7 Storie di italiani fuggiti all'estero: "Basta lascia tutto e me ne vado"

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     Top   Dislike
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Amministratori
    Posts
    20,495
    Stima
    +189

    Status
    Anonymous
    Arriva un momento in cui la misura è colma e l'acqua nel bicchiere trabocca. È in quel preciso momento, a volte maturato in anni di sacrifici e speranze deluse, a volte sopraggiunto come un'epifania, una rivelazione, che migliaia di italiani decidono di lasciare l'Italia e di emigrare in cerca di futuro. Sempre di più. Stando all'ultimo rapporto Istat sulle "migrazioni internazionali e interne della popolazione residente", infatti, sono stati circa 82 mila nel 2013 i connazionali che hanno salutato il Belpaese e si sono trasferiti altrove. Fra loro 13 mila laureati, con età compresa tra i 20 e i 34 anni.

    Solo numeri. Sterili, se presi nella loro crudezza. Ma se dietro ad ognuno si prova ad immaginare una storia, tutto cambia. Improvvisamente questi numeri prendono vita: volti, parole, sentimenti di chi non avrebbe voluto, di chi ci ha provato, di chi ci ha creduto fino in fondo di poter vivere nel Paese in cui è nato, sperando anche di poter dare il proprio contributo alla crescita. Hanno tentato, ritentato, e tentato di nuovo. Ma poi è arrivato quel preciso momento: l'attimo in cui si sono detti "basta, me ne vado". Abbiamo raccolto 7 storie che parlano più di qualunque report o statistica. Per questo, anche noi, ci facciamo da parte per lasciare che siano le parole a comunicare la forza, la sofferenza, ma anche il senso di liberazione, di quanti hanno detto "arrivederci all'Italia".


    a_MARZIA_768x504


    Marzia: "Il 21.03.2014 io ed Enrico lasciamo l’Italia. Salutiamo i nostri affetti, le nostre famiglie, il nipotino, gli amici di una vita, le nostre radici… Perché? Perché ci abbiamo provato in tutti i modi a costruire il nostro futuro, ci siamo spostati dove è stata raccolta la nostra domanda di lavoro, un paese del nord in provincia di Venezia. Siamo stati in grado di rispondere alle esigenze del mercato italiano del lavoro (esperienza, laurea, conoscenza dell’inglese -faticosamente imparato a nostre spese in Australia) ed in cambio ci offrono una mensilità che ci permette di pagare l’affitto di un appartamento in questa cittadina nebbiosa del Veneto, mantenere un’auto ed un motorino entrambi di seconda mano essenziali per raggiungere i nostri rispettivi posti di lavoro non essendoci mezzi pubblici a disposizione, fare la spesa, pagare le bollette e magari una volta al mese poter permettersi il lusso di andare a mangiare una pizza fuori. E se capita il dentista? Un ginecologo? Un imprevisto? Un figlio? Nemmeno a pensarci… Non ci ha fatto emigrare la disoccupazione in sé, ci ha fatto partire un Sistema che non funziona, che non ti tutela che non ti agevola né aiuta a meno che non hai ancora alle spalle una famiglia che ti sostiene economicamente. Brevemente: a Toronto da 8 mesi ci hanno restituito la voglia di lavorare perché ci hanno restituito dignità. Veniamo adeguatamente pagati e riusciamo a mettere soldi da parte a fine mese, a non farci mancare nulla ed a sentirci nuovamente padroni del nostro futuro. Ci restituiscono quella cara meritocrazia che in soli 7 mesi permette l’ascesa da semplice cameriera a Manager and Event Planner. E se l’Italia resta pur sempre il Belpaese nel nostro cuore, e anche se ogni giorno ringraziamo Dio di essere stati cresciuti ed educati in Italia ce la metteremo tutta per diventare anche Canadian Citizens!"


    a_LAVINIA_768x504


    Lavinia: "Che non fossi destinata a vivere sempre nello stesso posto forse l'ho sempre saputo. Sono cresciuta leggendo libri e sognando avventure in posti lontani. Con un padre che veniva a darci il bacio della buona notte di ritorno da uno dei suoi tanti viaggi di lavoro. Il giorno, di tre anni fa, in cui ho detto "Basta. Me ne vado" lo ricordo come se fosse ieri. Ero a Parigi, fuori faceva freddo e, come spesso mi accade di domenica pomeriggio, me ne stavo seduta a rimuginare guardando fuori dalla finestra. Una laurea in giurisprudenza, un master, il lavoro in uno studio legale proprio al centro di Roma eppure mancava qualcosa...Si certo, lo stipendio assomigliava più ad un rimborso spese...Ma non è questa la ragione principale che mi ha spinto a fare quella job application. Quello che che mi mancava veramente era un ambiente di largo respiro, che mi desse la possibilità di confrontarmi con nuove realtà, facendomi crescere sia professionalmente che come persona. Avevo bisogno di un'occasione che mi facesse uscire da quel piccolo nido, in cui iniziavo a soffrire di claustrofobia, e che mi mettesse alla prova, facendomi sentire viva ogni giorno. Un posto in cui una quasi trentenne potesse essere considerata come una risorsa da far crescere e non come una giovane che deve far largo agli anziani. E così eccomi qui, tre anni dopo...Contracts Officer presso l' European Space Research and Technology Centre (ESA-ESTEC, Noordwijk, NL). Una realtà lavorativa in cui 2000 persone provenienti da peasi diversi si confrontano e crescono insieme ogni giorno. Certo il clima e la cucina olandese non sono paragonabili a quelli di casa nostra...E l'amore per il bel paese, gli affetti di una vita ed i legami sono sempre li che ti chiamano a se, come delle sirene. Ma la conferma che fuori dal guscio ci sono altre realta che possono farti sentire a casa e la scoperta che è possibile, sul serio, alzarsi felici di andare a lavoro... fanno si che anche un posto dove non c'è sole possa diventare luminoso. L'unico rammarico che resta é quello di non aver lottato abbastanza per rendere il MIO paese un posto piú luminoso. Ma spero che un giorno, tornando a casa come Ulisse, il bagaglio costruito e l'esperienza olandese possano essere in qualche modo utili alla mia bella Italia.

    a_STEFANO_768x504


    Stefano: "La prima volta che sono “emigrato” all’estero avevo vent’anni: come molti ho fatto l’Erasmus (a Parigi). Non posso davvero dire che si sia trattato di una fuga da esasperazione nei confronti del Belpaese – quella semmai è sopraggiunta al rientro – ma piuttosto di una certa volontà di sperimentare. A Parigi, oltre la borsa di studio, ho fatto qualche piccolo lavoro dentro l’università e poi mi aiutavano i miei genitori; nulla di diverso da tanti altri giovani della mia generazione, insomma. Va da sé, a riguardo, che certe obiezioni in merito al privilegio di “poter partire” sono pur legittime, ma ci sono anche coloro, va detto, che potrebbero farlo, ma non se la sentono; in altre parole è una questione sia di possibilità, che di scelte. Una volta rientrato ho avvertito un certo distacco nei confronti dell’Italia: un paese che sentivo sempre più cinico, sfiduciato, ripiegato su stesso e nel quale diventava difficile trovare anche stage non retribuiti (e ne ho fatti parecchi, così come parecchie sono state le consuete e consunte manifestazioni alle quali ho partecipato nel tentativo di “cambiare le cose”). Sicché, ogni occasione – bandi universitari, ministeriali, job openings nei paesi di cui conoscevo la lingua: UK e Francia su tutti – diventava l’opportunità per ripartire. Da quel momento ho vissuto un po’ dovunque – Londra, Parigi, New York, Melbourne – facendo lavori di ogni tipo, dal reporter freelance all’insegnante. Poi, nei mesi in cui scrivevo la tesi di laurea magistrale – ero a Parigi a lavorare per una casa editrice – la mia relatrice mi consiglia di proseguire la carriera accademica con un dottorato: “Ma rimani all’estero”, mi dice “perché qui ottenere una borsa è impossibile”. Ed ecco che chiudendosi dietro di me le porte del mio paese, mi si schiudevano dinnanzi quelle del mondo. Alla fine, mi sono trasferito nel Regno Unito. Devo confessare, a tal proposito, che sebbene io non sia mai stato un nostalgico di casa, non sono neppure un esterofilo estremista; ho imparato sulla mia pelle che l’Italia ha i suoi pregi e i suoi difetti, così come ogni altro paese nel quale che ho vissuto. Le idealizzazioni, pur inevitabili almeno a una certa età, le lascio alla nuova generazione Erasmus… Per quanto mi riguarda, la cosa più ardua ora è proteggere e coltivare le relazioni a cui tengo di più; ma questa, si potrebbe obiettare, è pur sempre l’inevitabile conseguenza della mobilità".

    a_TOTO_768x504


    Totò: "Dopo un anno di esperienza all'estero post-laurea sono tornato in Italia e ho cominciato a lavorare nell'ambito delle energie rinnovabili; ciò mi ha permesso di crescere velocemente ma altrettanto velocemente, dopo il decreto Romani, si sono bloccate le opportunità lavorative e tranne una breve esperienza negli USA sono arrivato ad un periodo di lavoro intervallato dalla cassa integrazione che mi ha fatto definitivamente propendere verso l'”emigrazione”. Sinceramente ho avuto la possibilità, dato il mio profilo, di scegliere di indirizzare la mia ricerca fuori dall'Italia per differenti motivi: voglia di tornare a vivere esperienze culturali nuove, mancanza di stimoli verso un ambiente lavorativo asfittico e poco stimolante, zero possibilità di crescita professionale.
    Avrei potuto accontentarmi e cercare di barcamenarmi (in questo senso ero comunque molto più fortunato di altri miei coetanei) ma ho pensato fosse assurdo fermarsi ad aspettare chissà che occasione invece di andarsela a prendere, dovunque fosse. In questo senso il mio paese, dopo aver investito su di me in termini di educazione, ha avuto molto poco da offrire per cercare di sfruttare conoscenze ed esperienze dallo stesso sviluppate".

    a_SELENE_768x504


    Selene: "Dopo la laurea ho deciso di rimanere a Roma, per iniziare la mia esperienza lavorativa in un ambiente in cui in teoria avrei potuto avere più opportunità sia in termini quantitativi che qualitativi. Nella realtà il tutto si è tradotto in quasi 3 anni di “gavetta” continua, con un'evoluzione quasi nulla a livello di crescita professionale ed economica (ho vissuto in quella città con 500 € al mese, quindi come potrai immaginare sono stata sempre dipendente dall'aiuto della mia famiglia). A tutt'oggi non so come è fatto un contratto; quando non era lavoro a nero emettevo ricevute di pagamento per prestazione professionale, anche se si trattava a tutti gli effetti di lavoro subordinato. Quando l'attività in cui lavoravo ha cominciato a subire i colpi più forti dalla crisi in atto ho dovuto lasciare Roma, non me la potevo più permettere. Ad Avezzano a livello lavorativo mi sono imbattuta in una situazione a dir poco disastrosa. Non trovando nulla ho deciso di frequentare un master regionale (avviato grazie a dei fondi europei) istituito con lo scopo di formare figure professionali necessarie nell'ambito della ricostruzione del centro storico de L'Aquila, quindi si prospettavano buone possibilità in termini di occupazione. In totale ho frequentato 1260 ore di corso seguite da un tirocinio di 600 ore in azienda. Il tutto si è concluso con un rapido arrivederci dall'azienda ospitante (che come tante altre ha usufruito del mio lavoro per 6 mesi senza sborsare una lira) perché un altro tirocinante era già in fila dietro di me in attesa del suo turno. Ti scrivo tutto ciò perché proprio quest'ultima esperienza mi ha definitivamente “svegliato”: se nemmeno un corso creato ad hoc da un'istituzione statale per formare figure professionali da inserire in uno specifico ambito lavorativo riesce nel suo intento (tralascio le disquisizioni sui motivi per me alla base), allora di speranze il mio paese ne offriva poche. Ora sono qui, a Panama, dopo soli due mesi e mezzo ho trovato un'impresa con cui ho iniziato un periodo di prova e di speranze ce ne sono molte di più".

    a_TERESA_768x504


    Teresa: "Sono arrivata a Londra nel 2008. Era il 21 marzo, l’inizio della mia ‘primavera’, di una nuova vita. In Italia non ho mai immaginato il mio futuro. Non sono scappata dal mio Paese per questioni lavorative ma piuttosto culturali. Sono da sempre un’esterofila e il mio amore per Londra nasce nel ’96, in occasione della prima vacanza studio. L’Italia è un paese meraviglioso, se sei in vacanza e per sette giorni. Se ci vivi è un incubo, o almeno per me: assenza di meritocrazia, mancato investimento nei giovani, livelli alti di corruzione, raccomandazioni e privilegi, assenza di regole (le leggi ci sono ma non vengono rispettate e se sbagli, vieni premiato anzichè punito). Quando ho lasciato l’Italia avevo qualche breve esperienza lavorativa, un progetto Leonardo in Francia e una borsa di studio in Lussemburgo. Il mio sogno nel cassetto era lavorare nel non profit e Londra era il posto ideale. Da qui la scelta di un volo Lussemburgo - Londra, senza neppure passare per l’Italia. Tanti sacrifici e stage per cominciare, poi dopo due anni (e molti colloqui) è arrivata l’offerta di un contratto per una ONG. Londra mi ha offerto tutto quello che il mio paese non mi avrebbe potuto dare. Nel 2012 ho fondato CV&Coffee, una società di consulenza per gli italiani che cercano lavoro nel Regno Unito. Offriamo servizi di stesura CV, lettera motivazionale, preparazione ai colloqui, profili Linkedin e tanto altro, il tutto in un setting molto informale, quello delle caffetterie. Rientrare in Italia? Non potrei più viverci: dopo tanti anni di vita all’estero, i miei livelli di tolleranza, anche per una semplice fila non rispettata, sono diventati bassissimi. In Italia ci vengo in vacanza, per sette giorni".

    a_ELISABETTA_768x504


    Elisabetta: "Ho deciso di andarmene dopo il terzo stage non pagato che ho accettato e dopo aver lavorato per due mesi in un call center ricevendo 132 euro di compenso. Era il 2010, parlavo già un po' di tedesco, avendolo studiato, e così ho cercato una possibilità di fuga. Ho fatto una ricerca in internet e ho trovato un progetto Leonardo Da Vinci,finanziato da un ente privato. Ho affrontato e superato una selezione e sono arrivata a Lipsia nel gennaio del 2011. All' inizio è stata dura, mi mancavano e mi mancano gli affetti più cari, la famiglia, gli amici, la possibilità di esprimermi nella mia lingua senza dover pensare e agire usandone un'altra, rincorrendo un pizzico della mia Italia qui e lì. Di tanto in tanto mi soffermo a pensare, a riflettere sulla bontà della mia scelta di vita. Quando però ricevo il mio stipendio puntuale ogni mese, prendo il tram e mi siedo comodamente, mi posso permettere una casa intera in affitto, allora spero solo che anche ai giovani che vogliono realizzarsi dove sono nati venga data la possibilità di vivere da essere umani".



    tag: Italiani Estero Storie Italiani Estero Italiani All'estero Racconti Italiani Estero Italiani Emigrati Estero Italia Estero Emigrati Estero Notizie La Vita Com'è Culture 7 Storie Italiani Esteri Giorno Ho Detto Basta Me Ne Vado Quando Ho Detto Me Ne Vado
     
    .
0 replies since 11/12/2014, 10:11   47 views
  Share  
.