
    Poom (1º - 2º - 3º): È un grado che si ottiene se, pur avendo sostenuto gli esami per conseguire la cintura nera (1º - 2º - 3º DAN), non si ha l'età necessaria ad indossare il relativo grado. Per il 1º DAN è necessario avere 14 anni, 16 anni per il 2º DAN e 18 anni per il 3º DAN. La soglia minima d'età è istituita in quanto per poter indossare la cintura nera e i successivi gradi è necessaria una maturità mentale e spirituale, oltre che tecnico-fisica. Una volta raggiunta l'età necessaria, il Poom si converte automaticamente al corrispondente DAN, diventando così una cintura nera a tutti gli effetti.

    Viene spesso fatta una netta distinzione tra le cosiddette cinture colorate, cioè tutte le cinture precedenti la nera e cinture nere, a prescindere dal DAN. Ciò è dovuto sia alla differenza di esperienza e maturità esistente e sia per il diverso modo di conseguire la cintura: dal 1° DAN in poi, infatti, non si ottiene più la cintura mediante esami sociali (cioè fatti all'interno della propria società), bensì di fronte ad una commissione esterna su base regionale (per i primi 3 DAN) o nazionale (per i DAN superiori al 3°). La successione dei colori delle cinture e relativi significati sono identici nei due stili, WTF e ITF. L'unica differenza sta nel tipo di cintura utilizzato nei due stili per i gradi intermedi. Nella ITF i gradi intermedi vengono identificati tramite l'utilizzo di una striscia del colore corrispondente al grado superiore applicata sull'estremità sinistra, rispetto a chi indossa la cintura; la striscia è alta circa 1 cm e ricopre da lato a lato la parte più stretta della cintura ad un'altezza di circa 8–10 cm dall'estremità della cintura. Nello stile WTF, la cintura dei gradi intermedi è divisa cromaticamente in due campi, per tutta la lunghezza della cintura, uno del colore del grado inferiore e una del colore del grado superiore. Fa eccezione la cintura Rosso-Nera per la quale si utilizza un sistema identico a quello dell'altro stile per non confonderla con il grado Poom, che invece utilizza il sistema del doppio colore come per gli altri gradi intermedi. Spesso comunque, il sistema dello stile ITF, più tradizionale (e meno commerciale, in quanto non costringe all'acquisto di una cintura nuova dopo ogni esame), viene adottato anche nel Taekwondo WTF. Per quanto riguarda la cintura Nera, sulla cintura stessa vengono apposte delle tacchette bianche o dorate, per distinguere i vari DAN. Il numero di tacchette da apporre è uguale al DAN del proprio grado (per esempio, un allievo 2º DAN, avrà una cintura nera con due tacchette). Per il 1º DAN, solitamente non si appongono tacchette. Lo stesso sistema è usato per distinguere il grado degli allievi Poom.

    I princìpi del taekwondo

    La filosofia del taekwondo ha come fondamento l'etica, la morale, le norme spirituali attraverso le quali gli uomini possano convivere armoniosamente insieme.
    Le parole stesse del generale Choi ci aiutano a capire meglio: «spero sinceramente che attraverso il taekwondo ogni uomo possa acquistare la forza sufficiente per arrivare ad essere il guardiano della giustizia, opponendosi ai conflitti sociali e coltivando lo spirito umano al livello più alto possibile. È con questo spirito che mi sono dedicato all'arte del taekwondo per tutti i popoli del mondo».
    Il generale Choi stabilì la filosofia e i seguenti principi come le basi del taekwondo e tutti gli studenti seri di quest'arte li dovrebbero osservare e rispettare attraverso il loro cammino sia nell'arte che nella vita.

    Lo studente deve cercare di mettere in pratica i seguenti elementi di cortesia per costruire un carattere nobile.
    Cortesia (Ye Uil)
    여의

    Promuovere lo spirito di concessioni reciproche.
    Vergognarsi dei propri vizi, rifiutando quelli degli altri.
    Comportarsi educatamente.
    Incoraggiare il senso di giustizia e umanità.
    Riconoscere l'istruttore dallo studente, l'anziano dal giovane.
    Rispettare i beni altrui
    Agire con giustizia e con sincerità.


    Integrità (Yom chi)
    염치

    Bisogna distinguere il corretto dallo sbagliato e avere la consapevolezza quando qualcosa è sbagliato, di sentirsi colpevoli.


    Di seguito sono riportati alcuni esempi di mancanza di integrità.

    Il maestro disprezza sé stesso e l'arte, insegnando tecniche sbagliate ai suoi allievi per una mancanza di conoscenza o di volontà.
    L'istruttore nasconde le sue tecniche sbagliate con il lusso della palestra e falsi apprezzamenti ai suoi allievi.
    Lo studente ottiene un grado col solo scopo di sentirsi più potente
    L'istruttore che insegna e promuove l' arte solo ai fini materiali.
    Uno studente si vergogna di chiedere aiuto ai suoi minori in grado.


    Tutti questi principi sono riassumibili in queste regole:

    Avere la volontà di progredire qualsiasi siano le difficoltà incontrate
    Essere gentile con i deboli e duro con i forti
    Accontentarsi della posizione economica, ma non credere mai che sia al limite dello sviluppo della destrezza
    Portare sempre a termine ciò che si è iniziato, grande o piccolo che sia
    Essere il maestro a disposizione di tutti, senza tenere conto della religione, dell' etnia o delle ideologie degli allievi
    Non cedere mai alle opposizioni o alle minacce quando si sta perseguendo una nobile causa
    Insegnare l'attitudine e l'abilità, con atti e non con parole
    Essere sempre sé stesso in qualsiasi circostanza
    Essere l'eterno maestro, che insegna con il corpo quando è giovane, con le parole quando è vecchio, con i principi morali quando è morto.


    Terminologia


    Taekwondo Comandi di base
    Tae: calciare saltando

    Kwon: pugni
    Do: arte
    Arte di tirare calci in volo e colpire di pugno

    Dobok: divisa ufficiale
    Dojang: luogo in cui ci si dedica all'apprendimento del taekwondo
    Charyót: attenti

    Kyong-rye [pronuncia: chiong né]: saluto
    Joon-bi [pronuncia: junbi]: prepararsi
    Shi-Jak [pronuncia: Scijak]: inizio (del combattimento)
    Keuman [pronuncia: cuman]: fine (del combattimento)
    Barò: ritorno (alla posizione di partenza)
    Swiyo: riposo
    Haesan: potete andare
    Numeri Vario
    Hana(pronunciare hanà): uno

    Dool(pronunciare dul): due
    Set: tre
    Net: quattro
    Dasot: cinque
    Yosot: sei
    Ilgop: sette
    Yodul(pronunciare yodol): otto
    Ahob: nove
    Yol: dieci
    Jumuk: Pugno (prime due dita)

    Palmok: parata con il lato esterno del braccio
    Bacat: parata con la giuntura esterna del polso
    Sonkal: parata/attacco con il taglio della mano

    Jirugi (con "g" gutturale): si chiamano così tutti gli attacchi che prima di colpire girano
    Makgi (con "g" gutturale): parata

    Nopunde: alto
    Kaunde: medio
    Najunde: basso

    Ap: davanti
    Yobap: in linea con la spalla
    Yop: laterale


    Le forme nel taekwondo WTF (Taegeuk)


    Questa sezione è relativa alle forme del taekwondo WTF

    Le forme sono una serie di tecniche di braccia, calci e passi codificati e rappresentano dei combattimenti con avversari immaginari che attaccano da diverse direzioni.
    Agli inizi degli anni settanta l'Associazione Coreana di Taekwondo (KTA - Korean Taekwondo Union) unifica le forme del taekwondo in 17 poomse, che vengono ulteriormente riconosciuti dalla Federazione mondiale di Taekwondo (WTF). Attualmente le forme vengono curate, codificate e aggiornate dal Kukkiwon, il "quartier generale" del Taekwondo mondiale.

    Il-Jang = Aria

    «È qui il principio di ogni cosa. E com'è maestoso l'inizio se ha con sé la grandezza del cielo, il sapore dell'aria...»

    L'Aria simboleggia l'inizio della creazione di tutte le cose nell'universo, così come il primo Taegeuk rappresenta il primo passo nell'addestramento di Taekwondo. Questa forma è la più semplice da eseguire, in quanto costituita prevalentemente di tecniche di base come parate basse, medie e alte, attacchi di pugno e calci frontali. La forma è eseguita per il passaggio da 8º KUP a 7º KUP, cioè da cintura gialla a cintura giallo-verde.

    Ee-Jang = Lago

    «È nel profondo egli trovò tesori nascosti. Non esistono limiti invalicabili, nemmeno quelli che noi ci creiamo lo sono.»:Il secondo Taegeuk simboleggia la fermezza interna e l'elasticità esterna. Vengono introdotti in questa forma l'attacco di pugno alto e una rotazione e sono più frequenti i calci frontali. La forma è eseguita per il passaggio da 7º KUP a 6º KUP, cioè da cintura giallo-verde a cintura verde.

    Sam-Jang = Fuoco

    «Senza la sua energia non vi è vita. Ma rammenta sempre le conseguenze che può avere se non controllato.»

    Il terzo Taegeuk simboleggia il calore e la luce." Questa forma serve per incoraggiare gli allievi a fare propri il senso della giustizia e l'ardore per l'addestramento. Le nuove tecniche in questo Taegeuk sono gli attacchi alla tempia a mano aperta e la parata media a mano aperta, nonché il passo "dwitkubi". Questo poomsae è caratterizzato da successioni di attacchi e parate; l'enfasi è infatti posata sui contrattacchi contro le offese dell'avversario. La forma è eseguita per il passaggio da 6º KUP a 5º KUP, cioè da cintura verde a cintura verde-blu.

    Saa-Jang = Tuono

    «La sua forza scaturisce dal cielo. La sua potenza esplode sulla terra.»

    Il tuono simboleggia grande potere e dignità. Le tecniche nuove sono la doppia parata a mani aperte, l'attacco allo stomaco a mano aperta con sostegno, il calcio laterale, l'attacco di nocche al viso, la parata media interno-esterno. La forma è eseguita per il passaggio da 5º KUP a 4º KUP, cioè da cintura verde-blu a cintura blu.

    O-Jang = Vento

    «Forza gentile, impeto furioso. L'uno e l'altro insieme. Dolcezza e distruzione.»


    Il vento, così come questo Taegeuk simboleggiano la impeto possente e la calma, la forza e la debolezza insieme. Movimenti nuovi sono l'attacco di pugno sulla spalla, l'attacco di gomito, il salto dopo il calcio frontale per sferrare un attacco al viso con le nocche. Questa forma è caratterizzata da diverse successioni di due parate. La forma è eseguita per il passaggio da 4º KUP a 3º KUP, cioè da cintura blu a cintura blu-rossa.

    Yuk-Jang = Acqua

    «La calma del lago, l'impetuosità del fiume. Sempre lei, in un crescendo, calando.»


    Questo Taegeuk simboleggia un flusso incessante ma delicato. In questa forma vengono introdotti il calcio girato alto e la parata a mano aperta alta e media. È inoltre il primo Taegeuk ad avere fasi di recupero; esse sono seguite da partenze veloci ed impetuose. La forma è eseguita per il passaggio da 3º KUP a 2º KUP, cioè da citura blu-rossa a cintura rossa.

    Chil-Jang = Montagna

    «Il monte, la sua maestosità. A prescindere dalle sue dimensioni, la maestosità.»

    Questo Taegeuk rappresenta la fermezza e la poderosità. Introduce moltissime tecniche nuove tra cui il passo "beomseogi", la parate bassa con il palmo della mano e alta con il palmo della mano con sostegno, il calcio discendente, la presa della testa con relativa ginocchiata, la doppia parata bassa a mani aperte. La forma è eseguita per il passaggio da 2º KUP a 1º KUP, cioè da cintura rossa a cintura rosso-nera.

    Pal-Jang = Terra

    «La fine dell'inizio. Qui si chiude il cerchio. E tutto ha nuovamente inizio.»

    Questa è l'ultima forma delle cinture colorate che simboleggia la fine di un percorso che dovrebbe culminare con l'acquisizione della cintura nera, quindi di un nuovo metodo di allenamento. Tra le nuove tecniche di questa forma ci sono il doppio calcio frontale in volo, le doppie parate media e alta a pugni chiusi, la posizione con parata media e bassa contemporanee, il pugno ascendente al mento, l'attaco di gomito alto. La forma è eseguita per il passaggio da 1º KUP a 1º DAN, cioè da cintura rosso-nera a cintura nera 1ºDAN.

    Koryo = Corea

    Koryo (Corea) è il nome di una vecchia dinastia coreana. Il popolo del periodo Koryo sconfisse gli aggressori mongoli. Il loro spirito si riflette nei movimenti della Koryo. Ogni movimento di questa forma rappresenta la forza e l’energia spesi per controllare i mongoli. Questa è la prima forma che si impara da cintura nera ed ha un grado di difficoltà nettamente più alto rispetto alle precedenti. Per segnare questa profonda differenza, questo Taegeug presenta una posizione di parteza-arrivo diversa da tutte le altre forme. Questa posizione permette di raccogliere tutte le energie mentali e fisiche necessarie all'esecuzione della forma. La linea lungo cui si sviluppa il Taegeuk rappresenta una lettera cinese che in coreano significa uomo virtuoso, cioè un uomo che ha ormai pienamente acquisito lo spirito marziale proprio del taekwondo. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 1º DAN a cintura nera 2º DAN.

    Keumgang = Diamante

    I movimenti di questa forma sono magnifici e possenti come il monte Keumgang-San, duri ma fragili come il Keumgang-Seok, il diamante. La linea stessa disegnata dal Taegeuk rappresenta la lettera Cinese corrispondente alla parola montagna. I movimenti sono potenti e ben bilanciati come la dignità di una cintura nera. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 2º DAN a cintura nera 3º DAN.

    Taebaek = Luce

    I movimenti di questa forma sono precisi e veloci. Rappresentano la determinazione e la forza del leggendario Dangoon, che fondò il Taebaek ai piedi di Baekdoo, il monte più maestoso di tutta la Corea. La linea disegnata da questo Taegeuk rappresenta una lettera cinese il cui significato è ponte tra in Cielo e la Terra, cioè che gli esseri umani hanno fondato una nazione (la Corea) partendo dall'ordine del Cielo. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 3º DAN a cintura nera 4º DAN.

    Pyongwon = Pianura

    Il termine Pyongwon rappresenta la grandezza e la maestosità con la quale deve essere eseguita questa forma. Infatti il suo significato è la fonte della vita per tutte le creature ed il luogo dove gli esseri umani vivono la propria vita. Questo Taegeuk è basato sull'idea della pace. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 4º DAN a cintura nera 5º DAN.

    Sipjin = Dieci

    Questa è la forma dell'ordine nel caos, della stabilità, della certezza di ciò che si è imparato e acquisito. La parola Sipjin deriva dal concetto di longevità secondo il quale esistono dieci creature a vita eterna: il sole, la luna, la montagna, l'acqua, la pietra, il pino, l'erba della gioventù eterna, la testuggine, il cervo e la gru. Essi sono due corpi celesti, due piante, tre animali e 3 elementi naturali che infondono in ogni essere umano fede, generosità, amore e speranza. Questa forma simboleggia tutte queste cose. La lettera cinese disegnata dalla linea del Taegeuk significa dieci ma anche l'infinito nel sistema di numerazione e quindi lo sviluppo incessante dell'atleta. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 5º DAN a cintura nera 6º DAN.

    Jitae = Terra

    La parola Jitae rappresenta un uomo che sta in piedi sulla terra con entrambi i piedi e che guarda il cielo. Quest'uomo simboleggia la lotta per la vita umana, così come i calci e i salti. Perciò, il poomsae simboleggia i vari aspetti che accadono nel corso della lotta di ogni essere umano per la propria esistenza. La linea disegnata dalla forma rappresenta un uomo che sta in piedi pronto a saltare verso il cielo. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 6º DAN a cintura nera 7º DAN.

    Chonkwon = Cielo

    La parola Chonkwon significa Cielo, cosmo, il Grande Possente che è l'origine di tutta la creazione. La sua completezza infinita rappresenta la nascita, il mutamento ed la fine. Gli esseri umani hanno usato il nome di Cielo per tutte le forme terrene principali e dato lui tanti significati perché essi si sentono impauriti da quanto possa essere potente. Più di 9000 anni fa, il fondatore del popolo coreano, Chonkwon fu inviato dal Re Paradisiaco. Egli stabilì in terra la città paradisiaca come capitale, vicina al mare paradisiaco ed alla montagna paradisiaca, dove il popolo di Han partorì il pensiero e le azioni dalle quali ebbe origine il Taekwondo. Movimenti caratteristici di questa forma sono le ampie e lente azioni di braccia che formano curve gentili, simboleggiando così la grandezza del pensiero di Chonkwon. La linea disegnata dalla forma è una T che simboleggia un uomo che viene giù dal cielo, sottoponendosi alla sua volontà ed adorandolo perché esso è la fonte del proprio potere ed esso rappresenta l'unicità tra il cosmo ed gli esseri umani. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 7º DAN a cintura nera 8º DAN.

    Hansu = Acqua

    La parola hansu significa acqua, fonte di ciò che è necessario a preservare la vita e a far crescere tutte le creature. Hansu simboleggia la nascita e la crescita di una vita, forza e debolezza, la magnanimità, l'armonia, ed l'adattabilità. Soprattutto han ha vari significati: numerosità, ampiezza, parità, lunghezza ed è il nome di un paese. La natura dell'acqua è caratterizzata dall'inderogabilità e della flessibilità, e tutti questi significati sono ciò da cui si è partiti per creare questa forma. Le azioni dovrebbero essere praticate leggermente e fluidamente come l'acqua ma allo stesso tempo con continuità, come farebbero delle goccioline d'acqua che raggruppandosi formano un intero oceano. La linea disegnata dalla forma simboleggia la lettera cinese che vuole dire acqua. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 8º DAN a cintura nera 9º DAN.

    Ilyeo = Identità

    Ilyeo è il nome delle idee portate avanti da Santo Wonhyo, un grande prete buddista appartenente alla dinastia dei Silla. Questo pensiero è caratterizzato dalla filosofia dell'unicità di mente (ente spirituale) e corpo (ente materiale). Insegna che un punto, una linea o un cerchio hanno in fin dei conti una fine comune, una fine nell'unicità. Perciò, il poomsae Ilyeo rappresenta l'armonizzazione di spirito e corpo che è l'essenza di un'arte marziale, ciò a cui un allievo dovrebbe arrivare dopo un lungo addestramento sia sui tanti tipi di tecniche, sia sulla cultura spirituale affinché si completi davvero l'insegnamento del Taekwondo. L'ultimo passo della forma, due pugni che si avvolgono l'uno dentro l'altro di fronte al mento, ha il significato di unificazione e moderazione e fa sì che l'energia spirituale possa fluire liberamente nel corpo attraversando le due mani. La linea disegnata dalla forma rappresenta la svastica, un simbolo buddista buddista che non ha nulla a che fare con il significato attribuitogli in seguito dai nazisti e dalla cultura occidentale. Tale simbolo era usato nella commemorazione di Santo Wonhyo e che significa uno stato di abnegazione perfetta nel Buddismo, dove origine, sostanza e servizio entrano in congruenza. La forma è eseguita per il passaggio da cintura nera 9º DAN a cintura nera 10º DAN.

    Il regolamento nelle gare di forme WTF


    Il regolamento di gara per le forme è emanato dalla World Taekwondo Federation[12], insieme alle direttive decniche del Kukkiwon[11] (Quartier generale del taekwondo) ed applicato ad ogni livello di competizione. Una gara di forme si basa sulla valutazione del Taegeuk eseguito da un atleta mediante l'assegnazione di un determinato punteggio da parte di una squadra arbitrale composta da 3, 5 o 7 ufficiali di gara. Ogni ufficiale di gara assegna il proprio punteggio alla forma. Il punteggio più alto e quello più basso tra tutti i punteggi espressi dalla squadra arbitrale vengono eliminati, i restanti vengono sommati e questa somma determina il reale punteggio ottenuto dall'atleta per quella forma. Ogni giudice può assegnare un punteggio compreso tra 0 e 10. Tale punteggio è dato dalla somma di due voti, ognuno dei quali compreso tra 0 e 5: un voto per valutare la tecnica ed un altro per valutare l'esecuzione della forma.
    La tecnica è l'insieme dei movimenti che permette di adattare il comportamento motorio di un atleta per raggiungere la prestazione migliore. La caratteristica dei taegeuk è determinata da movimenti in cui la tecnica ha un alto valore qualitativo, dove lo scopo è quello di consentire all'atleta di farsi distinguere, al fine di raggiungere il massimo risultato (punteggio). Nella valutazione della tecnica, un giudice tiene conto di:

    Tecniche di braccia

    Devono essere valutate in funzione delle capacità che un atleta possiede, rispondendo adeguatamente a schemi che richiedono preparazione e precisione nell'esecuzione.

    Tecniche di gambe (Calci)

    Devono essere valutate con lo stesso criterio considerato per le tecniche di braccia.

    Posizioni (Passi)


    Vanno valutate in funzione della loro correttezza. Esse rappresentano l'elemento di base dei taegeuk, pertanto la valutazione deve tenere conto della diversità tecnica (anche delle posizioni di partenza come il sull'attenti, e la posizione di attesa prima dell'inizio) e cogliere la differenza tecnica esistente tra le posizioni.
    L' esecuzione comporta la rappresentazione di schemi tecnici codificati indispensabili per la coordinazione, per una corretta postura ed equilibrio. L'atleta deve dimostrare di avere un controllo di tutti i segmenti corporei, con esecuzioni di tecniche estremamente corrette ed armoniche. Nella valutazione dell' esecuzione si tiene conto di:

    Dinamicità

    È l'insieme dei movimenti tecnici compiuti dagli arti superiori ed inferiori, eseguiti con precisione e rapidità.

    Tenuta di tecnica

    Si intende la capacità che un atleta possiede nel produrre una contrazione isometrica di qualsiasi segmento corporeo.

    Espressività

    Rappresenta la capacità dell'atleta di comunicare con il proprio atteggiamento corporeo. L'espressività è una qualità personale.

    Ritmo

    Si intende una successione periodica di movimenti coordinati, eseguiti in maniera armonica, nel rispetto di un ordine prestabilito e conosciuto.

    Equilibrio

    Consiste nell'abilità che l'atleta ha nel mantenere uno stabile e specifico orientamento in riferimento al compito monotio che sta svolgendo.


    Per ogni sezione, il giudice parte da un punteggio massimo di 5 e va via via scalando da esso i punti, a seconda degli errori che riscontra. Esistono due gradi di gravità degli errori: per ogni errore lieve viene detratto un punteggio di 0,1, per ogni errore grave viene detratto un punteggio di 0,5.
    Gli errori considerati lievi (-0,1) sono:

    Imperfezioni delle tecniche di braccia
    Imperfezioni delle tecniche di gamba
    Imperfezioni dei passi
    Equilibrio scarso
    Mancata tenuta delle tecniche
    Scarsa preparazione delle tecniche
    Mancanza di potenza
    Mancanza di espressività
    Ritorno fuori dal punto di partenza nella misura di un piede
    L'area da cui dovrà partire e tornare l'atleta è identificata da un quadrato di 30 × 30 cm al centro di due materassine (2mq) di colore diverso dal quadrato di gara, che misura 12 × 12 m.


    Gli errori considerati gravi (−0,5) sono:

    Fermarsi e ripetere la forma
    Sguardo che non segue l'azione
    Sequenze ritmiche non rispettate (Movimenti concatenati obbligatori)
    Urlo non eseguito o eseguito nel punto sbagliato
    Ritorno fuori dal punto di partenza per oltre un piede
    Movimento saltato o aggiunto
    Fermarsi e ripartire con pausa di oltre 3 secondi
    Perdita di equilibrio evidente (Caduta o spostamento al di fuori della posizione)
    Tecniche di braccia, tecniche di gambe o posizioni sbagliate (Sostituzione di tecniche e passi con altri)

    Nel caso in cui due atleti riportino lo stesso punteggio, prevarrà l'atleta che avrà raggiunto un punteggio maggiore per l' esecuzione. Se la situazione di parità persiste si procede ad uno spareggio.
    Le forme nel Taekwondo ITF (Tul) [modifica]

    Questa sezione è relativa alle forme del taekwondo ITF


    Il perché delle forme.


    Nell'antico oriente vigeva una legge molto simile a quella di Hammurabi: occhio per occhio, dente per dente. Questa legge fu imposta anche quando la morte era accidentale. A causa di essa il combattimento libero non si poté sviluppare e fu proprio allora che l'allievo di arti marziali dovette inventarsi un metodo per provare le sue vere capacità di combattente.
    Poiché non poteva combattere con avversari reali cominciò ad inventarsene di immaginari, mettendo in ogni movimento tutta la forza e la convinzione possibile.
    La forma è infatti concepita come un combattimento immaginario contro uno o più avversari e serve per migliorare le proprie tecniche.
    Con la scissione della federazione internazionale(ITF) le forme sono rimaste pressoché invariate, le differenze fondamentali tra la ITF con a capo il maestro Tran Trieu Quan e la ITF con a capo il legittimo successore del fondatore, il gran maestro Choi Jung Hwa sono da ricercare nella variazione dei primi di alcuni movimenti all'interno delle stesse il che ha creato una visione differente delle suddette forme snaturando ciò che il generale Choi codificò, mentre nel caso della federazione con a capo il figlio del generale sono rimaste integre, senza variazioni di sorta, non avendo la necessità di porre la propria impronta sul lavoro di un illuminato delle arti marziali.

    Nel taekwondo ITF sono presenti 24 forme, come le ore contenute in un giorno.


    Chon-ji (Esame per 8º KUP - Passaggio da cintura bianco-gialla a cintura gialla):
    19 Movimenti
    Chon-ji:significa letteralmente il cielo e la terra. È l'interpretazione orientale della creazione del mondo e delle origini della storia umana,per questo è la prima forma che si impara. La forma è composta da due parti simili:una rappresenta il cielo e una la terra.Il suo diagramma rappresenta una croce,poiché sia la prima sia la seconda parte vanno eseguite nelle quattro direzioni. video di questa forma

    Dan-gun (Esame per 7º KUP - Passaggio da cintura gialla a cintura giallo-verde):
    21 Movimenti
    è il nome del grande Dan-Gun, leggendario fondatore della Corea nel 2333 a.C. Finisce con un attacco sinistro perché la leggenda non corrisponde completamente alla realtà (l'attacco sinistro è più debole del destro) video di questa forma

    Do-san (Esame per 6º KUP - Passaggio da cintura giallo-verde a cintura verde):
    24 Movimenti
    È lo pseudonimo del patriota Ahn Chang Ho (1876-1938):
    I 24 movimenti rappresentano i 24 anni che dedicò all' indipendenza e al progresso della Corea. video di questa forma

    Won-hyo (Esame per 5º KUP - Passaggio da cintura verde a cintura verde-blu):
    28 Movimenti
    Fu il famoso monaco che introdusse il buddismo in corea durante la dinastia Silla nel 686 d.C. video di questa forma

    Yul-Gok (Esame per 4º KUP - Passaggio da cintura verde-blu a cintura blu):
    38 Movimenti
    È lo pseudonimo del grande filosofo e studioso Yil (1536-1584) soprannominato il Confucio della Corea.
    I 38 movimenti di questa forma si riferiscono al suo luogo di nascita, il 38º parallelo
    Il diagramma della forma significa studioso. video di questa forma

    Joon-Gun (Esame per 3º KUP - Passaggio da cintura blu a cintura blu-rossa):
    32 Movimenti
    È lo pseudonimo del patriota Ahn Joon Gun, che assassinò Hiro Bumi Hito, il primo governatore generale giapponese della Corea. Hiro Bumi Hito è anche conosciuto come l'uomo che giocò una parte importante nella fusione tra Corea e Giappone. Questa forma è composta da 32 movimenti che rappresentano l'età di Ahn quando fu giustiziato nel 1910 nella prigione di Lui-Shung. video di questa forma

    Toi-Gye (Esame per 2º KUP - Passaggio da cintura blu-rossa a cintura rossa):
    37 Movimenti
    È lo pseudonimo del noto studioso Yu Hwang (XVI secolo), un'autorità del Neoconfucianesimo.
    I 37 movimenti di questa forma si riferiscono al 37º parallelo, suo luogo di nascita.
    Il diagramma significa studioso. video di questa forma

    Hwa-Rang[14] (Esame per 1º KUP - Passaggio da cintura rossa a cintura rosso-nera):
    29 Movimenti
    È il nome del gruppo giovanile Hwarang, originato durante la dinastia Silla all'inizio del VII secolo. I 29 movimenti si riferiscono alla ventinovesima divisione di fanteria, all'interno del quale il taekwondo si sviluppò e maturò. video di questa forma

    Chong-Moo (Esame per 1º DAN - Passaggio da cintura rosso-nera a cintura nera 1º DAN):
    30 Movimenti
    È il nome dato al grande ammiraglio Yi Sun Sin della dinastia Yi. Egli ha la fama di aver inventato nel 1592 la Kobukson (nave tartaruga), prima nave corazzata che può essere considerata il precursore della nave da battaglia, dotata di corazze e cannoni.
    Il fatto che questa forma finisca con un attacco medio di mano sinistra, sta a simboleggiare la morte prematura di Yi Soon Sin, che non ha potuto dimostrare la sua irrefrenabile potenza, dovuta alla sua grande fedeltà al re. (L'attacco di mano sinistra è considerato più debole della mano destra). video di questa forma

    Kwang-Gae (Esame per cintura nera - Passaggio da 1º DAN a 2º DAN)
    39 Movimenti
    È il nome del famoso Kwang Gae Tho Wang, re della diciannovesima dinastia Koguryo, il quale riconquistò tutti i territori perduti, includendo gran parte della Manciuria. Il diagramma rappresenta l’espansionismo e la riconquista dei territori perduti. I 39 movimenti si riferiscono ai primi due numeri del 391 d.C. , l’anno in cui salì al trono. video di questa forma

    Po-Eun (Esame per cintura nera - Passaggio da 1º DAN a 2º DAN)
    36 Movimenti
    È lo pseudonimo del fedele Chong Mong Chu (1400) un famoso poeta, il cui poema “non servirei un secondo maestro anche se fossi crocefisso cento volte “ è conosciuto in tutta la Corea. Inoltre egli fu un pioniere nel campo della fisica. Il diagramma rappresenta la sua singolare fedeltà al re e alla sua terra durante la fine della dinastia Koryo.

    Ge-Baek (Esame per cintura nera - Passaggio da 1º DAN a 2º DAN)
    44 Movimenti
    È il nome del grande generale Ge Baek durante la dinastia Baek-Ji nel 660 d.C. Il diagramma rappresenta la sua severa e rigida disciplina militare.

    Eui-Am (Esame per cintura nera - Passaggio da 2º DAN a 3º DAN)
    45 Movimenti
    È lo pseudonimo di Son Byong Hi, leader del movimento d’indipendenza coreano del 1º marzo 1919. I 45 movimenti si riferiscono alla sua età quando cambiò il nome da Dong Hak (cultura orientale) a Choudo Kyo (religione della via celeste), nel 1905. Il diagramma rappresenta lo spirito indomito che ha dimostrato, dedicando se stesso alla prosperità della sua nazione.

    Choong-Jang (Esame per cintura nera - Passaggio da 2º DAN a 3º DAN)
    52 Movimenti
    È lo pseudonimo dato al generale Kim Duk Ryang che visse durante la dinastia Yi, nel XIV secolo. La forma finisce con un attacco di mano sinistra per simboleggiare la tragedia della sua morte in prigione a 27 anni, senza avere avuto la possibilità di maturare completamente.

    Ju-Che (Esame per cintura nera - Passaggio da 2º DAN a 3º DAN)
    45 Movimenti
    È una teoria filosofica: l'uomo è il Maestro di ogni cosa e decide ogni cosa; in altre parole l'uomo è il Maestro del mondo e del proprio destino. Si dice che questa teoria ha le sue radici nella montagna Baekdu, che simboleggia lo spirito del popolo coreano. Il diagramma rappresenta la montagna Baekdu.

    Sam-Il (Esame per cintura nera - Passaggio da 3º DAN a 4º DAN)
    33 Movimenti
    Indica la data storica del movimento d’indipendenza della Corea che comincia ad attraversare tutto il paese, il 1 marzo 1919. I 33 movimenti della forma rappresentano i 33 patrioti alla testa del movimento.

    Yoo-Sin (Esame per cintura nera - Passaggio da 3º DAN a 4º DAN)
    68 Movimenti
    È il nome del generale Kim Yoo Sin, primo generale comandante sotto la dinastia Silla. I 68 movimenti di questa forma, si riferiscono alle ultime due cifre dell’anno dell’unificazione della Corea 668 d.C. La posizione di partenza è quella di una spada posta su lato destro anziché a sinistra, simboleggiante l’errore di Yoo-Sin d’avere eseguito l’ordine del suo re, di combattere con le forze straniere, contro il suo popolo.

    Choi-Yong (Esame per cintura nera - Passaggio da 3º DAN a 4º DAN)
    46 Movimenti
    È il nome del generale Choi Yong, primo ministro e comandante in capo delle forze armate, durante la dinastia Koryo, nel XIV secolo. Choi Hong fu molto rispettato per la sua lealtà, patriottismo e umiltà. Choi Hong fu giustiziato dai suoi subordinati sotto la guida del generale Yi Sung Gae che diviene il primo re della dinastia Lee.

    Yon-Gae (Esame per cintura nera - Passaggio da 4º DAN a 5º DAN)
    49 Movimenti
    È il nome del famoso generale della dinastia Koguryo, Yon Gae Somoon. I 49 movimenti si riferiscono alle ultime due cifre dell’anno in cui le forze della dinastia Tang lasciarono la Corea, nel 649 d.C. dopo la sconfitta di circa 300 000 uomini ad Ansi Sung.

    Ul-Ji (Esame per cintura nera - Passaggio da 4º DAN a 5º DAN)
    42 Movimenti
    È il nome del generale Ul Ji Moon Dok che difese la Corea contro l’invasione delle forze della dinastia Tang, un esercito che contava circa 1.000.0000 di uomini condotti da Yang Ji nel 612 d.C. Ul Ji con le sue capacità tattiche di guerriglia decimò gran parte delle forze nemiche. Il diagramma rappresenta il suo cognome. I 42 movimenti rappresentano gli anni del Fondatore quando creò questa forma.

    Moon-Moo (Esame per cintura nera - Passaggio da 4º DAN a 5º DAN)
    61 Movimenti
    Questa forma è in onore del 30º re della dinastia Silla. Il suo corpo fu sepolto presso Dae Wang Am (Rocca del Grande Re). Secondo la sua volontà il suo corpo fu deposto in mare, “dove la mia anima può difendere per sempre la mia terra dai giapponesi”. Si dice che Sok Gul Am (caverna di pietra) fu costruita per guardare la sua tomba. Un esempio della fine cultura della dinastia Silla. I 61 movimenti di questa forma rappresentano le ultime due cifre dell’anno in cui Moon Moo salì al trono 661 d.C.

    So-San (Esame per cintura nera - Passaggio da 5º DAN a 6º DAN)
    72 Movimenti
    È lo pseudonimo del grande re Choi Hong Ung (1520-1604) durante la dinastia Yi. I 72 movimenti si riferiscono ai suoi anni quando organizzò un gruppo di monaci soldati con l’aiuto del suo pupillo Sa Myung Dang. I monaci soldati aiutarono a reprimere i pirati giapponesi che invasero quasi tutta la penisola coreana nel 1592.

    Se-Jong (Esame per cintura nera - Passaggio da 5º DAN a 6º DAN)
    24 Movimenti
    È il nome del più grande re coreano, Se Jong inventore dell’alfabeto coreano nel 1443. Egli era anche un rinomato meteorologo. Il diagramma rappresenta il re. I 24 movimenti si riferiscono alle 24 lettere dell’alfabeto coreano.

    Tong-Il (Esame per cintura nera - Passaggio da 6º DAN a 7º DAN)
    56 Movimenti
    Simboleggia la definitiva unificazione della Corea, divisa fino al 1945. Il diagramma simboleggia l’omogeneità della razza.
  9. .
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    Il jūjutsu (柔術) è un'arte marziale giapponese il cui nome deriva da jū, o "jiu" secondo una traslitterazione più antica, ("flessibile", "cedevole", "morbido") e jutsu ("arte", "tecnica", "pratica"). Veniva talvolta chiamato anche taijutsu (arti del corpo) oppure yawara (sinonimo di jū). Il jūjutsu era praticato dai bushi (guerrieri), che se ne servivano per giungere all'annientamento fisico dei propri avversari, provocandone anche la morte, a mani nude o con armi.
    Il jūjutsu è un'arte di difesa personale che basa i suoi principi sulle radici del nome originale giapponese: Hey yo shin kore do, ovvero "Il morbido vince il duro". In molte arti marziali, oltre all'equilibrio del corpo, conta molto anche la forza di cui si dispone. Nel jujitsu, invece, la forza della quale si necessita proviene proprio dall'avversario. Più si cerca di colpire forte, maggiore sarà la forza che si ritorcerà contro. Il principio, quindi, sta nell'applicare una determinata tecnica proprio nell'ultimo istante dell'attacco subito, con morbidezza e cedevolezza, in modo che l'avversario non si accorga di una difesa e trovi, davanti a sé, il vuoto.

    Descrizione

    Il jujitsu è un'antica forma di combattimento di origine giapponese di cui si hanno notizie certe solamente a partire dal XVI secolo quando la scuola Takenouchi (竹内流) produsse una codificazione dei propri metodi di combattimento. Ma certo l'origine del jujutsu è molto più antica e la definizione, durante tutto il periodo feudale fino all'editto imperiale del 1876 che proibì il porto delle spade decretando così la scomparsa dei samurai, si attribuiva alle forme di combattimento a mani nude o con armi (armi tradizionali, cioè spada, lancia, bastone, etc.) contro un avversario armato o meno, praticate in una moltitudine di scuole dette Ryū, ognuna con la propria specialità. Bastone, Sai e Nunchaku diventano armi, ma nascendo da semplici attrezzi da lavoro. Il bastone infatti serviva a caricare i secchi, i Sai servivano per la brace, mentre il Nunchaku era un semplice strumento usato per battere il riso. Le armi erano inaccessibili ai civili, e quest'ultimi adattarono nell'uso i pochi strumenti che avevano a disposizione, usandoli appunto per difendersi.
    Si distinguevano perciò le scuole dedite all'uso del tachi, la spada tradizionale giapponese, quelle maggiormente orientate alla lotta corpo a corpo, fino alle scuole di nuoto con l'armatura, tiro con l'arco ed equitazione. Quest'ultime costituivano la base dell'addestramento del samurai, espressa dal motto Kyuba No Michi, la via (michi) dell'arco (kyu) e del cavallo (ba), che più tardi muterà nome in bushido. Una caratteristica che accomunava tutte queste scuole era l'assoluta segretezza dei propri metodi e la continua rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre.
    In un paese come il Giappone, la cui storia fu un susseguirsi di continue guerre tra feudatari, il ruolo del guerriero rivestì una particolare importanza nella cultura popolare, e con esso il jūjutsu. La difesa del territorio, la disputa di una contesa, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che ne hanno permesso lo sviluppo tecnico, dettato dalla necessità di sopravvivenza.
    Con l'instaurarsi dello shogunato Tokugawa (1603-1867), il Giappone conobbe un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del jūjutsu, poiché, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, fu possibile per i vari Ryū organizzarsi e classificare i propri metodi. Anche la gente comune comincia a interessarsi e a praticare il jūjutsu poiché la pratica portava un arricchimento interiore dell'individuo, data la relazione intercorrente con i riti di meditazione propri del buddismo zen. Ma la cultura guerriera era talmente radicata nella vita dei Giapponesi da spingere i samurai a combattere anche quando non ve n'era l'effettiva necessità. Ciò portava a volte all'organizzazione di vere e proprie sfide chiamate Dōjō Arashi (tempesta sul dōjō), in cui i migliori guerrieri si confrontavano in modo spesso cruento.
    La caduta dell'ultimo shōgun e il conseguente restauro del potere imperiale causarono grandi sconvolgimenti nella vita del popolo: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, ora si volgevano avidamente verso la cultura occidentale che li stava "invadendo". Ciò provocò un rigetto da parte del popolo per tutto ciò che apparteneva al passato ivi compreso il jūjutsu. La diffusione delle armi da fuoco fece il resto: il declino del jūjutsu era in atto.
    Il nuovo corso vide la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato il Giappone per quasi mille anni e il jujitsu da nobile che era scomparve insieme ad essi; i numerosi dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi ed i pochi rimasti erano frequentati da gente dedita a combattere per denaro, persone rozze e spesso coinvolte in crimini. Questo aspetto in particolare influenzò negativamente il giudizio del popolo nei confronti del jūjutsu poiché vedeva in esso uno strumento di sopraffazione e violenza.
    Durante il periodo storico chiamato Restaurazione Meiji, si affermò grandemente in giappone il nuovo jujutsu ideato da Jigoro Kano con il nome di Jūdō kodokan, che si proponeva come metodo educativo, insegnato nelle scuole come educazione fisica ed inserito nei programmi di addestramento della polizia giapponese. Si deve infatti ricordare come durante l'era Meiji, il Giappone formò forze armate statali al servizio dell'Imperatore basate sul modello occidentale, ma con caratteristiche autoctone. Nel secondo dopoguerra però, a causa della proibizione generale del generale MacArthur rispetto alla pratica delle arti marziali tradizionali prima, e poi dell'evoluzione sportiva subita dal Jūdō quando poté essere di nuovo praticato (a partire dal 1950), si riaffermò il Jujutsu come tecnica di difesa personale, accanto all'Aikido di Morihei Ueshiba.
    Il jūjutsu si diffuse nel resto del mondo grazie a quanti, viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) a partire dall'era Meiji, lo appresero reimportandolo nel paese d'origine.
    Oggi è praticato in numerosi paesi del mondo, con organizzazioni anche di carattere internazionale. In Italia la FIJLKAM Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, possiede al suo interno un settore dedicato, sebbene esistano organizzazioni di carattere privato o promozionale (AICS, ACSI, UISP, AIJJ, ecc.) in cui il jūjutsu è ben sviluppato. Particolare rilievo assume l'Associazione Italiana Ju-Jitsu e Discipline Affini (AIJJ & DA), in quanto unica federazione sportiva italiana di Ju-Jitsu, internazionalmente riconosciuta dalla federazione sportiva JJIF (Ju-Jitsu International Federation), a sua volta riconosciuta dal GAISF (General Association of International Sports Federations) [1] e dal IWGA (International World Games Association).
    Nel mondo esistono molte Scuole e Federazioni che praticano Ju Jitsu; proprio per questo il governo giapponese ha da tempo istituito un Ente, il Dai Nippon Butokukai (Sala delle virtù marziali del grande Giappone), con la funzione di salvaguardare le arti marziali Tradizionali Giapponesi dal "possibile attacco sferrato dalla modernità e dall'avidità umana". Questo Ente certifica l'effettivo collegamento tra il passato e il presente di una Scuola tradizionale, conservandone documenti e quant'altro risulti utile a certificarne l'autenticità.

    La leggenda del salice


    Esisteva un tempo, molti secoli fa, un medico di nome Shirobei Akiyama. Egli aveva studiato le tecniche di combattimento del suo tempo, comprese altre tecniche che imparò durante i suoi viaggi in Cina compiuti per studiare la medicina tradizionale e i metodi di rianimazione, senza però ottenere il risultato sperato. Contrariato dal suo insuccesso, per cento giorni si ritirò in meditazione nel tempio di Daifazu a pregare il dio Tayunin affinché potesse migliorare.
    Accadde che un giorno, durante un'abbondante nevicata, osservò che il peso della neve aveva spezzato i rami degli alberi più robusti che erano così rimasti spogli. Lo sguardo gli si posò allora su un albero che era rimasto intatto: era un salice, dai rami flessibili. Ogni volta che la neve minacciava di spezzarli, questi si flettevano lasciandola cadere riprendendo subito la primitiva posizione.
    Questo fatto impressionò molto il bravo medico, che intuendo l'importanza del principio della non resistenza lo applicò alle tecniche che stava studiando dando così origine ad una delle scuole più antiche di JuJutsu tradizionale, la Scuola Hontai Yoshin Ryu (scuola dello spirito del salice), tuttora esistente e che da 400 anni si tramanda tecniche di combattimento a mani nude e con armi in maniera quasi del tutto invariata.
    Il 19º Soke (caposcuola) è Kyoichi Inoue Munenori, e alcuni dei Kata (forme) di questa Scuola sono gli unici ad essere inseriti nel programma federale della FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali). La Hontai Yoshin Ryu, inoltre, è riconosciuta dal Nihon Budokan (Nippon Budokan) che riconosce solo pochissime scuole con una discendenza documentata.

    Gino Bianchi ed il jūjutsu in italia


    La prima fugace apparizione del jūjutsu in Italia si deve a Pizzarola e Moscardelli, marinai della Regia Marina, che nel 1908 ne diedero una dimostrazione al Re; ma Gino Bianchi (un marinaio), dopo quaranta anni, portò il jūjutsu in Italia.
    Il Maestro Bianchi, già campione militare di Savate, era impegnato durante la Seconda guerra mondiale col contingente italiano nella colonia giapponese di Tien Sing (Tianjin) in Cina dove venne a contatto col jūjutsu e, rimanendone colpito per l'efficacia, decise di diffonderlo una volta tornato in Italia.
    L'opera di diffusione iniziò a Genova, nella palestra di via Ogerio Pane, dove il Maestro Bianchi insegnava gratuitamente a cinque o sei allievi nel difficile clima di ristrettezze del secondo dopoguerra; con la fine degli anni quaranta la palestra si trasferì nella sede storica di Salita Famagosta e l'opera di diffusione del jūjutsu "stile Bianchi" procedette a pieno ritmo anche grazie alle varie dimostrazioni pubbliche svolte col gruppo dei Kaze Hito (uomini vento). Dopo la scomparsa del Maestro, il "metodo Bianchi" è stato razionalizzato dal M° Angelo Briano che, con il supporto dei maestri Devoto, Comotto e Mazzaferro, nel 1974 organizzò le tecniche praticate in 5 gruppi di 20 tecniche. I 5 gruppi presero i nomi delle prime cinque lettere dell'alfabeto e vennero chiamati settori. Il settore A raggruppa tecniche che provocano sbilanciamento dell'avversario (atterramento) e un eventuale controllo al suolo. Il settore B raggruppa tecniche dove è predominante la proiezione dell'avversario. Il settore C raggruppa tecniche che mirano allo studio degli effetti di compressione e torsione articolare (cosiddette leve articolari). Il settore D raggruppa tecniche che mirano alla resa o allo sbilanciamento dell'avversario agendo sul suo collo (strangolamenti e torsioni). Il settore E raggruppa tecniche che sono la somma e il sunto dei precedenti gruppi.
    Negli anni cinquanta nasce l'O.L.D.J. che raggiungerà in breve tempo 5000 soci tesserati a molti dei quali si deve il proseguimento dell'opera del Maestro Bianchi dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1964. In onore del maestro Bianchi, ogni anno si svolge una gara: il trofeo Gino Bianchi; al quale partecipano tutte le palestre italiane. Negli ultimi anni la palestra club la dolce arte è arrivata prima vincendo la katana.

    World Ju-Jitsu Federation

    La WJJF è una federazione di Jujitsu internazionale presente anche in Italia. In deroga al contratto di rappresentanza, in Italia la WJJF internazionale svolge attività attraverso il suo presidente internazionale, Spartaco Bertoletti.
    Per ulteriori informazioni vedi articolo principale: "World Ju-Jitsu Federation"

    Jūjutsu agonistico


    Il Jujitsu sportivo prevede due tipi di specialità di gara: il fighting system (combattimento uno contro uno) e il duo system (simulazione di difesa a coppie).

    Il Fighting System


    Il Fighting System è un tipo di competizione agonistica del Ju Jitsu. Nel 1977, a seguito di un'iniziativa comune fra Italia, Germania e Svezia, venne fondata la European Ju-Jitsu Federation (EJJF). Nel 1987, quando oramai tutte le principali Nazioni europee facevano parte della EJJF, venne fondata, con un grande contributo del Ju-Jitsu italiano, la Ju-jitsu International Federation (JJIF). Da allora la AIJJ -Associazione Italiana Ju-Jitsu- fu riconosciuta anche dalla JJIF quale unica rappresentante del Ju-Jitsu in Italia. Una delle tipologie di competizione riconosciute da questa federazione è il Fighting System. Questo sport vanta la partecipazione di 52 nazioni nel Mondo e prevede l'organizzazione di Mondiali, nonché di vari titoli Continentali con cadenza Biennale.
    Il Fighting System è un combattimento che si svolge sul Tatami tra due atleti che indossano solamente il judogi, protezioni paratibia e, per facilitare tutte le fasi del combattimento, protezioni alle mani sottili ed aperte, in modo da effettuare al meglio le prese sia nella lotta in piedi che in quella a terra. All'inizio del combattimento, gli atleti si affrontano con atemi (colpi a distanza di calcio o pugno) in quella che viene definita Prima Fase, sino a quando uno dei due atleti effettua una presa sul judogi dell'avversario passando alla Seconda Fase. Una volta che un atleta sceglie e riesce ad afferrare il suo avversario è vietato sferrare alcun colpo, fin tanto che persiste una qualsiasi presa. Nella Seconda Fase l'obiettivo di ciascun atleta diventa effettuare una proiezione dell'avversario utilizzando tecniche opportune (Nage-Waza). Una volta che uno dei due contendenti ha effettuato una proiezione dell'avversario o entrambi finiscono a terra, il combattimento continua nella Terza Fase in cui l'obiettivo è immobilizzare l'avversario al suolo (osae-komi) o costringerlo alla resa tramite leve articolari (kansezu-waza) o strangolamento (shime-waza).
    Ogni azione è valutata da ben tre arbitri, che giudicano ed assegnano 1 punto (Ippon) o mezzo punto (Wazari) a seconda dell'esecuzione delle tecniche, del risultato e della reazione dell'avversario. I punti assegnati durante il combattimento vengono sommati al termine dell'incontro per designare il vincitore.
    Il combattimento dura 3 minuti e viene interrotto solo se necessario: ciò permette a questo sport di mantenere un ritmo altissimo durante i combattimenti, conferendogli grande spettacolarità e obbligando gli atleti ad avere un'approfondita preparazione non solo tecnica, ma anche atletica.
    La vittoria viene assegnata all'atleta che ha conseguito il miglior punteggio allo scadere del tempo oppure per superiorità tecnica di uno dei due atleti, ovvero colui che riesca ad ottenere almeno un Ippon sia in Prima che in Seconda che in Terza Fase, infliggendo all'avversario una tecnica perfetta sia nel combattimento a distanza, sia in quello corpo a corpo e sia in quello a terra. In questa circostanza l'atleta avrà dimostrato di essere superiore tecnicamente al proprio avversario in ogni situazione, obbiettivo massimo del JuJitsu: pertanto avrà vinto prima del termine. Questa regola anima particolarmente le sfide, conferendo a questo sport ancora maggior studio della tattica di gara.
    Nel combattimento a distanza gli atleti sono vincolati a rispettare un controllo dei colpi. Questa regola permette agli atleti di esprimere al meglio le loro capacità tecniche nella lotta, senza contaminarla con colpi che andrebbero a limitare l'aspetto tecnico di questa fase. Nelle altre fasi è vietato l'uso dei colpi e gli atleti devono utilizzare tutta la loro arte di lottatori per sottomettere l'avversario.

    Il Duo System


    Il Duo System è una specialità del jujitsu in cui una coppia (maschile, femminile o mista) simula una difesa da attacchi codificati in tutto il mondo. Le serie sono così suddivise:

    Serie A: prese
    Serie B: avvolgimenti
    Serie C: calci e pugni
    Serie D: armi (coltello e bastone).


    La gara è un confronto tra 2 coppie valutato da una giuria di 5 arbitri di sedia che, in base ad attitudine, efficacia, velocità, controllo, potenza, realismo e varietà assegnano un punteggio da 1 a 10. L'arbitro centrale (il mat referee) ha la funzione di chiamare 3 dei 5 attacchi agli atleti e di indicare alla giuria eventuali errori nell'esecuzione dell'attacco commessi dalla coppia.

    Svolgimento della gara
    Per distunguere le 2 coppie viene fatta indossare ad una la cintura rossa e all'altra la cintura blu. Il rosso inizia per primo ed esegue 3 delle 5 tecniche della serie A sorteggiati dall'arbitro centrale. Terminata l'esecuzione la giuria dà la valutazione in base ai criteri di sopra elencati. Il rosso scende ora dal tatami e blu esegue la difesa. I tre attacchi sono gli stessi chiamati al rosso ma in ordine diverso, per cui blu ha un lieve vantaggio conoscendo i tre attacchi chiamati. Per equità blu comincia la serie B così che rosso conoscerà i 3 attacchi. Le coppie si alterneranno così fino in ultima serie come segue:

    Serie A: Rosso
    Serie A: Blu
    Serie B: Blu
    Serie B: Rosso
    Serie C: Rosso
    Serie C: Blu
    Serie D: Blu
    Serie D: Rosso


    Vince l'incontro chi nella somma totale ha ottenuto il punteggio più alto. L'Italia è una delle nazionali più forti nella specialità del Duo System.
  10. .
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    Il Judo (柔道 Jūdō, Via della Cedevolezza) è un'arte marziale e uno sport da combattimento giapponese formalmente nata in Giappone con la fondazione del Kōdōkan da parte del Prof. Jigorō Kanō, nel 1882. I praticanti di tale disciplina sono denominati judoisti o più comunemente judoka (柔道家 jūdōka?), con un certo abuso di linguaggio.

    « Il jūdō è la via (道) più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del jūdō significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l'addestramento attacco-difesa e l'assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell'io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l'obiettivo ultimo del jūdō.[2]
    Jū (柔) è un bellissimo concetto riguardante la logica, la virtù e lo splendore; è la realtà di ciò che è sincero, buono e bello. L'espressione del jūdō è attraverso il waza, che si acquisisce con l'allenamento tecnico basato sullo studio scientifico. »


    (Jigorō Kanō)

    Il jūdō è in seguito divenuto ufficialmente disciplina olimpica nel 1964, in occasione delle Olimpiadi di Tōkyō, e ha rappresentato alle Olimpiadi di Atene 2004 il terzo sport più universale, con atleti da 98 paesi.
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    Descrizione

    Il termine "jūdō" è composto da due kanji: 柔 (jū, yawara = gentilezza, adattabilità, cedevolezza) e 道 (dō = via); ed è quindi traducibile anche come via dell'adattabilità, o via della gentilezza; esplicitando così il principio yawara (柔?) sul quale si basa il jūdō.

    « Il termine "jūdō" è stato usato in tempi remoti antecedenti alla restaurazione Meiji, ma generalmente si preferiva dire "jū-jutsu", o più comunemente "yawara", che compendia il precedente: l'uno richiamandosi all'agilità vera e propria e l'altro alle tecniche di attacco e difesa. »

    (Jigorō Kanō)


    Il jūdō del Prof. Kanō è l'evoluzione del jū-jutsu della Tenshin Shin'yo-ryũ e della Kitō-ryũ.
    Origini del jūdō
    Contesto storico-politico

    Il contesto storico era particolare: Il 1853 aveva segnato una data importante per il Giappone: il commodoro Matthew C. Perry, della Marina Militare degli Stati Uniti d'America, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra (le cosiddette Navi Nere) consegnando a dei rappresentanti dello shogunato Tokugawa un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. Il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo (Sakoku), grazie alla Convenzione di Kanagawa, apre finalmente le frontiere agli stranieri. Dopo l'abdicazione dell'ultimo shogun Tokugawa Yoshinobu avvenuta nel 1867, il potere imperiale di fatto riacquisiva il controllo politico del Paese, e contestualmente alla Restaurazione Meiji, la promulgazione dell'editto del 1876 col quale si proibiva il porto del daishō decretava la scomparsa della casta dei samurai.
    Scrive Troni: «Agli ex daimyō il governo assegnò titoli nobiliari di varia classe, a seconda della importanza delle loro famiglie ed una indennità pecuniaria proporzionale alle loro antiche rendite, in buoni del tesoro. Venne infine dichiarata la eguaglianza fra le quattro classi dei samurai, contadini, artigiani e mercanti. I corpi armati dei samurai vennero sciolti [...] e si determinò una nuova divisione delle classi sociali che si distinsero infatti in: nobiltà, borghesia, e popolo. Fra le molte riforme [...] bisogna ancora ricordare l'adozione del sistema metrico decimale e del calendario gregoriano.»
    Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale e naturalmente ciò provocò un rigetto di tutto ciò che apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. Il jū-jutsu, essendo parte integrante di questa cultura, lentamente scomparve quasi del tutto. Inoltre, le arti marziali tradizionali vennero ignorate anche a causa della diffusione delle armi da fuoco e molti dei numerosi dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex-samurai lottatori professionisti pagati appunto per combattere (essendo il loro unico mezzo di sostentamento) e che talvolta venivano coinvolti in episodi di violenza o crimini. Questo influenzò ulteriormente il giudizio negativo del popolo nei confronti del jū-jutsu nel quale vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione.

    « Per la nuova disciplina che volevo diffondere ho evitato di proposito anche i nomi tradizionali fino ad allora largamente usati, quali "jū-jutsu", "tai-jutsu", "yawara", ... e ho adottato "jūdō". I motivi per cui ho voluto evitare le denominazioni tradizionali erano più d'uno. A quel tempo molti avevano del jū-jutsu o del tai-jutsu un concetto diverso da come io li intendevo; non pensando minimamente a un beneficio fisico e mentale, li collegavano immediatamente ad azioni violente come strangolamenti, lussazioni, fratture, contusioni e ferite... Era un'epoca in cui le trasformazioni sociali costringevano gli uomini di spada e del jū-jutsu, un tempo celebri, ad affrontare un nuovo modo di vivere, perché venivano perdendo la protezione dei potenti feudatari, tanto che qualcuno di essi, dedicandosi al commercio a cui non era educato, a volte cadeva in una vita misera di vagabondo, mentre altri, per sbarcare il lunario, dovevano esibire le loro capacità senza pudore. Perciò, quando si parlava di arte della spada o di jū-jutsu, nessuno immaginava che si trattasse della preziosissima disciplina che tramandava la quintessenza della cavalleria samurai. Queste cose mi indussero a rinnovare almeno il nome della disciplina, altrimenti mi sarebbe risultato difficile anche trovare degli allievi che vi si dedicassero.»
    (Jigorō Kanō)
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    Jigorō Kanō ed il jū-jutsu
    La storia del jūdō ed il jūdō stesso sono inseparabili dal fondatore, Jigorō Kanō. Nato nel 1860 in una famiglia agiata, nel 1877, sebbene in contrasto con le idee del padre al riguardo, entrò in contatto con il suo primo maestro Fukuda Hachinosuke di Tenshin-shin'yo ryū jū-jutsu tramite il "conciaossa" Yagi Teinosuke anch'egli un tempo jū-jutsuka della stessa ryũ.

    « Tenshin-shin'yo è una scuola nata da Iso Mataemon unendo i metodi di Yoshin-ryu e Shin-no-shindo-ryu. Nell'infanzia il nome del Fondatore era Okayama Hachirogi, divenuto Kuriyama Mataemon alla maggiore età, e finalmente era stato adottato dalla famiglia Ito ed assunto dal Bakufu col titolo di Iso Mataemon Ryu Kansai Minamoto Masatari. »
    (Jigoro Kano)

    Inoltre, come spiega Sanzo Maruyama, il nome della scuola deriva da «yo, che significa "salice" e shin che significa "spirito". La scuola dello spirito come il salice si ispira alla flessibilità dell'albero», «questa scuola studiava atemi, torae e shime, principalmente in costume di città. Non dava importanza alle proiezioni.»
    Nel 1879, Fukuda propose al giovane Kanō di partecipare all'esibizione di jū-jutsu per il Presidente degli Stati Uniti Ulysses Simpson Grant, dove i maestri Iso e Fukuda avrebbero dato una dimostrazione del kata mentre Kanō e Ryusaku Godai del randori. Il Presidente fu molto colpito dall'esibizione e confidò allo stesso Fukuda che avrebbe voluto che il jū-jutsu divenisse più popolare negli Stati Uniti.
    Alla morte del cinquantaduenne maestro Fukuda, nove giorni dopo la famosa esibizione, e ricevuti formalmente dalla vedova di Fukuda i densho, Kano divenne il maestro del dojo.
    Dopo poco Kano si iscrisse al dojo di Iso Masatomo, discepolo di Iso Mataemon fondatore dello stile, che fu felice di prenderlo come suo assistente. Il maestro Iso insegnava principalmente i kata e gli atemi-waza.
    In seguito alla morte del maestro Iso e al raggiungimento della laurea in Lettere presso l'Università Imperiale di Tokyo nel 1881, Kanō si trovò nuovamente alla ricerca di un nuovo maestro. Chiese quindi dapprima al maestro Masaki Motoyama un rispettato maestro della Kitō ryū, ma questi non essendo più in grado di insegnare data l'età, gli suggerì di fare richiesta al maestro Tsunetoshi Iikubo, amico di Motoyama ed esperto di kata e di nage-waza.

    Scrive Watson: «Ci sono molte differenze degne di rilievo tra lo stile Tenshin Shin'yō e lo stile Kitō. Ad esempio, il Tenshin Shin'yō possiede un maggior numero di tecniche di strangolamento e di immobilizzazione rispetto al Kitō, mentre quest'ultimo ha sempre avuto tecniche di proiezione di maggior efficacia.»

    « Dopo due anni di studio e allenamento, iniziati attorno al 1878, il mio fisico cominciò a trasformarsi e al termine di tre anni avevo acquisito una notevole robustezza muscolare. Sentivo leggerezza nell'animo e m'accorgevo che il carattere alquanto irascibile che avevo da ragazzo diveniva sempre più mite e paziente e che la mia indole acquistava maggiore stabilità. Non si trattava solo di questo: ero consapevole di aver guadagnato benefici sul piano spirituale. Pertanto, alla conclusione dei miei studi di jū-jutsu, approdai a una mia verità: cioè che questo insegnamento poteva essere applicato a risolvere qualsiasi circostanza in ogni momento della vita, tanto che in me si fece strada la convinzione che tale beneficio psicofisico dovesse essere portato a conoscenza di tutti e non solo riservato a una ristretta cerchia di praticanti. »
    (Jigorō Kanō)

    Il Kōdōkan

    Contestualmente all'incarico di docente al Gakushuin, il Prof. Kanō aveva deciso che era giunto il momento di lasciare il suo alloggio studentesco e di fondar un proprio dōjō.
    Scrive Barioli: «Nel febbraio 1882 aveva affittato un alloggio nel tempio di Eishō, a Shitaya-kita, nel quartiere Umebori.»
    E Watson precisa: «In un quartiere di Tōkyō conosciuto come Shitaya-kita Inarichō, trovò un tempio buddhista chiamato Eishōji che aveva a disposizione varie stanze vuote da prendere in affitto. Dopo aver visitato il tempio e contattato l'abate, un monaco di nome Shumpo Asahi, Jigorō decise di affittare tre stanze: la più piccola la tenne per sé, quella media la destinò all'accoglienza dei suoi allievi, e quella più grande la trasformò in un dōjō con un tatami costituito da dodici tappetini.»
    Per inciso, l'Eishōji secondo l'odierna toponomastica è a Inarichō nell'area metropolitana di Tōkyō, nelle vicinanze del quartiere di Ueno, mentre l'attuale sede del Kōdōkan, costituita da ben otto piani e operativa dal 1958, è ubicata a Kasuga, Bunkyo-ku, sempre nell'area metropolitana di Tōkyō.

    Il Prof. Kanō riprese allora il termine "jūdō", che Terada Kan'emon, il quinto sōke della Kitō-ryū, aveva coniato quando aveva creato il proprio stile e fondato al sua scuola, la Jikishin-ryū, ma che, come lo stesso Kanō fa notare, «esisteva anche prima della Restaurazione Meiji (un esempio ne è la scuola Chokushin-jūdō).» Lo stile venne conosciuto anche come Kanō jū-jitsu o Kanō jū-dō, poi come Kōdōkan jū-dō o semplicemente jū-dō o jūdō. Nel primo periodo, venne anche chiamato semplicemente jū-jitsu.

    A sostegno della scientificità del metodo Kanō, scrive Shun Inoue:
    (EN)
    « From the beginning of the Kōdōkan, rather than wedding himself to any one school, Kanō created a new, "scientific" martial art by selecting the best techniques of the established schools of jūjutsu. Initially, he combined wrestling moves and techniques of delivering blows to vital points of the body emphasized in the Tenjin Shin'yō school with throwing techniques that were mainstay of the Kitō school. But Kanō did not limit his research to the techniques of these two schools. [...]
    In addition to utilizing scientific principles, Kanō pioneered a new mode of instruction and a new relationship between teacher and student. [...]
    Kanō, a rationalist, believed in the power of science and wanted Kōdōkan jūdō to be grounded in a scientific thought.
    « Of course it was not possible to thoroughly investigate every technique of Kōdōkan jūdō on a scientific basis. But on the whole, because they were fashioned in accord with science, their superiority to older schools was readily apparent. »

    (Jigorō Kanō)

    Kanō makes it sound as if the development and diffusion of Kōdōkan jūdō were a "victory of science".

    (IT)
    « Dagli inizi del Kōdōkan, invece di legarsi ad una sola scuola, Kanō creò una nuova, "scientifica", arte marziale selezionando le migliori tecniche delle scuole di jūjutsu. Inizialmente egli combinò azioni di lotta e tecniche di colpo ai punti vitali proprie della Tenshin Shin'yō-ryū con le tecniche di proiezione predilette dalla Kitō-ryū. Ma Kanō non limitò la sua ricerca alle sole tecniche di queste due scuole. [...]
    In aggiunta all'utilizzo dei principî scientifici, Kanō fu pioniere di un nuovo metodo d'insegnamento e di una nuova concezione di rapporto tra insegnante e allievo. [...]
    Kanō, un razionalista, credeva nel potere della scienza e volle che il Kōdōkan judo avesse un fondamento scientifico.
    « Ovviamente non fu possibile esaminare a fondo ogni tecnica del Kōdōkan jūdō su basi scientifiche. Ma in generale, poiché esse erano modellate secondo principî scientifici, la loro superiorità rispetto alle vecchie scuole fu subito evidente. »

    (Jigorō Kanō)

    Kanō la mette proprio come se lo sviluppo e la diffusione del Kōdōkan jūdō fossero una "vittoria della scienza". »

    (Shun Inoue)

    Riguardo ai membri del primo Kōdōkan scrive ancora Watson: «Il primo allievo di Jigorō nel nuovo dōjō fu Tsunejirō Tomita, un giovane proveniente dalla penisola di Izu, nella prefettura di Shizuoka» e «il secondo allievo ad essere ammesso al dōjō fu un ragazzo di nome Shirō Saigō, che in seguito sarebbe diventato uno dei migliori jūdōka della sua generazione. Tra gli altri allievi che si unirono alla scuola di Kanō vi furono vari colleghi universitari di Jigorō, studenti ed ex-studenti della Gakushūin, e alcuni suoi amici.» Inoltre i rapporti con il maestro Iikubo non si erano certo interrotti, anzi, Kanō accettava di buon grado le visite del sōke della Kitō-ryū sia dal punto di vista tecnico, in quanto gli allievi potevano apprendere direttamente da Iikubo i particolari del suo jū-jutsu, sia ovviamente dal punto di vista personale per la profonda stima che ognuno aveva dell'altro. Tuttavia il padrone del tempio, il signor Asahi, prete del Jodo-shinsu, la più antica setta buddhista del Giappone, a causa dei rumori dovuti alla pratica, più volte dovette redarguire Kanō e i suoi, finché non si decise di costruire il primo vero e proprio dōjō esterno ai locali del tempio.

    Il jūdō quindi, strettamente all'arte del combattimento, venne completamente collaudato durante il periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il riconoscimento della sua eccellenza pratica e teorica nell'ambito del bujutsu senz'armi contribuì a salvare molte altri ryu e metodi dall'oblio, nonostante il periodo storico non certamente favorevole. Già nel 1905, infatti, gran parte delle vecchie scuole di jūjutsu si era integrata con il Kōdōkan contribuendo così allo sviluppo e alla diffusione del metodo Kanō in tutto il mondo.

    La filosofia del Kōdōkan jūdō

    Nel 1882 Jigorō Kanō era docente di inglese ed economia alla Gakushūin. Dotato di straordinarie capacità pedagogiche, intuì l'importanza dell'attività motoria e dell'addestramento al combattimento, se insegnati adeguatamente per lo sviluppo fisico ed intellettuale dei giovani.

    « Il jū-jutsu tradizionale, come tante altre discipline del bu-jutsu, poneva l'obiettivo strettamente ed esclusivamente sull'attacco-difesa. È probabile che molti maestri abbiano anche impartito anche lezioni sul significato della Via e altrettanto sulla condotta morale, ma, adempiendo il loro dovere di insegnanti, la meta primaria rimaneva quella di insegnare la tecnica. Diverso è invece il caso del Kōdōkan, dove si dà importanza anzitutto all'acquisizione della Via e la tecnica viene concepita unicamente come il mezzo per raggiungere tale obiettivo. Il fatto è che le ricerche sul jū-jutsu mi portarono verso una Grande Via che pervade l'intero sistema tecnico dell'arte, mentre lo sforzo e i tentativi per definire l'entità della scoperta mi convinsero chiaramente dell'esistenza della Via Maestra, che ho definito come "la migliore applicazione della forza mentale e fisica".»
    (Jigorō Kanō)

    Quindi, Jigorō Kanō Shihan eliminò dal randori tutte le azioni di attacco armato e di colpo, che potevano portare al ferimento (talvolta grave) degli allievi: tali tecniche furono ordinate solo nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Ed infatti, una delle caratteristiche fondamentali del jūdō è la possibilità di effettuare una tecnica senza che i praticanti si feriscano. Ciò accade grazie alla concomitanza di diversi fattori quali l'abilità di uke nel cadere, la corretta applicazione della tecnica da parte di tori, e alla presenza del tatami che assorbe la caduta di uke. Nel combattimento reale, come può essere una situazione di pericolo contro un aggressore armato o non, una tecnica eseguita correttamente potrebbe provocare gravi menomazioni o finanche essere fatale.
    Difatti non bisogna mai dimenticare il retaggio marziale del jūdō: il Prof. Kanō studiò e approfondì le nage-waza della Kitō-ryū, le katame-waza e gli atemi-waza di Tenshin Shin'yō-ryū e costituì un suo personale sistema di educazione al combattimento efficace e gratificante, supportato da forti valori etici e morali mirati alla crescita individuale e alla formazione di persone di valore.
    Scrive Barioli: «Questa è la diversità di concezione tra il jūjutsu e il jūdō. Dalla tecnica e dalle esperienze del combattimento sviluppate nel periodo medievale, arrivare tutti insieme per crescere e progredire col miglior impiego dell'energia, attraverso le mutue concessioni e la comprensione reciproca.» Questa fu la vera evoluzione rispetto al jūjutsu che si attuò anche attraverso la formulazione dei principî fondamentali che regolavano la nuova disciplina: seiryoku-zen'yō (精力善⽤? "il miglior impiego dell'energia") e jita-kyō'ei (⾃他共榮? "tutti insieme per il mutuo benessere").

    Le otto qualità essenziali sulle quali si poggia il codice morale del fondatore, alle quali ogni judoista (jūdōka) dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di tutti i giorni sono:

    L'educazione
    Il coraggio
    La sincerità
    L'onore
    La modestia
    Il rispetto
    Il controllo di sé
    L'amicizia

    Mentre i tre nemici che ogni judoka dovrebbe tenere lontano sono:

    la noia
    l'abitudine
    l'invidia


    Per ottenere ciò, nell'ottica educativa della disciplina, è necessario impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando cioè la propria vita al compimento del principio del "miglior impiego dell'energia". Si stabilì così l'alto valore educativo della disciplina del judo, unita alla sua grande efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.
    Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera: ciò si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo, chiamate rentai (cultura fisica), shobu (arti guerriere), sushin (coltivazione intellettuale).
    Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo. Parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che avevano modo di entrare in contatto col Giappone; furono principalmente commercianti e militari che lo appresero, importandolo poi nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Gunji Koizumi in Inghilterra nel 1920 e Mikonosuke Kawaishi in Francia.
    Jigoro Kano morì nel 1938, in un periodo in cui il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale. Dopo la disfatta, la nazione venne posta sotto il controllo degli USA per dieci anni e il judo fu sottoposto ad una pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra. Fu perciò proibita la pratica della disciplina ed i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO (comitato olimpico internazionale) di cui Jigoro Kano fece parte quale delegato per il Giappone, e ridotto a semplice disciplina di lotta sportiva ma i suoi valori più profondi sono ancora presenti e facilmente avvertibili dai partecipanti.

    Ai giorni nostri

    A partire dal dopoguerra, con l'organizzazione dei primi Campionati Internazionali e Mondiali, e successivamente con l'adesione alle Olimpiadi, il judo si è sempre più avvicinato allo sport da combattimento mutuandone le caratteristiche tipiche dell'agonismo proveniente dalle discipline di lotta occidentali.
    Si è perciò cominciato a privilegiare la ricerca del vantaggio minimo che permette di vincere la gara, a discapito della ricerca della tecnica perfetta che attribuisce la vittoria immediata, ma che espone a maggiori rischi di subire un contrattacco. Questo è possibile utilizzando tecniche derivate dalla lotta libera che per efficacia in gara si contrappongono alle tecniche tradizionali del judo le quali tradiscono l'indirizzo bujutsu che le caratterizza per vocazione e genealogia.
    Questo risvolto, purtroppo inevitabile, non ha fatto che aumentare con l'entrata in scena, avvenuta negli anni ottanta, degli atleti dell'ex URSS, aventi una lunga tradizione di lotta sambo alle spalle la quale, epurata delle tecniche dei colpi, ben si presta ad un confronto agonistico col judo.
    In conseguenza di ciò, si è sviluppata la tendenza a privilegiare un tipo di insegnamento che metta in condizioni gli allievi di guadagnare immediatamente punti in gara, privilegiando talora posizioni statiche del tutto contrarie alla filosofia della via della cedevolezza (che è il significato del termine judo). Purtroppo in questo modo viene spesso tralasciato l'aspetto educativo e formativo della disciplina. Questa pratica è spesso indice di scarsa preparazione degli istruttori, che non comprendono la necessità di fornire un'adeguata base tecnica e morale prima di focalizzarsi sul combattimento vero e proprio.
    Allo scopo di riaffermarne il valore, si sono costituite nel tempo Federazioni Sportive anche di carattere internazionale che tendono a far rivivere i principi espressi dal Maestro Jigoro Kano, quantunque anch'esse si dedichino all'attività agonistica. Queste federazioni sono riunite all'interno di Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI, quali, CSI, UISP, CSEN, ACSI, Centro Universitario Sportivo ed altre. In Italia la federazione ufficiale appartenente al CONI è la FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali).
    Questo non significa però che vi siano due tipologie di scuole di jūdō dove una si ritenga superiore all'altra. Come scrisse lo stesso Jigorō Kanō: «Anche nel periodo antico esistevano maestri che impartivano nozioni di tipo etico oltre che tecnico: si trattava di esempi illuminati ma che, tenendo fede al loro impegno di maestri, dovevano necessariamente privilegiare la tecnica. Nel jūdō invece gli insegnanti devono percepire la disciplina soprattutto come educazione, fisica e mentale.» Aggiungendo inoltre che «per coloro che si dimostrassero particolarmente portati alla competizione è lecito interpretare sportivamente la disciplina, purché non si dimentichi che l'obiettivo finale è ben più ampio.»
    Pertanto, nella scelta del dojo, è importante affidarsi a maestri di provata esperienza che tengano corsi per tutti, quindi sia per l'agonista quanto per l'amatore, indipendentemente dall'ambito della federazione o dell'ente promozionale.
    Da una costola del judo, inoltre, si è sviluppata la disciplina del Brazilian jiu jitsu.

    Le tecniche


    Secondo il metodo d'insegnamento del Prof. Kanō, il Kōdōkan Jūdō consiste fondamentalmente nell'esercitare la tecnica di combattimento e nella ricerca teorica, entrambe cose elaborate dal principio "yawara".

    « Yawara significa adeguarsi alla forza avversaria al fine di ottenere il pieno controllo. Esempio: se vengo assalito da un avversario che mi spinge con una certa forza, non devo contrastarlo, ma in un primo momento debbo adeguarmi alla sua azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli piegare il corpo in avanti [...] La teoria vale per ogni direzione in cui l'avversario eserciti forza.[27] »

    (Jigorō Kanō)

    Il jūdō offre un ricco repertorio di tecniche di combattimento, categorizzato solitamente come di seguito. Queste tecniche comprendono l'applicazione del principio yawara (non soltanto nel contesto dell'elasticità passiva intesa in senso buddhista, ma anche come principio attivo del contrattacco), enucleano i principi dell'attacco-difesa propri del metodo Kanō e ne dimostrano l'efficacia sia nel combattimento reale, sia nella competizione sportiva.

    Tassonomia del waza
    Le tecniche del jūdō del Prof. Kanō, ed oggi riconosciute ufficialmente dal Kōdōkan Jūdō Institute di Tōkyō, sono così suddivise:

    Nage-waza

    Tachi-waza

    Te-waza
    Koshi-waza
    Ashi-waza

    Sutemi-waza

    Ma-sutemi-waza
    Yoko-sutemi-waza

    Katame-waza

    Osae-komi-waza
    Shime-waza
    Kansetsu-waza

    Atemi-waza

    Ude-ate

    Yubisaki-ate
    Kobushi-ate
    Tegatana-ate
    Hiji-ate

    Ashi-ate

    Hiza-gashira-ate
    Sekitō-ate
    Kakato-ate


    Nage-waza (tecniche di proiezione)


    Secondo la tassonomia tradizionale delle tecniche di jūdō, il gruppo preponderante è quello delle nage-waza (投技? "tecniche di proiezione"). Tali tecniche sono metodi di proiezione dell'avversario atti alla neutralizzazione della carica offensiva di quest'ultimo. L'apprendimento è strutturato secondo un sistema chiamato go-kyō-no-waza che ordina 40 tecniche in 5 classi in base alla difficoltà di esecuzione e alla violenza della caduta. Il totale delle nage-waza ufficialmente riconosciute dal Kōdōkan Jūdō Institute e dall'IJF è di 67 tecniche.
    All'interno delle nage-waza si distinguono le tachi-waza (立技?), ovvero le tecniche in cui tori proietta uke rimanendo in una posizione di equilibrio stabile, e le sutemi-waza (捨身技?), ovvero le tecniche in cui tori proietta uke sacrificando il suo equilibrio.

    Le tachi-waza a loro volta si suddividono in tre gruppi: te-waza (手技?), ovvero le tecniche di braccia; koshi-waza (腰技?), tecniche di anca; e ashi-waza (足技?), tecniche di gambe.
    Le sutemi-waza a loro volta si suddividono in due gruppi: ma-sutemi-waza (真捨身技?), ovvero le tecniche di sacrificio sul dorso; e le yoko-sutemi-waza (横捨身技?), tecniche di sacrificio sul fianco.


    È tuttavia importante sottolineare che tale suddivisione biomeccanica ai fini dell'appartenenza o meno di un waza ad un gruppo, considera l'uso prevalente di una parte del corpo di tori, e non l'uso esclusivo di tale parte.

    Alle nage-waza è dedicato il nage-no-kata.

    Katame-waza (tecniche di controllo)

    Il secondo macrogruppo è costituito dalle katame-waza (固技? "tecniche di controllo"). Tali tecniche possono essere eseguite nel ne-waza (寝技? "tecnica o combattimento al suolo") in successione ad un nage-waza, ovvero a seguito di un hairi-kata (入り形? "forma d'entrata, opportunità"), oppure –in rari casi– come azioni propedeutiche ad una proiezione.

    Le katame-waza quindi si suddividono in osae-komi-waza (抑え込み技?), ovvero le tecniche di immobilizzazione al suolo; shime-waza (絞技?), tecniche di strangolamento; e kansetsu-waza (関節技?) tecniche di leva articolare.


    Nel caso delle osae-komi-waza si possono distinguere due sottogruppi anche se tale ulteriore suddivisione trascende la tassonomia tradizionale. Esistono quindi immobilizzazioni su quattro punti d'appoggio (shihō-gatame (四方固?)) e le immobilizzazioni "diagonali" (kesa-gatame (袈裟固?)); per quanto concerne gli shime-waza, è anche possibile distinguere ulteriori sottoclassificazioni non ufficiali a seconda della posizione relativa di tori e uke, o alle prese di tori su uke, come nel caso dei jūji-jime (十字絞?); mentre invece, per i kansetsu-waza è possibile riconoscere due sottogruppi principali indicanti uno le leve di distensione (hishigi-gatame (挫固?)), e l'altro le leve di torsione degli arti (garami (緘?)).
    Alle katame-waza è dedicato il katame-no-kata.

    Atemi-waza (tecniche di colpo)


    L'ultimo gruppo di tecniche è chiamato atemi-waza (当て身技? "tecniche di colpo") e si divide in: ude-ate (腕当て? "colpi con gli arti superiori") e ashi-ate (足当て? "colpi con gli arti inferiori").

    Gli ude-ate a loro volta si suddividono in: yubisaki-ate (指先当て? "colpi inferti con la punta delle dita"), kobushi-ate (拳当て? "colpi inferti con il pugno"), tegatana-ate (手刀当て? "colpi inferti col taglio della mano"), ed hiji-ate (肘当て? "colpi inferti con il gomito").
    Gli ashi-ate a loro volta si suddividono in: hiza-gashira-ate (膝頭当て? "colpi inferti con il ginocchio), sekitō-ate (石塔当て? "colpi inferti con l'avampiede"), e kakato-ate (踵当て? "colpi inferti con il tallone").


    Lo stesso Jigorō Kanō spiega gli effetti di tali tecniche: «Un attacco sferrato con potenza contro un punto vitale può dare come risultato dolori, perdita di coscienza, menomazioni, coma o addirittura morte. Le atemi-waza vengono praticate solamente nei kata, mai nel randori.»[35]

    Ukemi (cadute)

    È molto importante per un jūdōka saper cadere senza farsi male, ed infatti le tecniche di caduta sono le prime nozioni che vengono insegnate ai nuovi praticanti. Esistono quattro diversi tipi di cadute:

    Mae-ukemi (前受身? "caduta in avanti frontale")
    Zempō-kaiten-ukemi (前方回転受身? "caduta in avanti frontale con rotolamento"), applicabile in due forme: migi (右? "destra") e hidari (左? "sinistra").
    Ushiro-ukemi (後ろ受身? "caduta indietro").
    Yoko-ukemi (横受身? "caduta laterale"), applicabile come zempō-kaiten-ukemi sia a destra che a sinistra.


    Il jūdō moderno tende ad interpretare la caduta come una sconfitta, ma in realtà essa è a tutti gli effetti una tecnica per consentire al corpo di scaricare senza danni l'energia cinetica accumulata durante la proiezione. Se male eseguita, possono verificarsi infortuni come lussazioni della spalla, contusioni al capo, ai piedi, ecc.

    Fasi dell'esecuzione del waza

    Kuzushi


    La possibilità di poter eseguire con successo una tecnica di proiezione è fondata sull'ottenimento di uno squilibrio kuzushi (くずし?) dell'avversario mediante azioni di spinta o trazione, ovvero tramite azioni ben calibrate atte al raggiungimento dello tsukuri (作り?).
    « I movimenti base di kuzushi sono la spinta e la trazione, che vengono eseguiti con tutto il corpo, e non solo con le braccia. L'azione di sbilanciamento può essere eseguita lungo una linea retta o curva, e in ogni direzione. Per neutralizzare ogni tentativo dell'avversario di farci perdere l'equilibrio, bisogna dapprima cedere alla sua azione, e poi applicare il nostro kuzushi. »
    (Jigorō Kanō)


    Viene definito Happō-no-kuzushi (八方のくずし? "8 direzioni di squilibrio") il sistema di classificazione delle direzioni di squilibrio per il quale è possibile spostare il baricentro del corpo dell'avversario rispetto allo shizentai (自然体? "posizione naturale") nelle 8 direzioni principali disposte idealmente a mo' di rosa dei venti, ossia verso l'avanti, indietro, laterale (destra e sinistra) e in diagonale (destra e sinistra).

    Tsukuri e Kake

    (JA)
    « 「身体と精神を最も有効に働かせる」、これが柔道の根本原理で、この原理を技の上に生かしたのが「作り」と「掛け」の理論となります。

    「作り」は、相手の体を不安定にする「くずし」と、自分の体が技を施すのに最も良い位置と姿勢をとる「自分を作る」ことから成り立っています。「掛け」は、この作られた一瞬に最後の決め手を施すことをいいます。 この「作り」と「掛け」は、柔道の根本原理に従った技術原理ということができます。

    互いに、精力善用・自他共栄の根本原理に即した作りと掛けを競い合う間に、自然とこの根本原理を理解し、体得して、社会百般の実生活に生かそうとしています。
    「技から道に入る」わけです。»

    (IT)

    « Il waza (技?) si basa sul principio fondamentale del jūdō, che è seiryoku-zen'yo (精力善用?) ed esso si esprime nella tecnica con le teorie di tsukuri (作り?) e di kake (掛け?).

    Tsukuri è preparato dal kuzushi (くずし?) (il quale significa rompere la postura e l'equilibrio del vostro avversario), per mettere il vostro corpo in jibun-wo-tsukuru (自分を作る? "tenersi pronti") al fine di facilitare il vostro attacco. Kake è chiamata l'applicazione dell'ultimo momento decisivo dell'azione tecnica. Tsukuri e kake possono anche essere considerati i principi fondamentali della tecnica del jūdō.

    Seiryoku-zen'yo (精力善用?) e jita-kyo'ei (自他共栄?) interessano fortemente l'esercizio di tsukuri e kake e capirne e padroneggiarne la teoria serve ad applicarla a tutte le fasi della vita umana.
    Principalmente è Waza-kara-dō-ni-iru (技から道に入る?), entrare nella via passando dal waza. »
    (Kōdōkan Jūdō Institute)

    I concetti di tsukuri e di kake sono di fondamentale importanza nell'esecuzione delle tecniche. Il primo quindi si esplicita quando si è nella corretta posizione per effettuare la tecnica[42] impiegando meno energia possibile, seguendo il principio del seiryoku-zen'yo (精力善用? "miglior impiego dell'energia"), mentre invece il secondo è traducibile come la realizzazione materiale del gesto tecnico, o talvolta, anche solo come la proiezione.

    Il maestro Kyūzō Mifune spiega così entrambi i principî:
    (EN)
    « TSUKURI AND KAKE (POSITIONING TO THROW AND EXECUTION OF THROW)

    Synchronization of arm, leg and hips
    Before executing a technique, it is essential to move your body into the correct position after having broken your opponent's balance. –This is called tsukuri. The execution of the technique itself is known as kake.
    Because immediate intent and simultaneous action are taught from the beginning, sometimes people understand these to mean that there is a sequence for the actions of the arm, leg, and hips. As a rule, tsukuri precedes kake. Also, the fundamental element to understand is to use the power of your mind to control the arms, legs, and hips, to act in perfect synchronization. –This is essential. »

    (IT)

    « TSUKURI E KAKE (POSIZIONARSI PER LA PROIEZIONE ED ESECUZIONE DELLA PROIEZIONE

    Sincronizzazione di braccia, gambe ed ànche
    Prima di eseguire una tecnica, è essenziale spostare il proprio corpo nella posizione corretta dopo aver rotto l'equilibio dell'avversario. Ciò è detto tsukuri. L'esecuzione della tecnica è conosciuta come kake.
    Poiché l'intenzione immediata e l'azione simultanea sono insegnate dal principio, talvolta i praticanti intendono che ci sia una sequenza per le azioni di braccia, gambe e ànche. Normalmente, tsukuri precede kake. E inoltre, l'elemento fondamentale da capire è usare la forza della mente per controllare braccia, gambe ed ànche, per agire in perfetto sincronismo. Questo è essenziale. »
    (Kyūzō Mifune)

    Principî di esecuzione del waza

    sen, l'iniziativa;
    go no sen, il contrasto dell'iniziativa;
    sen no sen, l'iniziativa sull'iniziativa.


    Sen

    Il principio sen (lett: prima) è tutto ciò che riguarda l'attaccare un avversario (uke) mediante tecniche dirette o concatenate (renraku waza, successione). sen si applica in primo luogo tramite azioni di tsukuri mirate a sviluppare l'azione mantenendo l'iniziativa, continuando ad incalzare l'avversario con attacchi continui atti a portare l'avversario in una posizione vulnerabile che permetta di attaccarlo con la tecnica preferita (tokui waza).

    Go-no-sen


    Il principio go no sen si attua con l'uso dei bogyo waza (tecniche di difesa). Dette tecniche, applicabili subendo un attacco per contrastarlo, vengono suddivise in chōwa (schivare), go (bloccare), yawara (assecondare).
    Scopo delle tecniche di difesa è recuperare una posizione che permetta di controllare la situazione o di condurre un attacco.

    Sen-no-sen

    Il principio sen no sen riguarda la controffensiva che tori (colui che agisce) sviluppa nell'istante in cui sta per partire l'attacco di uke(colui che riceve). Dal momento che uke si trova seppur involontariamente in una posizione di precario equilibrio a causa del suo tentativo di tsukuri, occorre anticiparlo prima del suo kake.
    L'assidua pratica nel randori (combattimento libero) è fondamentale per sviluppare la capacità di percezione delle azioni dell'avversario. Tale principio realizza il kaeshi, espressione di un modo evoluto di condurre il combattimento in cui si lascia volutamente l'iniziativa all'avversario ma sempre controllando le sue azioni fino a cogliere l'attimo in cui applicare la contro-tecnica.
    Bloccare, schivare o assecondare un attacco, cioè utilizzare una tecnica di difesa, può metterci nella condizione di poter condurre con successo un nuovo attacco nei confronti dell'avversario, ma è solamente anticipando l'azione nemica che si realizza correttamente un kaeshi. Negli altri casi, è più corretto parlare di contrattacco (giaku geki) piuttosto che di contro-tecnica (kaeshi waza), quantunque a scopo didattico si preferisca utilizzare sempre il termine kaeshi riferendosi alle azioni di attacco-difesa, allo scopo di non generare confusione negli allievi introducendo un concetto di dubbia comprensione.
    In altre parole, si ha un kaeshi quando ad un attacco dell'avversario corrisponde un attacco immediato che lo sovrasta, mentre un contrattacco prevede l'utilizzo di una difesa (chowa, go, yawara) prima di eseguire la tecnica voluta. Per quanto veloce possa essere l'esecuzione, c'è sempre un attimo di rottura nell'azione: nel caso del kaeshi, questa rottura non esiste perché la contro-tecnica anticipa l'azione dell'avversario prima che questi abbia potuto dispiegare per intero il proprio attacco.

    Esercizi d'allenamento

    Tandoku-renshu: pratica individuale.
    Uchi-komi: ripetizione delle tecniche con compagno.
    Nage-komi: esercizi di proiezione.
    Yaku-soku-geiko: scambio di tecniche in movimento con compagno.
    Kakari-geiko: esercizi specifici di ruolo.
    Randori: pratica libera.
    Shiai: combattimento da competizione.


    I Kata


    I kata (形?) sono costituiti da esercizi di tecnica e di concentrazione di particolare difficoltà e racchiudono in sé la sorgente stessa dei principî del jūdō. La buona esecuzione dei kata necessita di lunghi periodi di pratica e di studi approfonditi, al fine di apprenderne il senso profondo.

    « Prima dell'era Meiji, molti maestri di jū-jutsu insegnavano solo i kata. Ma io ho studiato sia il Tenshin Shin'yo jū-jutsu che il Kitō jū-jutsu, ed entrambi gli stili includono la pratica sia dei kata che del randori. Se dovessi paragonare il jū-jutsu ad una lingua, allora direi che lo studio dei kata può essere associato allo studio della grammatica, mentre la pratica del randori può essere associata alla scrittura. [...] Agli studenti avanzati piace cambiare spesso il compagno di allenamento durante il randori, e molti di loro tendono a trascurare lo studio dei kata. Nell'esecuzione dei kata, uno dei due praticanti indietreggia quando viene attaccato, per poi rivolgere la forza dell'avversario contro lui stesso. Questa è la flessibilità del jūdō: una cedevolezza iniziale prima della vittoria finale. »
    (Jigorō Kanō)

    Scrive inoltre Barioli: «Il signor Kanō riteneva di utilizzare le "forme" per conservare la purezza del jūdō attraverso il tempo e le interpretazioni personali. Ma il barone Ōura, primo presidente del Butokukai, ci vedeva la possibilità (1895) di proporre una base comune alle principali scuole di jūjutsu, per presentare al mondo la tradizione di lotta del grande Giappone.» Ed infatti, come lo stesso Kanō scrive nelle sue memorie, sia il kime-no-kata che il katame-no-kata ed il nage-no-kata furono formalizzati dal Kōdōkan e ratificati (con qualche modifica) dal Dai Nippon Butokukai per un utilizzo su scala nazionale, ed attualmente, su scala mondiale.

    Il Kōdōkan Jūdō Institute riconosce come ufficiali i seguenti kata:

    Nage-no-kata (投の形? "forme delle proiezioni"), composto di 5 gruppi (te-waza, koshi-waza, ashi-waza, mae-sutemi-waza, yoko-sutemi-waza)
    Katame-no-kata (固の形? "forme dei controlli"), composto di 3 gruppi (osae-komi-waza, shime-waza, kansetsu-waza).
    Kime-no-kata (極の形? "forme della decisione"), anticamente chiamato shinken-shōbu-no-kata (真剣勝負の形? "forme del combattimento reale").
    Jū-no-kata (柔の形? "forme dell'adattabilità").
    Kōdōkan goshin-jutsu (講道館護身術? "arte di autodifesa del Kōdōkan"), istituito nel 1956 ad uso delle forze dell'ordine giapponesi.
    Itsutsu-no-kata (五の形? "forme dei cinque principî").
    Koshiki-no-kata (古式の形? "forme antiche"), rievocazione delle forme della Kitō-ryū di jū-jutsu.[49]
    Seiryoku-zen'yō kokumin-taiiku-no-kata (精力善用国民体育? "forme dell'educazione fisica nazionale del miglior impiego dell'energia").

    L'insieme di nage-no-kata e katame-no-kata viene anche definito randori-no-kata (乱取りの形?) poiché in essi vi sono i principî e le strategie in uso nel randori.
    Non ufficialmente riconosciuto dal Kōdōkan Jūdō Institute è il:

    Gō-no-kata (剛の形? "forme della forza"). Questo è il primo kata adottato dal jūdō caduto però in disuso dopo la morte del Prof. Jigorō Kanō il quale ne abbandonò lo sviluppo in favore del jū-no-kata.

    Inoltre, non riconosciuti dal Kōdōkan Jūdō Institute in quanto creati ad hoc da maestri o ex-maestri del Kōdōkan in base alle proprie caratteristiche tecniche, sono il:

    Nage-ura-no-kata
    (投裏の形? "forme delle controproiezioni"), ad opera di Kyuzō Mifune, jūdan ed allievo diretto di Jigorō Kanō Shihan.
    Gō-no-sen-no-kata (剛の先の形? "forme dei contrattacchi gō") di Mikonosuke Kawaishi, creatore di uno stile personale ed insegnante in Francia).
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    Il Dōjō


    Il luogo dove si pratica il jūdō si chiama dōjō (道場? "luogo (di studio) della via"), termine usato anche nel buddhismo giapponese ad indicare la camera adibita alla pratica della meditazione zazen (坐禅?), e per estensione, indica un luogo ove il reihō (礼法? "etichetta") è requisito fondamentale.

    « Quando si visita un dōjō per la prima volta, generalmente si rimane colpiti dalla sua pulizia e dall'atmosfera solenne che lo pervade. Dovremmo ricordarci che la parola "dōjō" deriva da un termine buddhista che fa riferimento al "luogo dell'illuminazione". Come un monastero, il dōjō è un luogo sacro visitato dalla persone che desiderano perfezionare il loro corpo e la loro mente.
    La pratica del randori e dei kata viene eseguita nel dōjō, che è anche il luogo in cui si disputano le gare di combattimeto. »

    (Jigorō Kanō)

    Nel dōjō, il jūdō viene praticato su un materassino chiamato tatami (畳?). Il tatami in Giappone è fatto di paglia di riso, ed è la normale pavimentazione delle abitazioni in stile tradizionale. Fino agli anni settanta circa si è usato anche per la pratica del jūdō, ma oggi, per fini igienici ed ergonomici, si usano materiali sintetici: infatti per la regolare manutenzione del dōjō è importante che i tatami siano facili da pulire, e per consentire ai jūdōka di allenarsi confortevolmente, devono essere sufficientemente rigidi da potervi camminare sopra senza sprofondare ed adeguatamente elastici da poter attutire la caduta.

    Il dōjō ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:

    Nord: Kamiza (上座? "posto d'onore"), che rappresenta la saggezza, è riservato al sensei (先生?) titolare del dōjō alle spalle del quale è apposta l'immagine di Jigorō Kanō Shihan.
    Est: Jōseki (上席? "posto degli alti gradi"), che rappresenta la virtù, è riservato ai sempai, agli ospiti illustri, o in generale agli yudansha.
    Sud: Shimoza (下座? "posto inferiore"), che rappresenta l'apprendimento, è riservato ai mudansha.
    Ovest: Shimoseki (下席? "posto dei bassi gradi"), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto, ma all'occorrenza è occupato dai 6ⁱ kyū.


    L'ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra. Il capofila di shimoza, usualmente il più esperto tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del reihō. In particolare è incaricato di avvisare i compagni di pratica riguardo: l'assunzione della posizione formale in ginocchio seiza (正座? "posizione formale"), del mokusō (黙想? "silenzio contemplativo") e del suo termine yame (止め? "fine"), del saluto al fondatore shōmen-ni-rei (正面に礼? "saluto al principale"), del saluto all'insegnante sensei-ni-rei (先生に礼? "saluto al maestro"), del saluto a tutti i praticanti otagai-ni-rei (お互いに礼? "saluto reciproco"), e del ritorno alla posizione eretta ritsu (立? "in piedi").

    Nei dōjō tradizionali, inoltre, vi è usualmente uno spazio adiacente alla parete dove vi sono conservate le armi per la pratica dei kata: bokken (木剣? "spada di legno"), tantō (短刀? "pugnale"), bō (棒? "bastone"), e kenjū (拳銃? "pistola"); e il nafudakake (名札掛? "tabella dei nomi"), dove sono affissi in ordine di grado i tag di tutti i jūdōka appartenenti al dōjō.

    Il tatami per lo shiai

    Il tatami utilizzato nelle competizioni shiai (試合? "gara") deve avere le misure minime di 12×12 m per le classi Esordienti A e B; e di 13×13 m per le classi Cadetti, Juniores e Seniores, ed uno spessore di almeno 4 centimetri. Al centro vi è l'area di combattimento di dimensioni minime di 6×6 m per le classi Esordienti A e B, e di 7×7 m per le classi Cadetti, Juniores e Seniores; e dimensioni massime di 10×10 m. La zona di pericolo di colore rosso di 1 metro di larghezza è stata abolita nel 2007[51] a seguito delle delibere IJF in materia,[52] disponendo così della sola area di combattimento interna e dell'area di sicurezza esterna, quest'ultima di larghezza non inferiore a 3 m.[53]

    Il Jūdōgi


    I jūdōka portano una tenuta chiamata Jūdōgi composta da pantaloni di cotone bianco rinforzato soprattutto alle ginocchia (zubon) e una casacca bianca di cotone rinforzato (uwagi) tenuti insieme da una cintura (obi) colorata. Introdotto nel judo per la prima volta, il colore della cintura serve a riconoscere il grado e l'esperienza di un judoista. In gara i contendenti indossano una cintura bianca o rossa da sola o in aggiunta alla propria cintura allo scopo di distinguerli e attribuire i punteggi conquistati in gara. Nei tornei e campionati internazionali ed olimpici uno dei due indossa un judogi di colore blu, per essere meglio distinguibili non tanto dall'arbitro quanto dal pubblico, specialmente televisivo.

    Il sistema di graduazione


    Ad ogni praticante viene attribuito un grado che identifica sinteticamente -almeno nelle intenzioni di Jigorō Kanō Shihan- il suo livello tecnico e quindi la conoscenza e l'abilità nel waza, la sua condotta etica e morale, così come la capacità di applicare i principi del jūdō alla vita quotidiana. Jigorō Kanō stesso, in un articolo del 1918, indica i criteri per la promozione di dan:


    Esistono casi in cui è prevista la bocciatura alla classe superiore o il rinvio dell'esame, quando vengono rilevate situazioni di noncuranza o inosservanza delle regole fondamentali che ogni allievo è tenuto a conoscere; oppure di fronte alla constatazione di un procedimento scorretto nella modalità di apprendimento. [...] Nell'esame di promozione rientrano naturalmente anche altre considerazioni, quali il livello di comprensione dei principî del jūdō, l'attitudine comportamentale del candidato, ecc. Ad esempio, di recente abbiamo preso l'iniziativa di inviare a una scuola superiore un regolamento riguardante gli esami di promozione in cui si precisano i seguenti canoni da tenere in considerazione per le valutazioni:

    « La promozione ai vari gradi
    Portamento corporeo;
    Educazione e rispetto dei riti;
    Capacità tecnica e fisica;
    Comportamento individuale operoso o indolente. »


    (Jigorō Kanō)

    La classificazione prevede una divisione tra mudansha, ovvero i non portatori di dan, e gli yudansha, ovvero i portatori di dan. Tale classificazione, ad opera del Prof. Kanō, è una evoluzione del sistema tradizionale basato su onorificenze, ancora in uso al Dai Nippon Butoku Kai, che prevede l'assegnazione di titoli onorifici a seconda dell'esperienza del praticante.

    « L'introduzione del nostro sistema di graduazione avvenne subito dopo la fondazione del Kōdōkan nel 1882. Precedentemente le qualifiche variavano da scuola a scuola, ma in genere risultavano suddivise in tre livelli: Mokuroku, Menkyō e Kaiden, con conferimento del rotolo di attestato, che conteneva anche altri dati e raccomandazioni.
    Chi riusciva a superare il livello dilettantistico poteva pertanto allinearsi nella qualifica Mokuroku; progredendo ulteriormente e acquistando la competenza didattica, veniva concesso il Menkyō, con l'autorizzazione di insegnare il jū-jutsu della propria scuola; progredendo ancora e con l'acquisizione dell'abilità che si può definire magistrale, finalmente veniva conferito il certificato di Kaiden, contenente la dichiarazione di aver trasmesso al titolare ogni segreto orale e scritto della disciplina.
    I gradi erano al massimo cinque, con lunghi intervalli di tempo tra uno e l'altro, cosa che personalmente trovavo controproducente non solo sul piano didattico, ma anche nell'incoraggiare gli allievi. »


    (Jigorō Kanō)


    L'uso delle cinture, quindi, è stato introdotto sostanzialmente dal Prof. Kanō col fine di esplicitare il grado effettivo del praticante, ma è da attribuire agli occidentali (e più precisamente, prima ai francesi in accordo col metodo di Mikonosuke Kawaishi e successivamente ai brasiliani con i fratelli Carlos ed Helio Gracie) l'uso sistematico delle cinture colorate per i mudansha.
    Tale sistema di graduazione non è standard in tutto il mondo, ma generalmente prevede i seguenti colori per identificare i jūdōka dal 6º al 1º kyū: bianco, giallo, arancione, verde, blu, e marrone. Al momento è tuttavia in uso in molte associazioni sportive italiane un sistema di graduazione per i mudansha che prevede anche l'attribuizione di "mezze-cinture", vera aberrazione per il jūdō tradizionale, ma dall'indubbia utilità commerciale. Esistono quindi, tra i vari kyū, le cinture: bianco-gialla, gialla-arancione, arancio-verde, verde-blu e la blu-marrone.
    Per gli yudansha, invece, esiste uno standard globalmente accettato che è quello del Kōdōkan di Tōkyō, che prevede i seguenti colori: nera dal 1º al 5º dan, bianco-rosso dal 6º all'8º dan, e rosso per il 9º e il 10º dan. Le donne, inoltre, per tradizione, possono indossare la cintura del grado a cui appartengono, con una particolare riga bianca orizzontale.

    In Italia

    In Italia, i gradi inferiori alla cintura nera sono rilasciati in seguito ad un esame periodico organizzato dall'Insegnante Tecnico del club. Per ottenere invece il grado di cintura nera 1º dan ci sono diversi percorsi:

    Al 15º anno di età, i possessori del grado di 2º kyū, possono ottenere il 1º dan per meriti agonistici classificandosi almeno al 3º posto al Campionato Italiano Cadetti; oppure al 17º anno di età, i possessori del grado di 1º kyū, classificandosi nei primi 7 al Campionato Italiano Juniores; oppure dal 17º al 23º anno di età, i possessori del grado di 1º kyū, classificandosi nei primi 7 al Campionato Italiano Under 23.
    Al 18º anno di età, i possessori del grado di 2º kyū, possono partecipare al Grand Prix 1º e 2º dan il quale prevede una serie di tornei a punteggio: al raggiungimento della soglia di 40 punti si ottiene il 1º dan, e al raggiungimento di ulteriori 50 punti, il 2º dan.
    Al 16º anno di età, per coloro fossero 1º kyū da almeno 2 anni, è possibile sostenere un esame teorico-pratico indetto dal Comitato Regionale.

    Di seguito altre regole per la promozione a dan successivi (valide in Italia):

    I medagliati ad un Campionato Italiano di classe ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 3º dan, direttamente dal Presidente della FIJLKAM.
    I medagliati ad un Campionato Europeo di classe ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 4º dan, direttamente dal Presidente dell'EJU.
    I medagliati ad un Campionato Mondiale o alle Olimpiadi ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 5º dan, direttamente dal Presidente dell'IJF.

    Per l'ottenimento di gradi dal 1º al 6º dan, tuttavia, è possibile sostenere un esame di graduazione regionale (fino al 3º dan), o nazionale (fino al 6º dan), rispettando i vincoli temporali minimi, ovvero di n+1 anni di attesa per ogni esame di graduazione, dove n è il proprio dan, fino al 5º dan; e di n+3 anni di attesa e la qualifica di Ufficiale di Gara Nazionale o Maestro, per il 6º dan.[57] Dan successivi vengono attribuiti –almeno in Italia–, principalmente, per meriti politici.
    Kyū Dan
    Kyū Kanji Rōmaji Colore
    6 六級 Rokkyū bianco
    5 五級 Gokkyū giallo
    4 四級 Yokkyū arancione
    3 三級 Sankyū verde
    2 二級 Nikyū blu
    1 一級 Ikkyū marrone


    Dan Kanji Rōmaji Colore
    1 初段 Shodan nero
    2 二段 Nidan
    3 三段 Sandan
    4 四段 Yodan
    5 五段 Godan
    6 六段 Rokudan bianco-rosso
    7 七段 Nanadan
    8 八段 Hachidan
    9 九段 Kudan rosso
    10 十段 Jūdan


    Il jūdō in Italia

    Cenni storici

    Le prime testimonianze si riferiscono ad un gruppo di militari appartenenti alla nostra Marina i quali nel 1905 tennero una dimostrazione di "lotta giapponese" (cosi veniva definito il judo) davanti all'allora re d'Italia Vittorio Emanuele III.
    Gli ufficiali Moscardelli e Michele Pizzolla, in servizio a Yokohama in Giappone ottennero, secondo quanto contenuto negli archivi della Marina, il 1º dan di judo nel 1889.
    Bisognerà però aspettare altri 15 anni perché si incominci a parlare di judo, grazie all'opera di un altro marinaio, Carlo Oletti, che diresse i corsi di judo per l'esercito che erano stati istituiti nel 1920.

    La FIJLKAM


    Fino al 1924 il judo resterà confinato nell'ambito militare, allorquando fu costituita la FILG (Federazione Italiana Lotta Giapponese), assorbita poi nel '31 dalla FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante), e quindi nel '74 dalla FILPJ, (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo), che a sua volta, inglobando anche il karate, cambierà denominazione in FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate) nel 1995; infine nel luglio del 2000 l'Assemblea Nazionale decide di scindere la FILPJK in FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) e FIPCF (Federazione Italiana Pesistica e Cultura Fisica).
    Particolare merito spetta, per la divulgazione in Italia del judo e per la costituzione in organizzazione federale, al Maestro Benemerito[58] Tommaso Betti Berutto, autore del testo – usato come riferimento da almeno due generazioni di insegnanti tecnici italiani, ma non certo indenne da gravi imperfezioni – "Da cintura bianca a cintura nera", al Maestro Benemerito Giovanni Bonfiglio, pioniere del judo e delle arti marziali in Sicilia e Calabria già dal 1946, e all'Avv. Augusto Ceracchini, cinque volte Campione d'Italia e co-istitutore dell'Accademia Nazionale Italiana Judo.[59] Vanno altresì inclusi in quest'ambito i nomi dei maestri Nicola Tempesta, padre del judo napoletano, nove volte Campione d'Italia e primo italiano Campione d'Europa, e di Cesare Barioli, autore di diversi testi sia tecnici, sia come metodo educativo e formativo.
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    Il termine giapponese kobudo viene tradotto come "L'antica via del Guerriero" (ko=Antico, Bu=Guerriero, do=Via) e s'incontra riferito ad almeno tre particolari discipline marziali con caratteristiche assolutamente differenti; il Kobudo di Okinawa che si caratterizza per l'uso di un vasto numero di armi tradizionali, per lo più di origine contadina, il Kobudo giapponese con lo studio di un repertorio più limitato di armi anche propriamente dette e il Kobudo nelle scuole Ninja inteso come "Arte antica del guerriero" nel senso più ampio del termine. Per ciò che concerne il Kobudo giapponese, oggi spesso s'incontra assimilato all'interno delle scuole tradizionali di jujutsu, ed insegna l'utilizzo di attrezzi anche agricoli come armi.
    Nell'isola di Okinawa, sottoposta alla ferrea dominazione del Clan giapponese dei Shimatsu di Satsuma che l'avevano conquistata agli inizi del 1600 (dopo rapida campagna militare e un'unica breve e sanguinosa battaglia), il tassativo divieto di utilizzare armi, spinse i nativi a perfezionare l'uso di un vasto numero di attrezzi di uso comune. Le armi del repertorio del Kobudo di Okinawa che anche oggi è possibile studiare integralmente soprattutto presso la Scuola del Maestro Matayoshi, comprendono ben 17 tipi diversi di armi tradizionali ognuna delle quali completa di kata (forme), tecniche (waza) e posizioni (dachi). Incontriamo quindi il Bo (ovvero il bastone lungo 6 piedi), il Tunkwa o tonfa (manganello con manico usato a coppia), il Sai (tridente metallico usato a coppie), il Matayoshi sai (simile al sai ma con un'elsa opposta all'altra), il Nunti (ovvero il matayoshi sai con due punte), il Nunti bo (ovvero il nunti fissato su un bastone di sei piedi come una fiocina), il Nunchaku (che può essere usato sia singolarmente che in coppia), il Sansetsukon (nunchaku a 3 sezioni), l' Eku (remo in legno), il ChoGama (falce lunga), il KurumanBo (bastone lungo con uno piccolo snodato fissato all'estremità), il Suruchin (due pietre legate con una corda), il Kama (falcetti corti usati a coppie), il Timbei (scudo usato con una spada Banto), il Kuwa (zappa), il Tekko (tirapugni metallico a staffa), il Tecchu (tirapugni metallico aghiforme).
    In realtà il kobudo è un insieme di singole arti marziali, dal momento che ciascuna arma dà luogo ad una disciplina completa con proprie tecniche (waza), proprie forme (Kata) e proprie posizioni (dachi).

    Le armi del Kobudo giapponese

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    Jo: sostanzialmente un bastone corto, lungo più o meno come un comune manico di scopa. Il Jo è un'arma molto maneggevole e la sua forza sta nell'abilità di farlo scorrere velocemente nelle mani, in maniera da offrire al bersaglio sempre una lunga porzione dell'arma allo scopo di mantenerlo a distanza. Tra le tecniche utilizzate vi sono affondi, leve e sbilanciamenti.

    Bo: il bastone lungo, alto più o meno 1,8 metri (in questo caso definito Rokushakubo, ovvero "bo lungo sei piedi"), è un'arma più complicata del jo, in quanto più lenta. Le tecniche base insegnano scorrimenti e colpi con diverse configurazioni del corpo e soprattutto delle braccia. Queste ultime si intersecano in svariati modi a seconda delle tecniche utilizzate e rendono il Bo un'arma molto artistica da osservare.

    Sai: questi lunghi pugnali a forca si utilizzano in coppia. Erroneamente si pensa ai Sai come a dei pugnali, ma in realtà sono armi contundenti prive di lama e con punte aguzze. Raramente si impugnano dal manico, infatti vengono tenuti da uno dei due rostri e stesi sull'avambraccio per essere utilizzati come scudi. Facendo ruotare un Sai dalla posizione chiusa sull'avambraccio in avanti si produce un colpo contundente molto efficace. Fra le varie tecniche vi sono diversi affondi ma soprattutto blocchi (sono armi molto efficaci per parare le tecniche di spada) e leve articolari.

    Nunchaku: questa arma è composta da due corti bastoni tenuti insieme da una corda (stile giapponese, a sezione ottagonale) o una catena (stile cinese a sezione circolare). Diversamente da quanto si possa pensare, il Nunchaku, che è stato reso popolare dai film di Bruce Lee, non viene tenuto in costante movimento, ma viene più spesso utilizzato in diverse guardie o addirittura in una mano sola, come un piccolo bastone. Fra le tecniche base vi sono rapidi colpi portati di rimbalzo e leve articolari al polso ed al braccio; può essere utilizzato anche in coppia.

    Tonfa: il Tonfa è sostanzialmente un manganello ad elle, paragonabile a quello in dotazione all'Arma dei Carabinieri. Nel Kobudo viene utilizzato in singolo od in coppia, e molte tecniche sono simili a quelle dei Sai, in quanto vengono fatti ruotare per produrre un colpo contundente. La elle che forma l'impugnatura è molto utile per fare leve articolari e strangolamenti, così come per bloccare attacchi da altre armi. Infine possono essere utilizzati alla stregua di accette, in maniera del tutto simile a come vengono utilizzati i Kama. Il Tonfa si rivela una delle armi più versatili del Kobudo.

    Kama: il Kama è una sorta di falcetto con lama a becco di corvo utilizzato prevalentemente in coppia. Le tecniche base prevedono blocchi e soprattutto tagli ai legamenti ed alle articolazioni, effettuati allo scopo di disarmare o rendere inerme il nemico.

    Le armi non tradizionali


    200px-Katana-Wakizashi
    200px-NaginataBudo

    Nella concezione dell'attuale Kobudo, cioè quello inserito all'interno del Jujutsu vengono studiate altre tre armi che non fanno parte dell'arte tradizionale poiché armi da samurai o da ashigaru. Queste sono:

    Katana: la famosa sciabola dei samurai definita daito ("spada lunga"), ad un solo taglio, efficacissima e dalla rapidità notevole. Le tecniche di quest'arma sono poche, ma sono talmente perfette ed efficaci da meritarsi un'arte marziale a sé stante che le studia, il kendo (praticato con spade di bambù, le shinai). All'interno del Kobudo vengono studiate tecniche di estrazione, di taglio e di affondo, nonché leve articolari da effettuarsi con l'utilizzo della custodia e dello tsuba dell'arma.
    Wakizashi: quest'arma è una versione corta della Katana, chiamata shoto ("spada corta"), che veniva normalmente portato assieme ad essa dai samurai, formando così il daisho. Le tecniche sono simili a quelle della sua controparte più grande ma più limitate, data la ridotta dimensione dell'arma, compensata tuttavia dalla rapidità sorprendente che rende il Wakizashi un'arma temibile per i combattimenti a corta distanza.
    Naginata: quest'arma è sostanzialmente un Bo con montata una lama di Katana ad una delle estremità. Le tecniche di Naginata richiamano quelle del bastone lungo ma enfatizzano i colpi portati con la lama, a cui si applica il movimento di taglio tirando verso di sé l'arma nel momento in cui la lama impatta sul nemico, allo scopo di provocare profondi ed estesi tagli.
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    Dimostrazione di una tecnica di aikido denominata "shihonage". Quest'azione implica la proiezione a terra dell'avversario. È una tecnica basilare dell'aikido, eseguita in questo caso nella posizione relativa di hantachiwaza: in questa posizione colui che esegue la tecnica è in posizione "suwaru" (la tipica posizione giapponese seduta in ginocchio) e chi subisce la tecnica (ex attaccante) ha sferrato il proprio attacco stando in piedi, partendo dalla posizione eretta

    65px-Aikido_Kanji

    L'aikidō 合気道 (scritto in kanji) o anche 合氣道 (usando un kanji più antico) è una disciplina psicofisica giapponese praticata sia a mani nude sia con le armi bianche tradizionali del Budo giapponese di cui principalmente: "ken" (spada), "jo" (bastone) e "tanto" (il pugnale).
    I praticanti sono chiamati aikidōka (合気道家).
    La disciplina dell'aikido fu sviluppata da Morihei Ueshiba (植芝盛平) anche chiamato dagli aikidōka Ōsensei (翁先生? "Grande maestro") a cominciare dagli anni trenta del '900.

    Significato del termine 合氣道 (aikido)

    Il nome aikido è formato da tre caratteri sino-giapponesi: 合 (ai), 氣 (ki), 道 (do) la cui traslitterazione è la seguente:
    合 (ai) significa "armonia" e nel contempo anche "congiungimento" e "unione";
    氣 (ki) è rappresentato dall'ideogramma giapponese 氣 che, nei caratteri della scrittura kanji, raffigura il "vapore che sale dal riso in cottura". Significa "spirito" non nel significato che il termine ha nella religione, ma nel significato del vocabolo latino "spiritus", cioè "soffio vitale", "energia vitale". Il riso, nella tradizione giapponese, rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed aleggia in natura e che per l'Uomo è vitale. Il 氣 "ki" è dunque anche l'energia cosmica che sostiene ogni cosa. L'essere umano è vivo finché è percorso dal "ki" e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del "ki" l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve;
    道 (dō) significa letteralmente "ciò che conduce" nel senso di "disciplina" vista come "percorso", "via", "cammino", in senso non solo fisico ma anche spirituale.
    合氣道 (ai-ki-do) significa quindi innanzi tutto: «Disciplina che conduce all'unione ed all'armonia con l'energia vitale e lo spirito dell'Universo».
    Ueshiba Morihei, il fondatore dell'aikido, usava dire che l'aikido anela sinceramente a comprendere la natura, ad esprimere la gratitudine per i suoi doni meravigliosi, ad immedesimare l'individuo con la natura. Quest'aspirazione a comprendere e ad applicare praticamente le leggi della natura, espressa nelle parole "ai" e "ki", forma l'essenza ed il concetto fondamentale dell'arte dell'aikido.

    Storia: origini ed evoluzione dell'aikido

    La storia e l'evoluzione dell'aikido non può prescindere, almeno nella sua fase iniziale, dalla vita del suo fondatore Morihei Ueshiba (Ōsensei 翁先生, Tanabe 1883 - Tokyo 1969).
    L'aikido ha infatti conosciuto due distinte fasi evolutive che possono essere identificate in modo abbastanza agevole: la prima intimamente collegata al percorso evolutivo dello studio del Budo giapponese da parte del fondatore ed una seconda a partire dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, periodo in cui l'aikido iniziò la sua rapida affermazione nel mondo intero, in modo particolarmente veloce e ramificato a decorrere dagli anni successivi alla morte del suo fondatore.

    Prima fase: evoluzione dello studio del Budō da parte del fondatore


    Le basi tecniche ed i principi della pratica delle arti marziali seguita dal fondatore, differirono grandemente a seconda delle epoche di evoluzione del percorso del suo studio delle arti marziali e della realizzazione della propria personale concezione del Budō (武道).

    Era Taishō 大正 (1912-1926)


    Il fondatore in questo periodo si dedicò a numerose forme di Bujutsu (武術) ed in particolare approfondì la pratica del "Daitō-Ryū Aikijūjutsu" (大東流合気柔術) sotto la guida di Sokaku Takeda (武田惣角), 35º successore della Scuola Daito.
    In quest'epoca il fondatore impostò la pratica sui kata.
    Fra le scuole di Jujitsu (柔術), oltre a quelle che si basavano principalmente sul combattimento corpo a corpo e sul combattimento a terra, ne esistevano anche alcune che avevano tramutato i movimenti e le tecniche di spada in tecniche di tai-jutsu. La scuola Daitôryû di Aizu insegnata dal Maestro Takeda ed in cui il fondatore dell'aikido si distinse tra i migliori allievi, fu una delle più rappresentative.
    Nel 1919 avviene il primo incontro con Onisaburo Deguchi, capo carismatico della setta religiosa Ōmoto-kyō da cui verrà fortemente influenzata l'ispirazione della sua evoluzione spirituale.
    Nel 1922 completa i suoi studi del Daitôryû Aikijujitsu e riceve da Sokaku Takeda il diploma "Kyoju Dairi", grado di istruttore che lo certifica quale rappresentante della Scuola Daito.
    Nel 1925 Ueshiba ebbe la sua prima occasione di "risveglio spirituale" quando, sfidato da un alto ufficiale della marina scettico sulle sue effettive abilità nella difesa senz'armi contro un avversario armato, invitato da questi a fornire una dimostrazione delle sue reali capacità, dopo aver avuto pieno successo nel disarmare a mani nude l'ufficiale armato di bokken vanificando il suo attacco al primo colpo, provò un improvviso mutamento interiore che lo rese capace di interpretare in una luce nuova il suo rapporto non solo con il Budō ma anche nei confronti di ogni aspetto della realtà esteriore.
    Il fondatore ebbe anche altre occasioni di esperienze similari che, unitamente all'idea religiosa trasmessagli da Deguchi che sosteneva che l’Arte è la madre della religione e l’Arte permette la nascita della religione, lo spinsero ad un collegamento sempre più stretto fra "Arte" e "religiosità" favorendo in lui il raggiungimento di una visione religiosa delle Arti marziali e del Budō.
    Questa sua peculiare ispirazione nel campo delle Arti marziali, fece maturare in Ueshiba il convincimento che, a partire dall'Arte e dalla sua capacità di elevare la spiritualità dell'Uomo, si possa arrivare a risolvere il problema esistenziale e religioso dell'Uomo stesso e quindi che ciò era possibile di riflesso anche in relazione alle "Arti" militari.
    Questo convincimento condusse Ueshiba sempre più ad interiorizzare la propria pratica delle Arti marziali e, passando attraverso diverse crisi mistiche, alla fine concepì la visione del Budō come armonizzazione del Sé individuale con il Sé dell'Universo e da questa concezione la sua pratica delle Arti marziali si modificò fino ad assumere quei connotati di forme che il fondatore definì "Ai-Ki-Do", cioè la sublimazione delle Arti marziali nell’essenza stessa dell’aspirazione spirituale, etica e sociale del Budō giapponese.

    Dal primo al sesto anno dell'epoca Shôwa 昭和 (1926-1931)

    In questi anni il fondatore si allontanò dalla religione per dedicarsi completamente al Budō fino a diventare uno specialista nei principali stili di arti marziali giapponesi. Dal Daitôryû Aikijujitsu (大東流合気柔術) si entra nell'epoca dello Ueshiba-ryû "Aiki-jutsu" (合気柔術), successivamente modificato in "Aiki-bujutsu" (合気武術) e in seguito "Aiki-budô" (合気武道).
    Il fondatore aggiunse al Daitōryu le sue conoscenze specifiche relative alle tecniche di lancia (Sōjutsu) e di spada (Kenjutsu), di cui era un rinomato esperto, creando così il metodo uchikomi, una sorta di "kata che vive", che viene considerato tipico dell'aikidô.
    Nel 1927 il fondatore si trasferisce con la famiglia a Tokyo, nel distretto di Shiba Shirogane (芝白金), ed in una sala provvisoriamente concessagli dal principe Shimazu inizia l’insegnamento della "Via dell’Aiki" che in quegli anni denominò: Aiki-Budō (合気-武道).
    Nell'ottobre 1930 Ueshiba Morihei aveva temporaneamente spostato il suo Dojo nella località di Mejirodai e qui andò a fargli visita Jigorō Kanō, il fondatore del Judo, il quale vedendo Ueshiba praticare il suo Aiki-Budō esclamò: "...ecco il mio Budo ideale..." [5] ed immediatamente inviò due dei suoi migliori allievi, Jiro Takeda e Minoru Mochizuki, a studiare presso Ueshiba.
    Nel 1931, dopo essere passato attraverso alcune altre sistemazioni di fortuna, inizia l’attività del Dojo Kobukan a Wakamatsu-cho, Shinjuku, Tokyo, che diventerà poi il centro mondiale dell'aikido (Hombu Dojo Aikikai).

    Seconda fase: sviluppo e diffusione in Giappone e nel mondo

    L'aikido si diffonde in Giappone (1931-1947)

    Nel 1940 la Fondazione Kobukai viene ufficialmente riconosciuta dal governo giapponese: inizia ad Iwama-Machi, nella prefettura di Ibaraki, l’allestimento di un luogo all’aperto per la pratica.
    Nel 1942 viene ufficialmente adottato il nome "aikido".
    Nello stesso anno il figlio Kisshomaru Ueshiba diviene presidente della Fondazione Kobukai.
    Nella primavera del 1943 il fondatore decise di abbandonare tutti gli impegni fino ad allora presi nei confronti dell'esercito, della marina e del mondo delle arti marziali per rifugiarsi nella cittadina di Iwama, Prefettura di Ibaragi, dove si dedicò all'agricoltura, coniugando la sua passione per le arti marziali all'amore per la natura.
    È in questa fase che si venne a creare:
    "L'aikidô in quanto Via di tutti coloro che coltivano il grande amore per il cielo e la terra".
    È questa l'epoca, dal dopoguerra in poi, in cui l'aikidô fu presentato al pubblico e si venne a diffondere in tutto il mondo.

    L'aikido si espande nel mondo (dal 1947 ~)


    Nel 1947-1948 avvenne la riorganizzazione del Kobukai che diventa "Fondazione Aikikai" e Kisshomaru Ueshiba diventa Direttore Generale della Fondazione Hombu Dojo.
    In questi anni emerge la figura di Koichi Tohei, 8º dan,uno fra i migliori allievi del fondatore dal quale, negli anni dell'immediato dopoguerra, ricevette l'incarico di rappresentarlo quando eccellenti praticanti di altre arti marziali provenienti dall'intero territorio del Giappone ed anche dall'estero, increduli sull'efficacia delle armoniose e non violente tecniche d'aikido, si recavano personalmente all'Hombu Dojo Aikikai di Tokyo per sfidare la fama d'invincibilità che l'aikido si stava procurando in Giappone e che man mano iniziava a diffondersi anche all'estero: nessuno di questi sfidanti fu mai in grado di superare il primo incontro con il valentissimo Tohei, per cui il fondatore non ebbe mai più bisogno di rispondere personalmente ad alcuna delle sfide che in quegli anni ancora si usava portare ai capiscuola dei vari stili delle arti marziali.
    L'indiscussa superiorità e qualità tecnica dell'aikido praticato da Tohei, fece sì che nel maggio del 1956 il fondatore stesso gli conferisse l'incarico di "Capo del corpo insegnanti" (Shihan Bucho) dell'Hombu Dojo Aikikai e lo designasse quale inviato ufficiale e proprio rappresentante nelle prime occasioni di presentazione dell'aikido all'estero.
    Nel 1953 Tohei si reca per la prima volta in occidente, alle isole Hawai (località occidentale di grande valenza strategica per il suo legame con i noti accadimenti di Pearl Harbor che segnarono l'inizio delle ostilità belliche verso gli U.S.A. da parte del Giappone), dove presenta l'aikido passando anche qui attraverso numerose sfide da parte degli increduli praticanti americani di svariate arti marziali, inclusi rappresentanti di vari corpi armati militari americani particolarmente addestrati nei tradizionali sistemi occidentali di lotta e di combattimento corpo a corpo. Tohei sbigottì talmente i suoi sfidanti americani, che la rivoluzionaria tecnica dolce ed armoniosa dell'aikido divenne immediatamente fortemente ambita in ogni parte degli U.S.A. e quindi fra gli anni 1953~1963 Tohei fu di fatto completamente assorbito nel compito di divulgazione dell'aikido attraverso oltre 21 stati degli U.S.A.
    L'opera di divulgazione dell'aikido negli U.S.A. culminò nel marzo del 1961, quando Ueshiba Morihei fu accompagnato da Tohei in un viaggio alle Hawai e successivamente Tohei espanse la sua opera di diffusione nei diversi continenti del mondo.
    Ben presto sulla scia del successo riportato da Tohei, altri allievi diretti del fondatore iniziarono a viaggiare per il mondo per far conoscere questa nuova disciplina giapponese e rendere partecipe il mondo intero del messaggio etico e spirituale in esso contenuto.
    Nel 1967 viene inaugurato il nuovo Hombu Dojo; in occasione dell’inaugurazione il fondatore tiene la sua ultima dimostrazione in pubblico. La città di Tokyo riconosce ufficialmente l’insegnamento dell’aikido. Il 26 aprile 1969 il fondatore muore, all’età di 86 anni. Gli viene conferita l’onorificenza postuma dello Zuihosho.
    Il figlio Kisshomaru Ueshiba diviene il secondo Doshu dell'Hombu Dojo Aikikai, all’età di 48 anni.
    Nel 1974 vengono gettate le basi per la I.A.F. (International Aikido Federation), di cui il Doshu Kisshomaru Ueshiba viene nominato presidente a vita e nel 1976 si tiene a Tokyo il primo congresso della I.A.F. con la partecipazione di oltre 400 delegati da 29 nazioni.
    Il 4 gennaio 1999 muore Kisshomaru Ueshiba, dopo 30 anni alla guida dell’Aikikai
    Il figlio Moriteru Ueshiba diviene il terzo Doshu dell'Hombu Dojo Aikikai, all’età di 48 anni, dopo 24 anni dalla sua prima apparizione in pubblico.

    Origini ed evoluzione dell'aikido in Europa


    Nel processo di diffusione dell'aikido in Europa possiamo riconoscere lo stesso fenomeno di osmosi verificatosi in altre parti del mondo fra i pionieri occidentali dell'aikido da un lato e gli istruttori giapponesi dall'altro: i primi, dopo aver appreso i fondamenti dell'Arte all'Hombu Dojo Aikikai in Giappone (taluni anche direttamente dal fondatore, Morihei Ueshiba), ritornano in patria propagandando con ardore il messaggio ricevuto ed i secondi, in risposta alle sollecitazioni ricevute dalla presenza dei pionieri occidentali, accettano di essere inviati dall'Aikikai Foundation in occidente (o ci arrivano di loro propria iniziativa) con la missione di sostenere l'opera di insegnamento profusa da questi primi pionieri occidentali dell'aikido.

    Origini ed evoluzione dell'aikido in Italia

    La storia delle origini e dell'evoluzione dell'aikido in Italia è innanzi tutto scandita dai periodi storici coincidenti con le fasi di nascita e di sviluppo della struttura organizzativa e didattica dell'aikido sul territorio italiano, che a loro volta corrispondono all'avvicendarsi in Italia degli istruttori giapponesi inviati dall'Hombu Dojo dell'Akikai del Giappone.
    La quasi totalità degli italiani che per primi hanno appreso l'arte dell'aikido, a parte pochissimi pionieri che si sono recati personalmente all'Hombu Dojo Aikikai del Giappone, hanno infatti avuto quale culla aikidoistica il grembo dell'Aikikai Foundation del Giappone e, quali nutrici, gli insegnanti giapponesi inviati appositamente in Italia dall'Ente aikidoistico giapponese.
    Si possono dunque individuare generazioni successive di aikidoisti, corrispondenti ad altrettanti momenti storici dello sviluppo e dell'evoluzione dell'aikido in Italia. Una prima generazione composta dai primi italiani allievi diretti dei maestri giapponesi, una seconda composta da aikidoisti più giovani, in parte ancora allievi diretti dei maestri giapponesi ma che si relazionano sempre di più in via principale con i propri istruttori italiani e sempre meno hanno un costante e stabile rapporto diretto con i maestri giapponesi che operano in Italia ed infine le successive generazioni di aikidoisti italiani che, ancora più giovani, hanno di fatto un rapporto diretto esclusivamente con il proprio insegnante italiano e non si relazionano più con alcun insegnante giapponese oppure solamente in modo saltuario ed occasionale.

    La finalità dell'aikido


    La finalità dell'aikido non è rivolta al combattimento né alla difesa personale, pur utilizzando per la sua pratica uno strumento tecnico che deriva dal Budo, l’arte militare dei samurai giapponesi; l’aikido mira infatti alla “corretta vittoria” (dal fondatore chiamata: 正勝 masakatsu) che consiste nella conquista della “padronanza di se stessi” (dal fondatore chiamata: 吾勝 agatsu, cioè la “vittoria su di se stessi”), resa possibile soltanto da una profonda conoscenza della propria natura interiore. Con questo, il fondatore dell’aikido voleva affermare che per cambiare il mondo occorre prima cambiare se stessi e ciò significa che se si vuole veramente acquisire quella capacità che il fondatore dell'aikido definiva 勝早日 katsuhayabi, cioè di padroneggiare l’attacco proveniente da un potenziale avversario esattamente nell'istante e nella circostanza della sua insorgenza (nel Buddhismo Zen si direbbe: qui e ora), occorre aver preventivamente acquisito la capacità di padroneggiare pienamente se stessi.
    L'aikido, pur discendendo quindi direttamente dal Budo giapponese e pur conservando e utilizzando nella sua pratica tutto il bagaglio tecnico di un'arte marziale, non è tuttavia finalizzato al combattimento e quindi a un risultato di tipo militare o di difesa personale, come potrebbe apparentemente sembrare osservando la sua pratica dall'esterno sul piano tecnico, ma è finalizzato al risultato della scoperta e dello studio delle leggi di natura che regolano le dinamiche e le relazioni che entrano in gioco nel rapporto fra gli individui nell'occasione dell'instaurarsi di un conflitto e/o un combattimento fra di loro; a tal fine, pur utilizzando il patrimonio tecnico appartenuto alle arti marziali giapponesi, in particolare al daitoryu-jujutsu, e pur simulando circostanze di conflitto e di combattimento, l’aikido non condivide la finalità dell’uccisione dell’avversario e neppure dell'offesa dell'avversario allo scopo di realizzare una difesa personale. L'aspetto dell'arte marziale e/o della difesa personale si riconducono all’aikido solamente in modo indiretto, quale elemento secondario della pratica, non quello principale.

    L'animo che non si confronta

    Anche se osservando dall'esterno il bagaglio tecnico dell'aikido, l'esecuzione delle sue applicazioni tecniche dimostrino possedere una possibilità reale di un efficace impiego nel combattimento reale, in questo modo di considerare la pratica dell'aikido si perde di vista l'aspetto sostanziale di esso, che consiste nel fatto che il combattimento quale arte marziale e/o la difesa personale non è assolutamente la finalità di questa disciplina e qualora tale aspetto diventi, per un malinteso intendimento di questa disciplina, l'unico o comunque il principale scopo della pratica, ciò sarebbe completamente fuorviante dalla finalità perseguita dal fondatore stesso dell'aikido, Morihei Ueshiba. Chi pratica l’aikido secondo il suo corretto intendimento e finalità, è invece colui che ha maturato in sé l'obiettivo primario della pratica di una “disciplina interiore” e trasferisce questa finalità anche nella propria normale vita quotidiana, nel proprio modo di essere e di porsi verso altri, che è quello di colui il cui animo non si confronta.
    Questo significa che, nell’avanzamento della pratica, l'aikidoka compie un percorso evolutivo nel quale il proprio spirito di competizione che inizialmente lo porta a lasciarsi spronare dal gusto e dal desiderio di confrontarsi con gli altri, man mano lascia il posto al gusto e al desiderio di confrontarsi con sé stesso, interiorizzando la propria pratica nell’impegno di superare sistematicamente i propri limiti a prescindere dagli altri: questo è il significato di possedere un “animo che non si confronta”, il quale si realizza quando lo spirito di competizione si è spostato dal confronto esteriore con gli altri al confronto interiore verso se stessi.

    L'aikido e la risoluzione dei conflitti


    Nell'aikido trova piena applicazione il tipico concetto orientale del principio di non resistenza nella sua più alta espressione, il quale esprime esattamente il concetto opposto del noto principio occidentale frangar, non flectar. È importante però evidenziare come il concetto di non resistenza non significhi restare imbelli nei confronti di un ipotetico avversario; significa invece che la scelta fondamentale e prioritaria fra tutte le opzioni possibili volte alla risoluzione di un conflitto, consiste innanzi tutto nella ricerca della massima conservazione della propria integrità fisica, la quale è possibile solamente quando ci si faccia scivolare di dosso il peso del conflitto senza subire le conseguenze che derivano dalla contrapposizione forza contro forza.
    Il tipico esempio orientale del ramo del salice che flettendosi sotto il peso della neve abbondante se la fa scivolare di dosso lasciando che cada a terra per effetto della stessa azione del suo peso e in questo modo si mantiene ben integro e vegeto, simboleggia giustamente il principio di non resistenza, al contrario del ramo della quercia che invece, non potendo sopportare lo stesso carico di neve e non volendosi piegare, si spezza e muore.
    Il principio di non resistenza, non rende dunque imbelli o non porta ad accettare supinamente gli eventi e il compimento dei fatti, bensì educa e favorisce lo svilupparsi della capacità di sottrarsi agli eventuali effetti negativi delle azioni altrui, lasciando che queste ultime si esauriscano naturalmente senza che, per questo, ne derivi un danno per l’aikidoka. Solo in questo modo si può giungere alla condizione di rendere vana la voglia e la volontà aggressiva di un eventuale avversario e rimuovere quindi all'origine il presupposto del suo attacco (condizione chiamata dal fondatore: shin bu); infatti quand’anche, rimanendo nella logica occidentale del frangar, non flectar, si riuscisse a sconfiggere l'avversario, poiché anche costui è in tale logica e avendo di conseguenza subìto sicuramente dei danni, avrà ancora di più la voglia e la volontà di rifarsi, alla prima occasione. In tal modo la difesa è solamente provvisoria e apparente e si rimane esposti facilmente all'evenienza di essere nuovamente attaccati dall'avversario, che quindi continuerà a costituire una continua e costante minaccia.
    Questo è l'ambizioso traguardo spirituale, morale e sociale dell'aikido, che chiede all'aikidoka di essere sempre prioritariamente disposto a rinunciare alla finalità di ricercare la sconfitta di colui che si è posto nel ruolo di avversario, al contrario delle usuali discipline di combattimento che invece accettano di lasciarsi coinvolgere nell’antagonismo ed in tale ruolo si prefiggono lo scopo prioritario della risoluzione del conflitto attraverso il combattimento, cercando a tutti i costi di infliggere dei danni all’avversario anche a costo di ricevere anch’essi danni notevoli, pur di essere riusciti a portare comunque i propri attacchi all'avversario.

    La difesa personale e l'arte marziale nell'aikido


    L'aikido non è una disciplina finalizzata al combattimento e fondata sulla ricerca dell'attacco risolutivo e del colpo offensivo definitivo, ma si fonda invece sulla ricerca del migliore comportamento difensivo atto ad evitare la contrapposizione e favorire il disimpegno dal combattimento, con la finalità di rimanere incolumi da danni ed offese: occorre quindi tener ben conto di questa sua peculiare caratteristica quando si voglia parlare dell'aikido nei termini di arte marziale e/o strumento di difesa personale. Quando le tecniche di aikido venissero usate per attaccare per primi portando un’offesa anziché usare queste tecniche per la difesa, esse verrebbero di fatto private del fulcro portante su cui si basa e si fonda la loro efficacia.
    La difesa perseguita nell'Aikido diventa perfetta quando realizza quel comportamento che ottiene la perfetta immunità dell’aikidoista da danni ed offese: pertanto questo obiettivo viene sicuramente raggiunto innanzi tutto quando l'aikidoista riesce a non farsi coinvolgere in un combattimento oppure, in subordine a ciò, quando riesce a vanificare l'attacco dell'avversario ed a farlo desistere dai suoi propositi aggressivi ed offensivi.

    L'efficacia delle tecniche di aikido


    Nell’aikido si opera una distinzione preliminare per definire cosa s'intenda specificamente per “efficacia”. Se si intende l'efficacia sotto il profilo prioritario ed esclusivo della difesa in quanto tale, allora l'Aikidō può considerarsi idoneo ed efficace nel raggiungere lo scopo della difesa personale, mentre se si intende invece l'efficacia seguendo il principio assai diffuso secondo cui il concetto di difesa è visto sotto il profilo prioritario di riuscire ad arrecare all'avversario un’offesa risolutiva del conflitto prima che l'avversario sia riuscito a portare il proprio attacco risolutivo, allora la risposta non è più certa, poiché non è questa la finalità dell'aikido dichiarata dal suo fondatore, Morihei Ueshiba.
    Infatti secondo i principi dell'aikido la difesa che consente la risoluzione del conflitto non si ottiene nel momento in cui si è causato all'avversario un'offesa od un danno risolutivo, poiché in questo caso si devono porre in essere strategie e tattiche volte all'offesa e non alla difesa e non si deve più quindi parlare di tecniche di difesa personale ma di offesa personale, raggiunta attaccando possibilmente l'avversario prima che sia lui ad attaccare.
    In quest’ultimo caso, poiché le tecniche di difesa personale impiegate nell'aikido sono invece, secondo i principi di questa disciplina, estremamente specifiche nel prevedere il compito della difesa al punto che nella pratica dello studio dell'aikido sono prefissati i ruoli di attacco e di difesa, difficilmente esse manterrebbero la loro piena efficacia nel momento in cui fossero stravolte nella loro naturale e nativa impostazione, cioè nel fine e nello scopo specifico per cui esse sono concepite, il quale non è quello di arrecare un’offesa attaccando per primi, ma quello della realizzazione di un'efficace risposta di difesa basata sul contrattacco. Perciò quando si affronta la questione dell'efficacia delle tecniche di aikido è bene tener sempre presente che l'arte strategica e la specialità tecnica distintiva di questa disciplina è quella di perseguire un'azione tattica mirata ad evitare la contrapposizione fin dal suo possibile insorgere, attraverso uno specifico comportamento di disimpegno difensivo, non finalizzato all'attacco né tanto meno all'offesa.
    La priorità strategica dell'aikidoka nella scelta della sua azione tattica difensiva è quindi quella di arrivare alla risoluzione del conflitto senza subire offesa, impiegando le tecniche dell'aikido non nella ricerca di riuscire ad infliggere dei danni risolutivi all'avversario, ma essenzialmente al fine di disimpegnarsi da lui e dal combattimento stesso.
    Nel contesto aikidoistico non si prende ovviamente in considerazione l'uso a distanza delle armi da fuoco, ma esclusivamente le possibilità di offesa e di difesa offerte dal corpo umano a mani nude e consentite dal corpo a corpo, anche eventualmente con l'impiego delle tradizionali armi bianche; i criteri di difesa su cui si fonda l'Aikido mantengono però tutta la loro valenza strategica, etica e morale, anche nel caso di conflitti che vedano la contrapposizione di armi differenti, cambiando naturalmente la parte tattica in modo opportuno ed adeguato secondo l’esigenza d’uso e di impiego richiesto dai sistemi d’arma utilizzati.

    La corretta vittoria (正勝 吾勝 勝早日 masakatsu agatsu katsuhayabi)


    Nell'aikido il successo nell'azione di disimpegno dal combattimento è indicato come il traguardo della corretta vittoria (dal fondatore chiamata 正勝 masakatsu), per raggiungere la quale occorre allenare non solo il corpo ma soprattutto lo spirito per conquistare la padronanza di sé stessi (dal fondatore chiamata 吾勝 agatsu, cioè vittoria su di sé stessi) al fine di conseguire la capacità interiore della rinuncia al confronto, privilegiando sempre ed in ogni caso la strada del superamento del conflitto attraverso il disimpegno dall'antagonismo e dal combattimento. In questo modo l’aikido persegue un tipo di difesa che vanifichi l’attacco dell’avversario controllando perfettamente la sua azione fin dal suo insorgere (condizione che il fondatore definiva 勝早日 katsuhayabi), senza giungere a produrgli dei danni e delle offese: l’aikidoka si pone cioè nella condizione di salvaguardare la propria incolumità concedendo nel contempo all’avversario l’opportunità di convincersi a desistere dai suoi propositi offensivi, prima che l'aikidoka debba ricorrere, per legittima difesa, ad azioni coercitive nei confronti dell’avversario nel caso questi perseverasse nei suoi propositi offensivi reiterando il suo attacco.
    La corretta vittoria indicata dal fondatore e perseguita dall’aikido (正勝 吾勝 masakatsu agatsu) si consegue dunque quando si è riusciti innanzi tutto ad evitare di ricevere un danno a seguito di un attacco offensivo, ma questo risultato da solo non è sufficiente se contemporaneamente non si riesce a rimuovere all'origine ed esattamente nell'istante e nella circostanza della sua insorgenza (勝早日 katsuhayabi) anche la minaccia da cui il danno potenziale poteva giungere. Per ottenere ciò all'aikidoka non è sufficiente evitare le possibili conseguenze negative che possono derivargli dagli attacchi di potenziali avversari; è anche indispensabile che ai potenziali avversari si renda possibile la convivenza civile e la conciliazione con l'aikidoka stesso, utilizzando quindi un’azione difensiva nei confronti dell'avversario che non gli infligga già fin dall'inizio dei danni irreparabili, poiché questi giungerebbero a bloccare un possibile eventuale positivo mutamento delle relazioni dell'avversario nei confronti dell'aikidoka, in direzione meno conflittuale. L'aikido, offre infatti la possibilità di scegliere un’azione di difesa estremamente efficace ma non offensiva e qualora questa scelta sia sufficiente a consentire di ottenere il perfetto controllo dell’avversario (勝早日 katsuhayabi) e quindi la positiva risoluzione del conflitto, ciò avviene senza obbligare l'aikidoka a ricorrere all'offesa per realizzare la propria difesa.
    Il bagaglio tecnico dell’aikido, estremamente ampio e flessibile, consente di scegliere una condotta d’intervento sull'azione avversaria anche solamente per stornarne gli effetti potenzialmente dannosi; in secondo luogo consente l'eventuale recupero dell’avversario nei confronti delle sue relazioni con l’aikidoka in quanto l’avversario, non essendo riuscito nel suo iniziale intento offensivo e non avendo ancora subìto nel contempo dei danni dall’azione difensiva dell’aikidoka, è ancora in tempo a scegliere non solo di desistere dal suo manifestato atteggiamento offensivo nel timore di dover soccombere qualora insistesse nel suo proposito, ma può ancora anche scegliere di lasciarsi di buon grado condurre dall'aikidoka verso il concepimento di un bene comune superiore a quello del conflitto da lui originato ed eventualmente, memore del rispetto ricevuto, lasciarsi condurre verso la realizzazione di una socializzazione ed una pacificazione che lui prima non concepiva.
    È questo il modo in cui, entro certi limiti, l'aikido può consentire di rispettare l’integrità dell’avversario offrendo nel contempo all’aikidoka la possibilità di sottrarsi agli effetti dannosi dell'attacco di cui è fatto oggetto: il bagaglio tecnico dell'aikido è talmente ampio e diversificato da consentire all'occorrenza di portare anche efficaci azioni coercitive sull'avversario e la sua integrità, in questo caso, potrà essere condizionata dalla possibilità da parte dell’aikidoka di mantenere comunque prioritariamente la propria incolumità, in accordanza con il principio fondamentale della salvaguardia del diritto alla legittima difesa in funzione dell’imperativo naturale dettato dalla legge dell’istinto di sopravvivenza.
    L’aspirazione a realizzare queste condizioni rendendo possibile porre in atto la propria difesa senza dover obbligatoriamente ricorrere all'offesa, è il traguardo spirituale ed il valore etico e morale che l'aikido propone alla società civile.

    La pratica dell'aikido

    Nella tradizione giapponese della trasmissione della conoscenza dell’Aikidō, il Maestro spiega l’Aikidō attraverso le parole, fornendo la visualizzazione razionale della tecnica rivolgendosi alla mente ed alla comprensione intellettuale dell’allievo che quindi apprende la spiegazione della tecnica con la mente ed il Maestro insegna invece l’Aikidō attraverso il corpo con l’esempio della propria pratica sul tatami, fornendo la visualizzazione dell’esecuzione concreta e fisica della tecnica, trasferendo 以心伝心 “I shin den shin” all’allievo la corretta dinamica fisica della tecnica attraverso la comunicazione del corretto impulso interiore e della corretta postura della mente e dell’animo, che costituiscono il presupposto ed il fondamento dell’efficacia dei movimenti.

    Il corpo è lo strumento cognitivo e di apprendimento dell’aikido


    Solamente il trasferimento diretto della capacità fisica e concreta di esecuzione della tecnica al di là della sua razionalizzazione e comprensione intellettuale, ha la capacità di generare nell’allievo il corretto apprendimento della tecnica attraverso la ricerca dell’imitazione del Maestro, sia nel movimento del corpo sia nell’azione del kokyū impresso dal Maestro allo svolgimento dell’azione dinamica della propria tecnica.

    L’ideogramma 心 shin significa cuore, mente, spirito.

    以心 I shin significa di cuore o dal cuore, dalla mente, dallo spirito.

    伝心 den shin significa dire al cuore, dire alla mente, dire allo spirito.


    L'espressione 以心伝心 I shin den shin significa dunque trasmissione per partecipazione diretta del proprio animo, per coinvolgimento diretto nel medesimo sentire, al di là delle parole, fra Maestro ed allievo.
    Ciò significa che non si può trasmettere la conoscenza dell’Aikidō solamente con le parole ed i concetti, cioè con delle spiegazioni razionali di tipo cattedratico così come l’insegnamento è normalmente inteso da noi in occidente. Nella tradizione delle discipline orientali e del’Aikidō in particolare, la trasmissione della conoscenza appartiene invece alla sfera più sottile e più profonda del sentire, cioè del proprio intimo modo di essere non solo sul tatami ma nella stessa vita quotidiana e del modo di porsi in relazione alla pratica.
    Il Maestro deve dunque avere la capacità non solo di spiegare razionalmente ai suoi allievi le tecniche di Aikidō, ma deve soprattutto essere in grado di insegnarle attraverso la dimostrazione della dinamica del proprio corpo, nell’azione fisica e concreta di fornire l’esempio di come la tecnica deve essere eseguita.
    Per questo motivo tradizionalmente la lezione di aikido inizia con esercizi di respirazione e concentrazione con cui il Maestro genera attorno a sé quella particolare atmosfera di empatia fra gli allievi e la sua persona che funge da stimolo all’emulazione e che induce l’allievo ad apprendere a sua volta il movimento con il proprio corpo per emulazione del Maestro, memorizzandola non con la mente e la memoria del pensiero ma nel corpo stesso, sedimentandola nella propria sfera istintuale attraverso l’azione eseguita dal proprio corpo nella ripetizione sistematica degli stessi movimenti, finché questi non diventino un’azione del tutto spontanea alla cui esecuzione non necessiti più il supporto del ricordo mentale e del pensiero.
    La didattica dell’Aikidō è dunque un'attività assai delicata, che necessita di essere adeguatamente sostenuta in entrambe le sue due componenti essenziali: la spiegazione verbale, razionale e concettuale delle tecniche, consistente nella comunicazione della parte esprimibile dell’Aikidō e l’insegnamento della parte inesprimibile, consistente nella comunicazione dell’apprendimento di una realtà che può avvenire esclusivamente attraverso la trasmissione 以心伝心 I shin den shin.
    L'Aikidō s’insegna quindi con l'esempio, s’impara per imitazione ed emulazione del Maestro, si memorizza fisicamente nel corpo e nella sfera istintuale.
    Insegnamento significa trasmissione 以心伝心 I Shin den Shin, cioè trasmissione senza le parole ed al di là delle parole.
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    Il karate si compone di diversi stili, tutti in ogni caso con una radice comune.

    Le origini


    Molti generi di karate hanno avuto origine dal te o tode di Okinawa, alcuni sono scomparsi mentre altri si sono sviluppati sino ai giorni nostri, divenendo stili. Nel XIX secolo le arti marziali di Okinawa si separarono in due principali correnti: Shuri-te, Naha-te e in una terza prossima allo Shuri-te, il Tomari-te. Questi sistemi di lotta differiscono nella tecnica e nelle origini geografiche, anche se le loro differenze non sono radicali perché radice comune a tutte resta l'arte marziale cinese.
    Lo Shuri-te prese il nome dalla capitale di Okinawa, Shuri, veniva praticato dalla classe nobile ed era caratterizzato da movimenti rapidi ed offensivi.
    Il Naha-te, praticato attorno alla grande città commerciale di Naha, presentava movimenti poderosi, finalizzati alla difesa.
    Il Tomari-te, dal nome della regione di Tomari (porto di Okinawa), era praticato da contadini e pescatori.
    Queste differenze spontanee rappresentarono l'unica evoluzione dell'arte marziale sino all'avvento di carismatici maestri che seppero modernizzare il karate tra cui Sokon Matsumura, allievo di Sakugawa.

    È negli anni venti che gli stili, ormai ben differenziati, cominciano a diffondersi presentati in Giappone al pubblico durante i festival di arti marziali o di educazione fisica e vennero codificati con nomi differenti dai differenti maestri.

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    Goju Ryu

    Il Goju Ryu, unico stile mantenuto tale dalle origini ed unico stile di karate ad essere inserito tra le "arti marziali antiche" del Giappone; attualmente praticato ad Okinawa (Shotokan, Wado-ryu e Shito-ryu non sono presenti), in Giappone e nel resto del mondo. Fu fondato dal M° Kanryo Higahonna con il nome di "Naha-te" (il termine Go-ju fu tratto dal M°Chojun Miyagi da un passaggio del Kempo Hakku, in un capitolo del Bubishi, che recita: 'Ho goju don to', ovvero 'la legge dell'Universo respira dura e morbida') ed è uno stile strettamente legato allo Shorei Ryu. In Giappone si diffuse nella regione di Kyōto, grazie all'opera del maestro Gogen Yamaguchi che seguiva il Sensei Chojun Miyagi. Le contrazioni muscolari, i movimenti lenti e potenti caratteristici di questo stile richiedono grande vigore fisico; il Goju Ryu conserva molte delle peculiarità di un tempo: tra i vari stili è quello che meno si è modernizzato in quanto la sfera del karate-do è rappresentata dall'aspetto di una mano e le competizioni sportive sono viste come il mignolo di essa. Tale stile ha infatti rifiutato lo sviluppo dal punto di vista sportivo, proseguendo su un'impostazione puramente tradizionale e da autodifesa, conservando così le tecniche letali del karate. Il Goju Ryu ha varie scuole o associazioni, come il Meibukan, dello Shoreikan, dello Shodokan, dello Shobukan, del Jundokan, del Seibukai, del Jinbukan, del Goju-kai, della I.K.O., o del Seigokan.
    Altra ramificazione dello Shorei è lo Uechi Ryu o Pangai Noon, poco diffuso e poco conosciuto in Italia; il suo fondatore, Kanbun Uechi, trascorse quindici anni in Cina, nella stessa zona in cui si era formato Kanryo Higaonna. Discendente dello Uechi Ryu è lo stile Shohei-ryu.

    Nanbudo

    Nel 1974, all'età di 31 anni, il M° Nanbu decise di abbandonare temporaneamente il mondo del karate per ritirarsi nella località di Cap d'Ail. Fu proprio in questo luogo, in quattro anni di riflessione, in cui si rese conto che il Karate Sankukai era solo una tappa del suo viaggio e che era necessaria un'evoluzione nel suo stile. Decise quindi di abbandonare quest'ultimo e di far nascere, nel 1978, il Nanbudo, l'arte marziale (non più definibile, dallo stesso M° Nanbu "karate") che tutt'oggi il maestro segue e continua a migliorare tramite seminari in tutto il mondo.

    Shotokai

    Shotokai, Associazione di Shoto, creata dal gruppo di allievi che recuperarono i fondi per la costruzione del dojo Shotokan. Shotokai e Shotokan erano, in origine sinonimi utilizzati dai due gruppi che si allenavano sotto la direzione di Gichin Funakoshi; alla morte di questi il maestro Shigeru Egami continuò il proprio cammino nello studio del karate mantenendo per il suo stile l'appellativo Shotokai: le due scuole di comune origine andarono così differenziandosi. Egami modificò il karate appreso da Funakoshi sotto il profilo tecnico, ma continuò a rispettarne le idee basilari privilegiando lo studio del kumite fondamentale a quello libero. Il pensiero del maestro Funakoshi era simile: per lui il vero unico combattimento di karate è per la vita o per la morte, ed è perciò impossibile da praticare in un dojo. Nello Shotokai i colpi vengono portati tutti oltre all'avversario, vicino o lontano che sia. Durante l'allenamento i colpi sono portati alla maggior distanza possibile mantenendo equilibrio e postura corretti. Le anche sono come in altri metodi il punto di forza. Sempre e solo nell'allenamento si può solo avanzare e mai indietreggiare (anche quando ci si difende).
    Nello stile Shotokai il combattimento deve portare alla vittoria con un unico colpo, l'ippon, senza finte o senza attacchi accennati. A differenza dello Shotokan e di altri stili, oltre al kihon (studio delle tecniche), al kumite di studio e ai kata, si studia anche il midare, un esercizio nel quale si studia l'irimi, il corretto anticipo, il ritmo corretto. Nell'Irimi una persona si difende da un'altra persona avanzando verso questa. Schiva il colpo in maniera molto tecnica e si porta dietro la schiena dell'attaccante pronto a schivare il successivo attacco. Chi attacca deve sempre portare attacchi "sinceri". Nell'irimi gli attaccanti possono anche essere più di uno a seconda della bravura di chi si difende. La forza muscolare non va praticamente mai usata, si sfruttano le anche, il proprio peso ed il corretto anticipo sull'avversario. Se si dovesse cercare uno stile cinese che richiama la maniera di muoversi attaccare e parare avanzando sempre, si potrebbe trovare nello stile morbido Hsing I.

    Seido Juku

    Tadashi Nakamura è il fondatore e presidente della World Seido Karate Organization. Karateka di fama mondiale, Nakamura è cintura nera nono Dan con cinquant'anni di esperienza nella pratica e nell'insegnamento delle arti marziali. Esperto nell'uso delle armi orientali, Nakamura ha dato numerose lezioni, e dimostrazioni in molti paesi in giro per il mondo. Il Gran Maestro Nakamura iniziò i suoi studi di karate nel 1953 all'età di undici anni. Le sue prime esperienze furono nello stile Goju, con gli insegnamenti del Maestro Kei Miyagi, figlio del fondatore di questo stile. Nel 1956, Nakamura iniziò a studiare con Masutatsu Oyama, fondatore del KyokushinKarate, nel 1959 conseguì il grado di Shodan, in quel tempo fu il più giovane studente di Kyokushin del Giappone a prendere la cintura nera. Nel 1961, all'età di diciannove anni, Nakamura debuttò nel panorama dei tornei, con un primo posto al campionato nazionale studentesco di karate. L'anno seguente, Nakamura divenne eroe nazionale per aver battuto con un K.O. un campione tailandese di kickboxing in un incontro che avrebbe dovuto determinare, quale nazione detenesse l'arte marziale più forte. Durante la sua carriera sportiva, Nakamura vinse molti altri tornei. In questo periodo, Nakamura iniziòad insegnare il karate anche agli altri. Servì come capo istruttore a Camp-Zama, una base americana vicino a Tokio, dal 1961 al 1965 e allenò la squadra di karate del Toho Medical University per tre anni. Mentre conseguiva il suo settimo dan di Kyokushin Karate, Nakamura serviva anche come capo istruttore nella sede centrale di Tokio del Kyokushin Karate. Nel 1966, Nakamura fu scelto direttamente da Masutatsu Oyama per portare il vero spirito del Kaicho Karate in America. Quell'anno Nakamura partì per New York dove Iniziò ad insegnare Kyokushin Karate, in un piccolo Dojo di Brooklyn. Nel 1971, Nakamura fondò il quartier generale del Kyokushin Karate, nel Nord America. Servì come capo del Kyokushin Karate, per l'America, per un decennio, allenando e formando molti abili studenti in quel periodo. Nel 1976, Nakamura rispettosamente si scisse dal Kyokushin Karate. Quello stesso anno, fondò la World Seido Karate Organization, che rifletteva le sue convinzione sul vero significato del karate. Nakamura creò il Seido che in giapponese significa “via sincera”, per creare individui completi, atti a migliorare se stessi e la società che gli circonda, con i principi di amore, rispetto e ubbidienza.

    Kyokushinkai

    Fondato dal maestro Mas Oyama che, dopo aver praticato lo stile Shotokan sotto la guida di Gichin Funakoshi e lo stile Goju-ryu, ha creato questo stile basato sul kumite full contact. Incorpora alcuni kata dello Shotokan e altri tradizionali. Lo stile necessita di una notevole preparazione fisica per poter essere praticato a causa anche dei combattimenti a contatto pieno. Le competizioni si svolgono senza protezioni. Dal Kyokushinkai, nel corso degli anni, sono nati tutti gli altri stili di Full Contact Karate.

    Ashihara

    Fondato da Hideyuki Ashihara nel 1980, ex praticante ed istruttore di Kyokushinkai. Si basa sul concetto di Sabaki. Prevede combattimenti a contatto pieno e dei kata alquanto diversi da quelli del Kyokushinkai. È presente in molti paesi del mondo.

    Enshin

    Fondato nel 1988 da Joko Ninomiya, allievo di Ashihara. Dopo aver insegnato Kyokushinkai per qualche anno, e aver seguito il maestro Ashihara, aiutandolo nella divulgazione dell'Ashihara Karate, nel 1988 decide di portare avanti il suo stile: l'Enshin. Il karate Enshin, basato sempre sul concetto di Sabaki, è caratterizzato da combattimenti a contatto pieno. I kata, come nell'Ashihara, si discostano molto da quelli del Kyokusinkai. Ogni anno si disputa il Sabaki Challenge, torneo al quale prendono parte combattenti di ogni stile e federazione.

    Shidokan

    Fondato da Yoshiji Soeno, il karate Shidokan, come avviene per quasi tutti gli altri stili a contatto pieno, deriva dal Kyokushinkai e prevede lo studio dei kata. È un metodo di combattimento che utilizza, fra le altre cose, le tecniche di pugilato, le ginocchiate e le gomitate tipiche della Muay Thai, il grapplin e la lotta a terra.

    Seidokaikan

    Fondato da Kazuyoshi Ishii nel 1980, è uno stile a contatto pieno che deriva dal Kyokushinkai.

    Ten Ryu Kai

    È uno stile di karate a contatto che deriva dallo Shidokan.

    Shinseikai


    Fondato da Minoru Tanaka, deriva dal Seidokaikan. Tra le altre cose prevede anche allenamenti di Karate Gloves (Karate con i guantoni), per offrire ai praticanti la possibilità di cimentarsi in combattimenti interstile. Lo Shinseikai (Shin = verita’ , Sei = giusto, Kai = associazione, quindi Associazione della giusta verità) ha come particolarità, diversamente dalle altre organizzazioni, un sistema molto aperto dove la gerarchia dei capo scuola internazionali e’ messa sullo stesso piano, non ci sono privilegiati ne pedine, siamo tutti sullo stesso livello.

    Koryu Uchinadi

    Il Koryu Uchinadi Kenpo-jutsu (古流沖縄手拳法術) è la sistematizzazione didattica moderna delle discipline di combattimento storiche di Okinawa operata da Patrick McCarthy, Hanshi 8° dan. Si tratta di un'arte non agonistica interamente finalizzata all'autodifesa reale contro atti abituali di violenza fisica attraverso un metodo di apprendimento/insegnamento coesivo e coerente.

    Washin-Ryu

    Washin-Ryu (和真流), significa "Armonia con verità", ed è uno stile di karate portato negli Stati Uniti da Hidy Ochiai. La sua sede centrale si trova a Vestal, appena fuori di Binghamton. Ci sono comunque molte diramazioni negli Stati Uniti nordorientali. Con 13 ramificazioni a New York, 2 delle quali in Connecticut e in Pennsilvania e una nell'Ohio e in Massachusetts, il Washin-Ryu ha molto seguito. Nonostante si dica che alcune arti marziali si concentrino sui calci ed i pugni, Hidy Ochiai è famoso per sostenere che il Washin-Ryu è "al 100% mente, corpo, e spirito". Le lezioni di Washin-Ryu includono la pratica dei kata, l'autodifesa, il combattimento e la pratica con l'uso delle armi. La sequenza delle cinture è: Bianca, Gialla, Arancione, Verde, Blu, Viola, Marrone (3° a 1°), Nera (1° a 10°).

    Il karate sportivo e il karate marziale


    Dopo l'inserimento della competizione sportiva, avvenuto nel dopoguerra, si sono sviluppate su scala mondiale due correnti di pensiero antagoniste: una puramente sportiva, l'altra legata alla via delle arti marziali (budo). La differenza tra questi due concetti di karate risiede nel fatto che il karate sportivo (Sporting Karate) è diretto principalmente alla ricerca del risultato nella competizione: il raggiungimento della medaglia ne rappresenta il traguardo principale; nel karate-do (Karate tradizionale), invece, la competizione sportiva è concepita come un momento di crescita e verifica personale, importante ma non fondamentale: chi non trova soddisfazione nelle gare, ha la possibilità di continuare la pratica del karate-do facendo della ricerca e del miglioramento uno stile di vita. Il karate-do, legato al budo, è infatti espresso dal pensiero: la forza di una persona è proporzionale alla lunghezza del cammino percorso nella Via: più lungo è il cammino percorso, maggiori sono le sue qualità.
    Non avrebbe senso chiedersi quale tra le due diverse forme di karate, sia quella più vera: ambedue esistono e devono coesistere senza predominio dell'una sull'altra, solo la consapevolezza della distinzione però può aiutare il praticante a trovare ciò che egli ricerca nel karate.
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    Karate Sankukai (三空会 – Giapponese) è uno stile di karate codificato da Yoshinao Nanbu nel 1971. Esso è basato su tecniche estrapolate dall'Aikido, dal Judo, dal karate Shitō-ryū e dal karate Shūkōkai. Il suo simbolo è costituito da tre cerchi (due rossi ed uno bianco), che rappresentano: la Terra, la Luna ed il Sole.

    Le origini


    lo Stile sankukai pur essendo il karate più moderno (è stato codificato nel 1971) ha origini antiche che risalgono al '800, dal mestro Mabuni.
    Kenwa Mabuni nacque nel 1889 ad Okinawa. Iniziò ad allenarsi nel karate quando era ancora tredicenne sotto la guida di due maestri, i quali gli insegnrarono due differenti stili: il Naha-te (Higaonna Kanryō) ed il Shuri-te (Ankō Itosu). Imparare due stili diversi gli diede la possibilità di riconoscere tutti i vantaggi e gli svantaggi delle due discipline. Quando i suoi insegnanti morirono, lui continuò ad allenarsi su entrambi gli stili. Iniziò anche ad addestrarsi nel kobudō ("antica arte marziale tradizionale") e unendo tutto il suo sapere formò il proprio stile di karate. In onore dei suoi maestri lo chiamò: Shitō-ryū.
    Kenwa Mabuni morì nel 1952, lasciando dietro di se molti maestri come Chōjirō Tani o come il suo stesso figlio Kenei Mabuni.
    Chōjirō Tani formò il proprio stile di karate noto come Tani-ha Shitō-ryū, che successivamente rinominò come Shūkōkai. Diversamente dallo Shitō-ryū, il Shūkōkai pone maggiore enfasi sull'attacco che sulla difesa.
    Un allievo di Chōjirō Tani fu Yoshinao Nanbu.

    Storia

    Yoshinao Nanbu nasce a Kobe in Giappone nel febbraio 1943. Gli appartenenti alla famiglia erano affermati praticanti di arti marziali : il nonno era un lottatore di Sumo molto famoso; suo padre teneva corsi di judo al Dojo della polizia della città. Sotto l'insegnamento paterno Yoshinao cominciò a praticare il judo a soli cinque anni. Quando entrò nella scuola comunale, imparò il kendo sotto la guida dello zio. Negli anni cinquanta, sia il karate che l'Aikido erano vietati (infatti il generale Mac Artur, comandante delle forze di occupazione degli Stati Uniti in Giappone, aveva proibito la pratica di queste due discipline), così Nanbu dovette cominciare a praticare queste arti sotto la direzione del maestro Someka, che era direttore di un club amichevole. Il giovane Nanbu si dedicò anche alla parte teorica dello studio delle arti marziali e cominciò a leggere con avidità i libri del padre sui Tonfa, Nuntchaku, Tambo, Sai per poi passare allo studio pratico delle armi nei dojo del vicinato.
    A diciotto anni il maestro Nanbu entrò nella facoltà di Scienze Economiche di Osaka, dove ebbe come maestro Chōjirō Tani, 8° dan, che praticava lo Shito-Ryu. Fu ben presto promosso capitano della squadra di Karate della sua università, titolo questo che ha molto valore data l'importanza che le arti marziali avevano a quel tempo nelle università giapponesi. Nel 1963 divenne campione universitario del Giappone vincento un torneo con 1250 concorrenti. Per questa vittoria Yoshinao Nanbu ricevette ufficialmente la medaglia al valore dalle mani del direttore dell'università di Waseda, Ohama, promotore dell'organizzazione dell'Associazione degli studenti università. Nel 1964 ricevette l'invito da PLEE, allora promotore del Karate in Francia, a partecipare come invitato alla coppa di Francia; la vinse combattendo individualmente. Partecipò anche alla coppa internazionale di Cannes a cui erano invitati sette Paesi, Gran Bretagna, Germania, Italia, Norvegia, Stati Uniti, Svizzera e la stessa Francia, e vinse anche qui in combattimento individuale. Da questo momento il maestro Nanbu comincio a considerare la sua arte come una professione, e così di conseguenza modifico i suoi programmi. Nel 1968 andò a trovare tutti i maestri giapponesi, invitandoli l'uno dopo l'altro, per imparare tutti i tipi di tecniche; ufficialmente però si trovava ancora sotto le direttive del maestro Tani e cioè del shukokai-shito-ryu. Lo stesso anno, proprio su richiesta del maestro Tani (che diceva di lui che avesse il genio del Karate), Nanbu si diede da fare per mettere in piedi l'organizzazione mondiale di Shukokai. La sua riunione ebbe successo grazie alle numerose dimostrazioni da lui date in parecchi paesi come Scozia, Gran Bretagna, Francia, Norvegia, Germania, Italia, Belgio e Jugoslavia. Aprì in seguito dei club Nanbu a Parigi e in provincia, e divenne allenatore della squadra francese. Da quel momento gli atleti francesi cominciarono a vincere i campionati di tutta Europa. In seguito ai suoi duri sforzi per promuovere lo Shukokai, il maestro Nanbu venne nominato presidente della federazione scozzese di karate, consigliere e direttore tecnico della federazione belga di karate, presidente della federazione norvegese di karate, consigliere e direttore tecnico della squadra di Karate Jugoslava. Nel 1969 il maestro Nanbu giunse per la prima volta in Canada, per salutare dei suoi discepoli; e lo stesso anno il maestro Tani gli propose di occuparsi dell'organizzazione del terzo campionato del mondo di Karate che avrebbe avuto luogo a Parigi nel mese di ottobre.
    Il giorno dopo il campionato, il maestro Nanbu ruppe definitivamente con lo stile Shukokai, poiché si era accorto che, essendo uno stile essenzialmente competitivo, i suoi seguaci finivano per praticare solamente le tecniche più redditizie per la competizione, e, cioè lo Tsuki (colpo di pugno diretto) e il Mae-Geri (calcio frontale), lasciando da parte le altre tecniche come lo Yoko-Geri (calcio laterale) e il Mawashi-Geri (calcio con traiettoria circolare) più difficili da applicare durante la gara. Questo modo di combattere era divenuto cosi rigido e schematico che un esperto di Shukokai un giorno disse: "Questo metodo, in se' eccellente purtroppo non ha saputo fare altro che fabbricare handicappati". Cosciente dei limiti del Shukokai, il maestro Nanbu riparti per il Giappone, e dopo lunghi mesi di riflessione e di meditazione trovò la soluzione dei suoi problemi, fondando la sua tecnica personale, che chiamò SanKuKai. Quando il Sankukai prese la sua fisionomia definitiva, il maestro Nanbu sottopose il suo stile alla critica di un istituto riconosciuto ufficialmente, che ne studio i rapporti di forza e la dinamica dell'energia. La conclusioni che gli esperti trassero furono ottime; infatti essi approvarono la nuova tecnica poiché questa mostrava chiaramente che si potevano migliorare in maniera considerevole:

    1 - la parata del colpo avversario 2 - la velocità di esecuzione 3 - la forza con la quale si porta risposta 4 - la ricchezza di spostamenti e schivate al posto dei bloccaggi classici 5 - il modo (molto diverso) di portare gli ATEMI.


    Grazie all'inesauribile energia e alla serenità del maestro Nanbu, il Sankukai mise radici in Giappone, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Germania, Norvegia, Marocco, Svizzera, Belgio, Messico, Guatemala e in Canada.

    Gradi

    Sankūkai karate adotta un sistema di classificazione simile agli altri stili di karate. I principianti hanno una cintura bianca e quando loro raggiungono un certo livello di preparazione possono fare domande per essere esaminati per una cintura di grado più elevato. Le cinture degli allievi corrispondono ai kyū, mentre le cinture dei maestri sono denominati dan.

    Kyū o dan/cintura /cintura

    8.kyū Cintura bianca Cintura bianca
    7.kyū Cintura bianca Cintura gialla
    6.kyū Cintura bianca Light green belt
    5.kyū Cintura gialla Dark green belt
    4.kyū Cintura rossa o arancione Cintura viola
    3.kyū Cintura verde Cintura marrone
    2.kyū Cintura azzurra Cintura marrone
    1.kyū Cintura marrone Cintura marrone
    1.dan cintura nera 1°dan cintura nera 1°dan
    2.dan cintura nera 2°dan cintura nera 2°dan
    3.dan cinturra nera 3°dan cintura nera 3°dan
    4.dan cintura nera 4°dan cintura nera 4°dan
    5.dan cintura nera 5°dan cintura nera 5°dan
    6.dan cintura nera 6°dan cintura nera 6°dan
    7.dan cintura nera 7°dan cintura nera 7°dan
    8.dan cintura nera 8°dan cintura nera 8°dan
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    Il Wadō-ryū (和道流) è uno stile giapponese di karate fondato nel 1934 dal Gran Maestro Hironori Otsuka. Il suo nome significa "Scuola della Via della Pace" o "Scuola della Via dell'Armonia". Al contrario della maggior parte degli stili di karate, che sono stati sviluppati ad Okinawa, il Wado Ryu è il primo stile di karate ad essere originario del Giappone.

    Lo stile Wado Ryu


    Pur trovando le sue origini nel Te di Okinawa, il Wado Ryu è uno stile in qualche modo a sé stante. La sua caratteristica principale è la fusione operata dal M. Otsuka tra lo Shindo Yoshin Ryu Jujitsu e il Rykyu Kenpo To-Te-Jitsu. Le posizioni sono molto alte, naturali, morbide e la distanza di combattimento è medio-corta. Lo stile pone particolare attenzione alla mobilità, alla velocità e soprattutto alla fluidità delle tecniche con un uso sapiente del Taisabaki. Otsuka stesso insegnò che il proprio movimento è la manifestazione del proprio spirito. Caratteristica portante è inoltre l'ampio bagaglio di Jujitsu con lo studio approfondito di proiezioni (nage-waza), leve articolari (kansetsu waza), immobilizzazioni e strangolamenti (shime waza) che si accompagnano all'uso degli atemi waza (tecniche di percussione) derivati dal karate il cui scopo è quello di causare un trauma anatomico in zone sensibili del corpo umano per neutralizzare l'avversario nel modo più rapido possibile (con colpi alle articolazioni, al femore, all'inguine, alle ginocchia, alle fluttuanti, al fegato, alla gola, alle orecchie ecc.)
    Al classico schema "attacco-parata-contrattacco" il maestro sostituì quello più efficace di "attacco-contrattacco" rifiutando dunque un contrasto cruento ma prediligendo, al contrario, l'evasione (Nagashi) e la schivata. Nei Kihon Kumite, infatti, che si possono definire la "summa" degli insegnamenti del maestro Otsuka, ritroviamo un concetto dinamico particolarissimo caratterizzato da: "schivata-contrattacco-proiezione(o sbilanciamento)" in un unico gesto tecnico. Osserviamo in ciò il principio di flessibilità (Ju) tipico del Jujitsu con l'adozione del principio di circolarità dell'Aikido. In tutto questo assume particolare importanza la rotazione delle anche. Tutte le tecniche Wado, in sostanza, richiamano all'essenzialità della difesa secondo il principio "sei ryoku zen‘ yo" (massimo risultato con il minimo sforzo). Fondamentale importanza assume nello studio degli atemi il controllo della respirazione e della muscolatura mediante la contrazione soltanto al momento dell’impatto per tornare immediatamente alla decontrazione muscolare.

    Il programma tecnico di base dello stile comprende:


    15 Kata

    Pinan Shodan
    Pinan Nidan
    Pinan Sandan
    Pinan Yondan
    Pinan Godan
    Kushanku
    Naihanchi
    Seishan
    Chinto


    Qui terminano i kata codificati dal maestro il quale riteneva che nove forme fossero più che sufficienti per uno stile. Di questi ne furono aggiunti altri non indipsensabili da altri maestri che ritennero non fidarsi di quanto sostenuto da Otsuka tra cui: Bassai, Niseishi, Wanchu, Rohai, Jion, Jitte. (A questi qualcuno aggiunge Suparimpei, Unsu, Kunpu).

    36 Kumite:

    4 Ippon Kumite
    12 Sanbon Kumite (codificati dal maestro Tatsuo Suzuki ma ormai parte integrante del metodo)
    8 Ohyo Kumite (codificati dal maestro Tatsuo Suzuki ma ormai parte integrante della didattica Wado Ryu)
    10 Kihon Kumite
    2 Nihon Kumite


    Alla pratica superiore appartengono:


    10 Tanto Dori (difesa da coltello. Essendo di tradizione dell'Aikido, il maestro Otsuka era solito dimostrarli indossando l'hakama)
    5 Tachi Dori (difesa da spada)
    5 Idori (tecniche di difesa in seiza)


    Dal punto di vista psico-motorio, il Wado Ryu in generale, considerate le sue peculiarità può essere consigliato a bambini a partire da 5 anni indirizzandoli anche al pre agonismo. Anche chi è più maturo, o anziano lo può intraprendere amatorialmente: vista la sua fluidità di movimento, può essere consigliato per tonificare polmoni, diaframma ecc ecc; inoltre nel karate ci si esercita scalzi e questo fortifica la pompa plantare rinforzando il cuore.

    I Principi del Wado Ryu


    Sulla base del Rykyu Kenpo To-Te-Jitsu, Otsuka elaborò una serie di principi dinamici e di combattimento derivati dalla sua esperienza nel Jujitsu che fanno del Wado Ryu un eccellente sistema di difesa personale. Questi principi possono essere riassunti in vari punti chiave:

    Principio della flessibilità (Ju) attraverso tecniche di evasione e schivata
    Principio del "sei ryoku zen‘ yo" (massimo risultato con il minimo sforzo)
    Principio del ritorno dopo una tecnica di pugno (ikite) e di calcio (ikiashi)
    Principio del Gosen-no-sen: nello stesso momento in cui si blocca l'attacco dell'avversario si contrattacca
    Principio del Sensen-no-te: quando l'avversario cerca di attaccare prendendo l'iniziativa, viene bloccato, senza attendere la sua iniziativa e quindi attaccato prima che lo faccia lui.

    Principi del movimento:


    Nagasu (lasciar correre, rapidità dell'acqua)
    Inasu (schivare, scivolare come una goccia di rugiada)
    Noru (avvolgere)
    Principio dello spostamento rapido e piccolo con posizioni raccolte e gambe meno statiche
    Principio di circolarità dell'Aikido


    La filosofia del Wado Ryu


    « Quando pratichi il Wado-ryu come arte marziale, non significa solo impegnarti; ma anche impegnare te stesso ad un certo modo di vivere; che include allenamento agli ostacoli della vita e trovare la via per un’esistenza ricca di significati per tutto

    il tempo che ti è concesso su questa terra. Attraverso questo modo di vivere potrai raggiungere il Wa e vivere la pienezza della vita. Bisogna trovare il Wa attraverso l’allenamento, una volta entrato nel Wa, tu troverai molte altre vie per crescere e migliorare il tuo modo di vivere.
    Ti aiuterà a migliorare in tutti i settori della tua vita. »

    (Hironori Otsuka)

    Il Wado-ryu oggi


    In realtà gli stili di Wado Ryu proposti sia da Wado Academy che da Wado Kai sono differenti anche se hanno lo stesso substrato. La Wado Academy privilegia tecniche di Ju Jitsu con molte proiezioni e leve, il Wado ryu proposto dalla Wado Kay invece privilegia gli Atemi (colpi) assieme a tutto il repertorio tipico di questo stile. Si tratta dunque di punti di vista differenti ugualmente efficaci.
87 replies since 15/11/2008
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